di Eugenio Roscini Vitali

Ehud Olmert esce di scena e lo fa nel peggiore dei modi, con uno scandalo per corruzione e con il 77% di israeliani che si dicono scontenti del suo operato. Lascia la carica di premier e la guida di Kadima, il partito nato nel 2005 dallo sforzo personale di uno degli ultimi simboli di una generazione di soldati e combattenti, Ariel Sharon. Macellaio dei palestinesi in ogni epoca della sua personale storia militare e politica, nella politica interna israeliana Sharon è stato l’uomo politico che più di ogni altro ha saputo riempire il vuoto ideologico che si era creato dopo il fallimentare vertice di Camp David, trasformando il centro nel luogo d’incontro tra chi ha sempre creduto che l’unica strada per la pace è la rinuncia ai territori occupati e chi, invece, coltiva ancora il sogno sionista di una grande nazione ebraica. Mentre per la nomina del nuovo primo ministro Israele si prepara ad affrontare un lungo e difficile processo politico che entro i primi mesi del 2009 dovrebbe portare il Paese alle urne, la corsa per la guida di Kadima è già aperta.

di Carlo Benedetti


MOSCA. La pace del Caucaso - dicono cinicamente a Mosca - è quella della guerra. E il riferimento d’obbligo è alla Cecenia che ha visto e vede ancora gli stessi scenari che arrivano oggi dalle due Ossezie divise tra Georgia e Russia. Con i bollettini dal nuovo fronte caucasico che sono impressionanti: cresce la tensione in tutto il teatro ossetino, i georgiani sparano a tappeto e con i loro aerei colpiscono ogni villaggio, Tbilissi attacca i separatisti e attua forme di genocidio e di pulizia etnica, le vittime sarebbero già 1400 mentre il leader georgiano Saakasvili si difende dicendo che il suo paese reagisce alle “provocazioni” del Nord. Da Mosca Medvedev, Putin e il ministro degli Esteri Lavrov giustificano l’invio di caccia e reparti blindati sostenendo che la Russia deve difendere i suoi peacekeeper e i connazionali. Parte intanto una missione congiunta Usa-Ue ma è allarme sul fronte energetico perchè a rischio c’è un milione di barili di greggio. E le fiamme del Caucaso avanzano di minuto in minuto. La televisione russa trasmette senza soste intervistando tutti gli esponenti politici e tutti i dirigenti del Cremlino.

di Carlo Benedetti

MOSCA. La capitale dell’Ossezia del Sud - Tskhivali - è in fiamme. Le truppe georgiane comandate dal presidente di Tbilissi Saakasvili attaccano su tutti i fronti. Bruciano gli ospedali, le scuole e i maggiori edifici pubblici. Ma le bombe cadono anche sulle abitazioni. Le vittime, secondo le prime informazioni diffuse a Mosca, sarebbero oltre mille. Si combatte nelle strade delle città e dei villaggi mentre il comando delle forze d’interposizione della Csi (Comunità di Stati indipendenti, l'organismo nato sulle ceneri dell'Urss) - per la stragrande maggioranza russe - viene attaccato dai militari georgiani. L’esercito ossetino non riesce a respingere l’offensiva scatenata da Tbilissi. Colonne di profughi, con auto e camion, cercano di raggiungere il confine russo per trovare rifugio nell’Ossezia del Nord. Il caos regna ovunque e le notizie che giungono dal fronte caucasico sono frammentarie e, spesso, anche contraddittorie. Alcuni fatti vengono strategicamente taciuti. Ma una cosa è certa: è guerra.

di mazzetta

La Corte Penale Internazionale (ICC) dovrà presto pronunciarsi sull'accusa di genocidio nei confronti della Francia. La Corte, nata nel 2002 per giudicare solo reati gravissimi e solo ove il paese nel quale si siano svolti non proceda autonomamente, fino ad ora ha dato scarsa prova di efficienza e discernimento. A finire sul banco d'accusa sono state fino ad ora figure di secondo piano, tutti leader africani all'opposizione di leader spesso ugualmente responsabili e sempre al potere grazie alla benevolenza del colonizzatore occidentale di riferimento. La fresca accusa di genocidio al presidente sudanese per i crimini in Darfur (che non è mai stata formalizzata, ma solo discutibilmente annunciata) è già abortita, mente crimini notissimi e ben più gravi non hanno ricevuto alcuna sanzione. A gettare il sasso nello stagno è il Rwanda, che accusa una decina di ufficiali francesi, tra i quali Mitterand, e gli ex ministri Juppè, Balladur e de Villepin, di aver stimolato ed agevolato il genocidio dei Tutsi nel 1994. Accusa che molti attendevano da tempo, le responsabilità francesi erano note ben da prima che la commissione indipendente ruandese raccogliesse le prove e formalizzasse l'accusa di fronte all'ICC.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Nel Caucaso tornano le fiamme della guerra. Mentre la Cecenia è sempre in stato d’allerta ora esplode l’Ossezia del Sud, territorio situato nell’ambito dei confini della Georgia e che, da anni, rivendica la sua autonomia da Tbilissi dopo aver autoproclamato una sua repubblica, eletto un suo presidente e formato il suo esercito. La situazione è giunta ora ad un punto di non ritorno ed è guerra. Da una parte, in difesa, i sudisti ossetini di Eduard Kokojtym dall’altra, all’attacco, i georgiani di Michail Saakavili. Le truppe di Tbilisi, intanto, varcano i confini e puntano sulla capitale Tskhivali. I georgiani - forti dell’appoggio diplomatico degli Usa e dotati di armi americane - mobilitano anche i riservisti e riescono a colpire i villaggi ossetini con un fitto fuoco di mortai e lanciarazzi. Danno il via a bombardamenti aerei contro la provincia autonoma ribelle: cinque caccia georgiani Sukhoi-25, in due ondate successive colpiscono le postazioni sud-ossetine nei dintorni del villaggio di Tkverneti.


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