di Valentina Laviola

Alcuni giorni fa una sentenza in Malaysia ha di fatto permesso l’apostasia di un’imputata. Siti Fatimah Tan Abdullah ha vinto la sua battaglia trovando legalmente riconosciuto il suo abbandono della religione islamica per tornare al buddismo. La signora, nata cinese, si era convertita all’Islam solo per sposare un uomo musulmano, il quale l’aveva lasciata dopo pochi mesi; pertanto, il giudice Othman Ibrahim della “Syarie High Court” ha accettato la sua istanza, dichiarando che la suddetta non aveva mai praticato davvero gl’insegnamenti dell’Islam; il magistrato ha inoltre redarguito il “Penang Islamic Religious Council” per non essere stato all’altezza delle proprie responsabilità nell’istruire e seguire i neo-convertiti. Si tratta di un epilogo quantomeno insolito, dati i precedenti in materia nella cronache recenti.

di Elvira Corona

Verità e ricerca di giustizia sono state protagoniste gli scorsi giorni dell'incontro a Cagliari con Tecla Ferranda dell'associazione di giuristi democratici e Silvia Baraldini, l'attivista condannata a 43 anni di prigione negli Stai Uniti. La verdad de frente al mundo (la verità di fronte al mondo ndr) è il titolo del documentario realizzato e presentato dall'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba all'apertura dell'incontro. Un lavoro frutto di oltre due anni di ricerca e studio di numerosi documenti della C.I.A., del Dipartimento di Stato e di Giustizia Usa, oggi non più coperti da segreto di Stato, che racconta come gli Stati Uniti si comportino diversamente nei confronti del terrorismo, seguendo un doppio binario. Se da un lato sono previste dure e severe condanne, capaci di giustificare guerre in altri paesi e profonde restrizioni alle libertà dei cittadini comuni (si pensi al terrorismo islamico), dall'altro invece la democrazia più potente del mondo mostra una certa tolleranza o peggio, il terrorismo lo foraggia. Quest'ultimo é l'atteggiamento assunto nei confronti e a danno di Cuba, l'isola cosi vicina geograficamente agli Stati Uniti, ma politicamente profondamente lontana.

di Giuseppe Zaccagni

Sono in 57mila, parlano il Kaallisut, vivono in un paese (soggetto alla corona danese) di 2.166.086 chilometri quadrati coperto dai ghiacci, con una densità abitativa pari allo 0,03 per Kmq. Sono gli eschimesi (Inuit) che ora - pur tenendo conto di svariate considerazioni politiche ed economiche - cominciano una lunga marcia che li dovrebbe portare alla conquista della loro terra, spezzando i legami che li tengono uniti alla Danimarca. E così organizzano un referendum e alzano il tiro cercando di trovare i relativi meccanismi giuridici capaci di rendere vantaggiosa la loro eventuale separazione dalla cosiddetta madrepatria. Per ora si è all’inizio del processo pur se gli eschimesi locali sanno che il futuro è pieno di ostacoli. A cominciare dal fatto che manca una classe dirigente locale. E sono del tutto assenti i quadri tecnici che potrebbero garantire uno sviluppo autonomo.

di Alessandro Iacuelli

Il 7 maggio scorso, l'India ha testato con successo un missile terra-terra a capacità nucleare. E' l'Agni III, che può colpire obiettivi fino a 3.500km. Il missile è stato lanciato da una piattaforma mobile al largo dell'isola di Wheller, non lontana dalle coste dell'Orissa, nell'India orientale. L'Agni è un missile con un computer a bordo per la guida remota. Il missile, che può trasportare una testata nucleare di una tonnellata e mezza, è equipaggiato con attrezzature radar, dispositivi telemetrici e sistemi di collegamento con le navi militari a cui può inviare informazioni e dalle quali può essere guidato a distanza. E' l'ultima generazione dei missili Agni, testati negli anni scorsi e con capacità minori. Secondo fonti governative indiane, il lancio è stato un successo e apre diverse e migliori prospettive per il futuro della missilistica indiana e della corsa all'armamento.

di Giuseppe Zaccagni

Dalle urne della Serbia esce - dopo otto anni dalla fine del sistema politico-istituzionale di Milosevic - l’opzione europea. La vittoria elettorale spetta al blocco liberale - “Per una Serbia europea” - guidato dal presidente della Repubblica Boris Tadic - psicologo laureato a Belgrado - e mette all’angolo i nazionalisti del Partito Radicale (Srs) di Tomislav Nikolic. Si è quindi ad una svolta che, pur non offrendo una maggiore stabilità socio-politica, pone alcuni punti cardine nella gestione del paese. In pratica si avvia un processo verso Bruxelles, ma si tende a non sottovalutare il nodo kosovaro visto nel quadro dei rapporti con Pristina, con Tirana e, soprattutto, con Mosca e Washington. Tutto questo vuol dire che i serbi non rinunciano a restare fuori del consesso europeo, ma vogliono allo stesso tempo far notare alle diplomazie filoamericane che la questione del Kosovo è ancora lontana dall’essere accettata e risolta.


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