di Eugenio Roscini Vitali

In Israele i falchi hanno vinto e ancora una volta la tenuta politica e morale di un’offensiva su Gaza è diventata semplice retorica. Attesa da giorni, la reazione di Gerusalemme alle dichiarazioni di Hamas che si è rifiutato di rinnovare un cessate il fuoco iniquo è arrivata, implacabile e come sempre pesantissima. Nell’arco di pochi minuti gli aerei con la stella di David hanno colpiti il porto e le caserme dei miliziani del movimento islamico che governa la Striscia di Gaza; tra le macerie centinaia di morti e feriti. Una rappresaglia dagli effetti devastanti, sproporzionata rispetto alla minaccia ma al tempo stesso annunciata dagli stessi leader israeliani, che si sono trovati concordi nel rispondere al “no” di Hamas sul rinnovo della tregua informale stabilita il 19 giugno scorso.

di Giovanni Gnazzi

Operazione “piombo fuso”. Così, con un nome niente affatto scelto a caso, Israele ha gettato nel sangue Gaza. Sono già duecentoventisette i morti, centinaia i feriti e decine e decine le case distrutte, le strade divelte dai razzi partiti dagli elicotteri israeliani e il bilancio, purtroppo, é destinato a crescere. Il pretesto, anche quello, è il solito: i razzi Qassam che l’idiozia di Hamas invia più per dare concreta quanto macabra testimonianza della sua esistenza che per tentare di piegare Israele e costringerla a fantomatici negoziati. Errore. Tel Aviv non ha nessuna intenzione, a nessuna condizione, di negoziare alcunché: né il ritiro dai Territori occupati, né la fine degli insediamenti dei coloni, né il rientro della diaspora palestinese, né l’esistenza di due stati. Israele, semplicemente, vuole che la realtà resti quella che è: immutabile. Semmai, coglie ogni occasione per impedire che il negoziato nasca. E dunque, al rituale dei Qassam, si oppone quello, molto più sanguinoso, dei raid aerei. Non è stata la prima volta, non sarà l’ultima.

di Michele Paris

Con la presa di posizione del procuratore generale Jerry Brown, si fa ancora più acceso in questi giorni negli Stati Uniti il dibattito intorno alla legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso in California. L’ex governatore democratico di questo stato ha definito incostituzionale la risoluzione approvata lo scorso 4 novembre tramite referendum popolare dagli elettori, i quali hanno infatti accolto con una leggera maggioranza la cosiddetta “Proposition 8”, un quesito presentato dall’organizzazione ProtectMarriage.com volto a ribaltare una sentenza precedente della Corte Suprema dello stato per emendare la Costituzione e restringere la definizione di matrimonio a “un’unione tra un uomo e una donna”. La presa di posizione del numero uno del Dipartimento di Giustizia californiano è giunta nel corso della sua audizione presso la Corte Suprema, la quale tra pochi mesi sarà chiamata ad esprimersi sulla misura che in concomitanza con l’elezione alla Casa Bianca di Barack Obama ha fatto la gioia della destra religiosa americana.

di Carlo Benedetti

I titoli del telegiornale di Mosca sono questi: Vladimir Putin gela i Paesi consumatori di gas annunciando che “sta finendo l'era delle risorse energetiche a buon mercato, nonostante la crisi”; Gazprom conferma l’intenzione di esercitare l'opzione, prevista dagli accordi con l’Eni, per rilevare la quota del 20% di “Gazprom Neft” attualmente detenuta dal gruppo italiano; l’Ucraina deve fare molta attenzione perché è attraversata dall’80% del gas russo diretto verso l’Europa e quindi verso l’Italia; la Russia rivendica il pagamento del debito accumulato dagli ucraini (3 miliardi di dollari a fine 2008) e Kiev non sembra avere i soldi per pagarli; a Mosca i ministri dell'energia di 14 paesi esportatori di gas hanno dato vita ad una nuova organizzazione che ha già annunciato di assumersi la piena responsabilità per la stabilità globale e la sicurezza energetica; siamo alla vigilia di una nuova Bretton Woods come nel luglio del 1944 quando 44 Paesi si accordarono sulle regole che avrebbero riorganizzato il commercio internazionale?

di mazzetta

Lansana Conté, dittatore della Guineau è morto e poche ore dopo il suo trapasso le strade della capitale Conakry si sono riempite di blindati. Giunto al potere con un golpe, Conté ha incarnato a lungo il prototipo del dittatore africano fantoccio delle potenze straniere, nel caso di specie Francia e Stati Uniti, che mai hanno contestato la sua permanenza al potere, nonostante più di vent'anni di violenze e di elezioni-farsa. Fatte le debite proporzioni è come se in Italia fosse morto Mussolini e desta sensazione la pioggia di necrologi con i quali numerose corporation di paesi democratici e occidentali si sono “unite al dolore e alla commozione dei guineani” che invece non vedevano l'ora di liberarsi del dittatore. Per la Guinea, che l'hanno scorso si era ribellata al dittatore e chi si era acquietata solo quando questo aveva fatto sparare sulla folla facendo decine di morti, si apre un periodo d'incertezza.


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