di Carlo Benedetti

Un’esecuzione da manuale in una Mosca dove torna la paura, con killer che agiscono indisturbati, in pieno centro. Sfoderano le loro pistole Makarov e uccidono - proprio all’ingresso di un centro stampa super controllato - Stanislav Jurevic Markelov, noto e stimato avvocato, e la giornalista Anastasia Baburova (collaboratrice dello stesso giornale dove lavorava Anna Politkovskaja, caduta sotto i colpi dei killer venuti dal Caucaso). Si torna così alla morte e al terrore con una scia di sangue che pone nuovi e drammatici interrogativi in un magma vorticoso e incandescente. L’accento è posto sulle eventuali responsabilità delle organizzazioni cecene, ma gli investigatori non rinunciano anche all’ipotesi di piste nere viste anche le inchieste della giornalista Baburova. E’ un crimine che avvolge la società russa nelle intricate maglie del complotto russo-caucasico. Tutto avviene in un lampo alle 14,45 di lunedì in una capitale avvolta dal grigiore invernale e da quella neve ormai sporca che si accumula nei marciapiedi. Markelov è un giovane intellettuale di provincia che si è fatto la fama di inquisitore svolgendo il suo lavoro non solo come giurista, ma anche - e soprattutto - come investigatore, superando seri ostacoli per l’accertamento delle verità. Nei mesi scorsi era stato nelle aree del Caucaso sconvolte dal conflitto russo-georgiano per raccogliere testimonianze, impegnandosi per trovare la verità su quella guerra lampo. Ma non aveva trascurato un altro aspetto del suo lavoro. La difesa cioè di una diciottenne cecena - Elsa Kungaeva - stuprata e uccisa nel 2002, nel villaggio di Tangi-Chu, da Jurij Budanov un colonnello dell’Armata della Russia, comandante del 160esimo battaglione corazzato, di stanza a Grozny.

Markelov era deciso ad andare sino in fondo e si stava preparando per avviare un ricorso alla Corte europea per i diritti umani ed ottenere, di conseguenza, la condanna decisiva dell’alto graduato. Il quale era stato condannato a 10 anni di reclusione, ma pochi giorni fa liberato in anticipo per ragioni che non sono state precisate. Markelov si era già opposto alla decisione, presa dal tribunale. Ed ora, proprio per far conoscere all’opinione pubblica i motivi della sua ostinata opposizione alla decisione di rimettere in libertà il colonnello, aveva deciso di parlare alla stampa al fine di ampliare le sue tesi che rischiavano - ne era terribilmente certo - di restare nel chiuso delle aule del tribunale moscovita.

Nella sala del centro stampa - di solito occupata dalle conferenze delle forze del dissenso - Markelov (34 anni) si era portato anche una testimone particolare: la venticinquenne sua amica, collaboratrice del quotidiano Novaja gazeta, impegnata in una serie d’inchieste sulla rinascita dei gruppi neo-nazisti. Ed ecco improvvisa l’azione terroristica. I due non hanno scorta e conversano con la piccola folla che si è radunata. Improvvisa spunta la mano del killer. E la Makarov fa il resto.

Ora a Mosca ci si interroga su questo nuovo fatto di sangue. E si sa che Markelov è il settimo avvocato ucciso in Russia negli ultimi dieci anni, mentre la Baburova è il quinto giornalista eliminato negli ultimi dodici mesi. Indignazioni e proteste anche oltre la Russia. C’è il Consiglio d'Europa che chiede "piena luce sull'assassinio: guai a consentire che simili delitti restino impuniti". E' questo anche l'appello lanciato in un comunicato dal liberale svizzero Dick Marty, responsabile della situazione dei diritti umani nel Caucaso settentrionale per l'Assemblea parlamentare dell'organismo di Strasburgo.

Sin qui cronaca, indignazione, ipotesi; tutto in una costellazione di operazioni criminali complesse. Ma il cronista che racconta questa storia di sangue non può e non deve rinunciare a ricordare una vicenda personale. Quella che segnava la sua amicizia con Stanislav Jurevic. “Stas” come lo chiamavano gli “antiglobalisti” moscoviti che si riunivano (e si riuniscono) sotto la comune etichetta della rivista “Alternative” promossa dai politologi Buzgalin e Bulavka. L’avvocato era la punta di forza di questo club di intellettuali: isolato e staccato dal mondo dei partiti e dagli intrighi del Cremlino. Aveva uno sguardo intenso e pieno di fiducia. Era un cultore di pensatori su posizioni progressiste come Jacques Maritain e si impegnava a fondo nel suo “Istituto per l’applicazione della legge”. Lo dirigeva con grande competenza e passione lottando per le libertà civili e portando davanti alla giustizia numerosi militari russi, i grandi della guerra, i ceceni della guerriglia e, soprattutto, i neo fascisti.

Con “Stas” ci eravamo incontrati nel dicembre scorso. Una fredda sera nel cuore di Mosca nella sede del “Museo Majakovskij” (quello dove si trova la stanza nella quale il poeta si suicidò il 14 aprile 1930) affittato per permettere una riunione del gruppo “Alternativa”. Il tema dell’incontro era quello della guerra caucasica tra Russia e Georgia. C’erano politologi e giornalisti di orientamento marxista, gente lontana dalle nuove nomenklature e aperta alla ricerca e al confronto. Markelov, quella sera, mi spiegò le ragioni del conflitto caucasico cercando di restare equidistante tra Tbilisi e Mosca. Con un piglio deciso cercò di non fare l’avvocato della Russia e puntò a comprendere le ragioni degli “altri”. Tutti lo ascoltammo con attenzione e rispetto perché sapevamo bene che “Stas” parlava dopo aver fatto le indagini sul posto. Un vero inquirente appassionato della verità.

Uscimmo a tarda notte dal Museo. E a chi gli chiedeva perché non avesse una scorta lui - accusatore dei terroristi e dei neonazisti - un po’ scettico e sospettoso, ammiccò un sorriso ironico facendoci notare che stavamo passando proprio accanto a quell’edificio della Lubjanka, sede del vecchio e nuovo Kgb. ”Vedete - disse - qui non c’è proprio bisogno della scorta”.

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