di Michele Paris

Con 7 voti a favore e 2 contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la costituzionalità del procedimento utilizzato dallo Stato del Kentucky nella somministrazione dell’iniezione letale per le esecuzioni capitali. Il caso in questione (“Baze contro Rees”) era stato avviato lo scorso anno dai legali di due detenuti nel braccio della morte in Kentucky, Ralph Baze e Thomas C. Bowling, i quali avevano sollevato dubbi circa la conformità all’Ottavo Emendamento della Costituzione, che vieta di infliggere ai condannati punizioni inutilmente crudeli e dolorose, del metodo con cui viene eseguita tale condanna. In attesa del pronunciamento del supremo tribunale americano, negli ultimi mesi si era assistito ad una moratoria di fatto di tutte le condanne a morte, situazione che aveva alimentato le speranze di quanti si auguravano un passo importante verso la definitiva abolizione della pena capitale negli USA. Nonostante il parere dei giudici dia invece il via libera alla ripresa delle esecuzioni, tra le pieghe della sentenza è possibile tuttavia cogliere qualche segnale di speranza.

di Carlo Benedetti


Ignoriamo le gaffes berlusconiane, mettiamo da parte le passerelle da varietà anni ’50, lasciamo ai diplomatici il giudizio su quanto avvenuto nel teatrino di Villa Certosa nella Costa Smeralda, stendiamo un velo sulla “mitragliata” del nostro Cavaliere in direzione della giornalista russa Natalia Melikova, della Nezavisimaya Gazeta, che ha trovato la forza per chiedere al suo Putin notizie in merito alle (eventuali) storie d’amore con la affascinante campionessa di ginnastica artistica (ora onorevole alla Duma) Alina Kabaeva. Entriamo, invece, nella politica e nei rapporti bilaterali Russia-Italia. Cominciamo con Putin. Il personaggio ha lasciato alle spalle la presidenza e si sente già (senza che nessuno lo abbia eletto) premier di una Russia completamente assoggettata al volere del Cremlino. E così comincia la sua nuova campagna acquisti con l’obiettivo di realizzare un impero di tipo nuovo, tutto economico. Pensa infatti - e non da ora - al ruolo che dovrà avere quella piovra industriale e commerciale che si chiama “Gazprom” e che si sta estendendo in ogni continente.

di Elena Ferrara

Uno scrittore che denunciava le gesta della malavita locale eliminato a colpi di pistola, un boss dell’industria nucleare implicato in grandi affari internazionali, un ministro dell’Interno che si dimette mentre la magistratura l’accusa di collusione con la criminalità organizzata, un “uomo d’affari” che nuota nel mare della mafia locale aiutato da banche e banditi… E’, in sintesi, il teatro di una Bulgaria che in questi giorni vede riemergere con forza e con sempre maggiore prepotenza la sua mafia mentre si alza lo scontro a livello politico. E l’allarme scatta non solo nel vertice di Sofia, ma anche negli ambienti comunitari di Bruxelles, che chiedono ai bulgari di adottare misure immediate per combattere la criminalità, condizione che era stata posta come essenziale all'ingresso nell'Ue nel 2007. Ma la Bulgaria non è riuscita a rispettare le regole proprio per il fatto che il sistema era corrotto all’inizio e che, col passare del tempo, si è andato sempre più caratterizzando per i suoi rapporti mafiosi. Ed ecco l’escalation delle ultime ore che aggiunge nuovi e drammatici dati alle statistiche ufficiali.

di Mariavittoria Orsolato

ASUNCION. La campagna elettorale paraguayana è ormai agli sgoccioli. Domenica si aprono i seggi e il “candidado de Dios” - così lo chiamano i suoi sostenitori - Fernando Lugo naviga a vele spiegate verso una vittoria annunciata, con il 45% delle preferenze praticamente assicurate, stando a quanto affermano i sondaggi delle ultime ore. Esistono però diversi ostacoli nella corsa dell’ex monsignore verso l’algido Palacio Lopez, primo fra tutti il pericolo brogli. In questi giorni i maggiori quotidiani del Paese hanno pubblicato la lista dei 12 metodi per falsare i risultati della consultazione popolare, mettendo in guardia i cittadini sull’eventualità di comportamenti anomali nei seggi. E mentre il Governo non acconsente a rendere pubbliche le liste mortuarie della nazione, i sospetti su quella che sarà la modalità più utilizzata per dirottare i voti si trasformano in certezze. Secondo un’inchiesta del quotidiano ABC, la prossima domenica andranno a votare reduci della guerra del Chaco (1932-1937), nonnine ultracentenarie e svariati ragazzi del ’99, da intendersi come 1899.

di Eugenio Roscini Vitali

Gli scontri che insanguinano le strade di Lhasa, le proteste inscenate dalla gente dell’altopiano e la repressione messa in atto dalle autorità cinesi sono i principali ingredienti di uno scontro culturale che risale a tempi antichi, che si è sviluppato, modificato ed è cresciuto nell’era moderna e che è definitivamente esploso dopo l’invasione cinese del 1950, quando le truppe della neonata Repubblica Popolare occupano parte del Tibet e danno inizio ad un lungo periodo di repressione fatto di stragi, annientamento delle istituzioni politiche, culturali e religiose e che si è poi trasformato in una vera e propria colonizzazione demografica. Le tensioni fra India e Cina, l’importanza strategica della regione e la necessità di far divergere il malcontento derivante dalla rigida applicazione delle teorie rivoluzionarie inducono Pechino a prendere il possesso di un territorio sul quale non aveva mai avuto un controllo assoluto, nel quale i simboli religiosi sono spesso diventati emblemi di indipendenza, di status e di sovranità.


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