di Stefania Pavone

Gaza giace distrutta. Il ritiro dell’esercito israeliano è giunto puntuale per non rovinare i festeggiamenti per l’insediamento di Barak Obama, l’evento mediatico per eccellenza. La guerra lampo di Israele ha lasciato sul campo l’immagine di un massacro che non ci si attendeva dalle promesse del nuovo secolo. Invece Gaza giace spezzata. E se la prima telefonata del nuovo presidente degli Stati Uniti è stata ad Abu Mazen, come a testimoniare il nuovo corso della Casa Bianca in ordine alle vicende del Medio oriente, le cifre parlano chiaro. Nei 22 giorni dell’assedio israeliano, ora fermato dalla tregua, la matematica d’inferno dei numeri annuncia spietata la cifra di ben 1500 morti, di cui l’85% sono civili. Ben 20.000 le case danneggiate dalle bombe con la scusa che sono basi logistiche di Hamas. Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha commentato con parole di fuoco, nella sua breve visita nella Striscia, le proporzioni del massacro. “Ho il cuore spezzato” ha detto il numero uno del Palazzo di vetro. Poche ore per capire il terrore, l’angoscia, l’inafferrabile urlo di dolore che l’operazione “Piombo fuso” ha inciso nei volti e nei cuori di uomini, donne e bambini di Gaza City. “E’ difficile per me stare davanti a questo sito dell’Onu bombardato: tutti possono sentire l’odore del fumo, è vergognoso e protesto nella maniera più vigorosa”, afferma il segretario generale delle Nazioni Unite davanti al quartier generale dell’agenzia Unrwa, affondato dalle armi al fosforo lanciate da Israele. L’Onu rilancia le accuse allo stato ebraico e Hamas sul terreno equidistante dei diritti umani, promettendo indagini per il massacro dei civili nella guerra di Gaza e, allo stesso tempo, da Sderot, condannando con energia il lancio di missili di Hamas definito“ spaventoso e inacettabile” nelle parole del diplomatico.

Intanto l’ultimo soldato israeliano ha attraversato il confine della Striscia. E’ iniziato ufficialmente il ritiro dopo l’agognata tregua. Un atto che sembra porre fine ad una delle maggiori crisi internazionali. All’alba, lo Stato Maggiore delle forze militari israeliane ha dato l’atteso annuncio: l’esercito israeliano si è schierato fuori dalla Striscia di Gaza, come ha dichiarato un portavoce. Ma la tregua è fragile e Hamas e Israele si guardano ancora con sospetto negli occhi. I reparti israeliani restano pronti ad ogni evenienza nel caso riprendano le provocazioni del movimento islamico.

L’annuncio del ritiro è stato accompagnato dl un appello alla popolazione civile di Gaza, provata dall’assedio. Ma la guerra non finisce davvero e si lascia dietro una scia di piccole e grandi vendette. Scaramucce qua e là avvelenano l’aria di piombo di Gaza. Sparatorie isolate e tensioni si sono riverberate per tutto il giorno nella Striscia. Israele ha denunciato il lancio di otto proiettili di mortaio e ha annunciato di aver colpito dal cielo una postazione di lancio. Mentre i palestinesi lamentano l’uccisione di un agricoltore durante un’ispezione del proprio terreno a Jabaliya, la portavoce dell’esercito israeliano si è limitata a comunicare che i militari hanno risposto al fuoco di militanti palestinesi.

Ma le bombe continuano ad uccidere. In silenzio. Due bambini sono rimasti vittima di un ordigno sepolto sotto le macerie di un palazzo. E Gaza sembra una città fantasma, il peggio del peggio, travolta da un grande terremoto: dalla proclamazione del cessate in fuoco sono morti almeno quattro palestinesi e negli ospedali si spengono i feriti più gravi.

Intanto il dibattito politico sul conflitto arabo-israeliano si allarga sulla questione della ricostruzione. Europa, Stati Uniti e Israele vogliono controllare ogni progetto per impedire ad Hamas di acquisire posizioni e riformulare le condizioni del proprio consenso nella Striscia di Gaza, riproponendo così l’esclusione del movimento islamico dal salotto buono delle relazioni internazionali. Mentre la presidenza ceca dell’Ue invita Hamas ad accettare - cosa impossibile - le condizioni del quartetto per uscire dall’isolamento internazionale, l’Ue punta a rafforzare la posizione del partner Abu Mazen, non solo in Cisgiordania, ma in tutta la Striscia di Gaza. I fatti parlano chiaro. L’intento prioritario della Conferenza di pace di Parigi, di cui si è fatto promotore Sarkozy, sarebbe proprio quello di ritessere le condizioni di un governo di unità nazionale in Palestina.

Ma il modo arabo è nei fatti diviso, frammentato. Il vertice in Kuwait si é concluso con dichiarazioni generiche. Generica è l’intenzione di incriminare Israele per crimini di guerra, generico il fondo per la ricostruzione della Palestina che prevede la distribuzione dei finanziamenti alla pletora delle sue sigle politiche. Chi pagherà davvero lo spargimento di tutto questo sangue?

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy