di Alessandro Iacuelli

Alle 17.38 di ieri, 4 giugno 2008, un segnale d'allarme gela l'Europa: si tratta di una segnalazione di un incidente alla centrale nucleare di Krsko, nel sud-ovest della Slovenia, a 130 Km da Trieste. L'incidente è stato segnalato a Bruxelles attraverso il sistema di allarme nucleare rapido Ecurie, con il quale l'Ue ha successivamente informato tutti gli stati membri, alle 18.27, quando la potenza del reattore era stata ridotta al 22%. Secondo quanto riferito, si è verificata una perdita di liquido dal sistema di raffreddamento principale della centrale nucleare. Un portavoce della Commissione europea ha poi dichiarato che non ci sono state fughe di radioattività e che le procedure messe in atto dalla Slovenia sono state corrette. La Commissione, ha aggiunto, attende ora ulteriori informazioni sulla situazione. In via precauzionale, tuttavia, l'impianto è stato chiuso "per qualche ora". La centrale nucleare di Krsko, è un tipo di impianto in cui il liquido refrigerante è in ogni caso radioattivo. Pertanto, se c'è stata una perdita di liquido c'è anche stata una fuga radioattiva che, per la posizione geografica della centrale, può interessare tutto il territorio europeo. Ma come avviene sempre in questi casi, dagli anni '60 in poi, immediatamente si susseguono le fonti istituzionali che minimizzano, che rassicurano e dichiarano che non è successo nulla.

di Michele Paris

Con il voto nelle primarie di domenica scorsa a Porto Rico e di martedì in Montana e South Dakota si è finalmente conclusa la lunga ed estenuante corsa alla nomination democratica tra Barack Obama e Hillary Rodham Clinton. La combinazione dei delegati ottenuti negli ultimi appuntamenti in calendario e la conquista di un significativo numero di superdelegati che ancora non avevano espresso la propria preferenza per uno dei due candidati ha permesso al 46enne Senatore dell’Illinois di superare la soglia di 2.118 delegati necessaria per guadagnare matematicamente la possibilità di sfidare John McCain nelle presidenziali di novembre e di diventare il primo politico afro-americano della storia a correre per la Casa Bianca con reali possibilità di successo. Un risultato di importanza storica quello raggiunto da Obama, il quale grazie alla promessa di cambiamento prospettata per milioni di elettori americani ha saputo abilmente ribaltare la sua posizione di outsider all’interno di un Partito che fino a pochi mesi fa sembrava doversi avviare invece verso l’inevitabile incoronazione di Hillary Clinton.

di Michele Paris

Tra gli argomenti più interessanti che animeranno il dibattito estivo d’oltreoceano una volta stabilite ufficialmente le nomination in casa democratica e repubblicana, vi è quello della scelta del candidato alla vicepresidenza. Una decisione quella relativa al “running mate” spesso dettata da scelte di opportunità politica, altrettanto frequentemente disattese dall’esito delle presidenziali, che si presenta quest’anno particolarmente delicata alla luce sia dell’equilibrio che si preannuncia tra i due contendenti sia, soprattutto, delle debolezze alle quali John McCain e Barack Obama dovranno fare fronte nella battaglia a cui daranno vita da qui dall’Election Day. Se però il Senatore repubblicano ha già iniziato una serie di faccia a faccia con possibili candidati alla carica, lo staff di Obama dovrà necessariamente rinviare ogni mossa ufficiale in attesa della conclusione delle primarie che farà calare il sipario sulla estenuante sfida interna con Hillary Clinton per la nomination democratica.

di Elena Ferrara

Arriva nella città santa il diavolo iraniano. Perché a questa conferenza mondiale sulla “Sicurezza alimentare” - indetta dalla Fao a Roma dal 3 al 5 giugno - si presenta, con tutti gli onori del caso, un personaggio del calibro di Mahmud Ahmadinejad, leader di Teheran. Invitato al pari degli altri capi di Stato e di governo a discutere dell’attuale situazione alimentare, del rialzo dei prezzi delle derrate e di come il cambiamento climatico incida sull’agricoltura e di come essa, a sua volta, possa contribuire a ridurne gli effetti. Temi di stretta attualità e di importanza globale. Ma sull’ordine del giorno pesa già il fardello ingombrante di questo iraniano (che rappresenta un paese complesso, contraddittorio e sfaccettato) che non cede perchè si batte contro i diktat americani e contro gli embarghi politici ed economici di un occidente spesso nemico dell’Islam.

di Eugenio Roscini Vitali

La deposizione rilasciata a Gerusalemme dal finanziere statunitense Morris Talansky lo inchioda di fronte alle sue responsabilità: in 13 anni Ehud Olmert avrebbe ricevuto tangenti per circa 150 mila dollari. Malgrado l’assedio della stampa, gli attacchi del Parlamento e l’ultimatum lanciato dal ministro della Difesa e leader laburista Ehud Barak, che ne ha chiesto le dimissioni, il premier israeliano va avanti, resiste e dice no ad ogni ipotesi di dimissioni, vacanze forzate o auto-sospensione per inconciliabilità con le funzioni di capo del governo; in pratica Olmert non lascia. Anzi, il viaggio negli Stati Uniti previsto per i primi di giugno si farà; in agenda ci sono una serie di questioni strategiche che dovranno essere discusse con il presidente George W.Bush con il quale condivide il progetto anti-Iran.


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