di mazzetta

I bookmakers danno Obama vincente 1 a 7, McCain sta combattendo in difesa in quegli stati che erano parte dello zoccolo duro di Bush e rischia anche nel suo stato, l'Arizona. L'ultima settimana di campagna è stata un disastro per McCain e non solo perché è a corto di soldi. La macchina elettorale di Obama è decisamente più prestante di quella repubblicana, ha raggiunto aree mai toccate prima dalle campagne e gode del sostegno di migliaia di attivisti, molti di più di quanti ne siano schierati sul fronte avverso. McCain sembra un generale senza esercito e il partito repubblicano sta tentando l'impossibile per salvare i seggi al Congresso, minacciati come mai prima da una vera e proprio disfatta elettorale. Poco possono i tentativi di giocare sporco in un'arena mediatica ormai profondamente influenzata da Internet e ancora meno i tentativi di diffamare gli avversari.

di Valentina Laviola

Manca ormai pochissimo all’elezione del quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti e per l’influenza enorme che questo Paese ha sulle sorti globali, in molti rimangono col fiato sospeso. Ora che la campagna elettorale dovrebbe aver dato i suoi frutti, si possono tirare le somme e proporre delle riflessioni sulle scelte operate dai due candidati nel coinvolgimento (mancato) delle comunità arabe e musulmane d’America. Pur trattandosi di minoranze, l’approccio alla questione non manca di portare con sé implicazioni enormi, legate agli eventi dell’11 Settembre 2001, alle recenti guerre in Afghanistan ed Iraq, alla diffusa ideologia, largamente prodotta dall’amministrazione Bush, che vede nell’Islam principalmente, e spesso solamente, il nemico. In che modo risponderanno, nelle nuove elezioni, i cittadini americani di etnia araba o di fede musulmana? Sembra che essi si siano sentiti quasi completamente esclusi dal fermento politico degli ultimi mesi, sostanzialmente ignorati da entrambi i candidati. Insomma, non sono stati considerati un serbatoio di voti sufficientemente appetibile da correre il rischio di pronunciare dichiarazioni che avrebbero potuto far tremare sostenitori ben più potenti.

di Carlo Benedetti

MOSCA. E’ una America tutta da scoprire questa che si presenta al grande pubblico della Russia con il volto elettorale dei due candidati, Barack Obama e John McCain. Perchè mai come questa volta la competizione americana ha coinvolto il cittadino-medio, portando la vita d’oltreoceano (Atlantico o Pacifico) nelle case di una Russia abituata - sin dai tempi sovietici - a reagire solo sulla base delle indicazioni dall’alto. Questa volta non è così. Perchè prima di riferirsi alle notazioni geopolitiche del Cremlino e degli ambienti collegati è necessario stabilire il grado di “partecipazione” della popolazione russa nei confronti di un risultato che potrebbe influire sulla stessa vita del loro paese.

di Bianca Cerri

Il 27 ottobre del 2006, in un canale di scarico che costeggia una ferrovia abbandonata alla periferia di Atlantic City, la polizia trovò i corpi senza vita di quattro donne. L’assassino o gli assassini le avevano gettate nell’acqua melmosa probabilmente dopo averle uccise altrove, un particolare facilmente deducibile dai piedi scalzi delle vittime. Il luogo del ritrovamento è conosciuto come Black Hawk Pike e di giorno somiglia ad una città-fantasma mentre di notte si trasforma in una landa desolata dove solo le prostitute anziane e le tossicomani pronte a vendere il loro corpo per una dose osano avventurarsi. Passeggiano lungo i bordi della strada con una bomboletta lacrimogena da autodifesa nella borsa perché gli scippi e le aggressioni fanno parte della routine e generano una paura dilagante. Nessuno si sognerebbe mai di ambientare un film come Pretty Woman sulla Black Hawk Pike, dove la prostituzione rivela il suo volto più brutale.

di Michele Paris

Le elezioni presidenziali americane sono regolate dal secondo articolo della Costituzione e si fondano sul concetto di “Collegio Elettorale”. Esso consiste in una delegazione di 538 rappresentanti eletti direttamente dai cittadini in ognuno dei 50 stati degli USA e nel District of Columbia, i quali a loro volta, pur essendo teoricamente liberi di votare per un qualsiasi candidato alla presidenza del paese, si esprimono in accordo alla decisione presa dagli elettori. Il candidato che riceve la maggioranza dei voti elettorali (270) viene così eletto presidente degli Stati Uniti. Ogni singolo stato assegna un certo numero di voti elettorali in relazione al numero di propri parlamentari presenti al Congresso, attribuzione a sua volta determinata in base al numero di abitanti. In seguito alla ratifica del 23esimo emendamento nel 1961, anche al District of Columbia – il distretto federale che ospita la capitale Washington – sono stati garantiti 3 voti elettorali, pari al numero di quelli assegnati dagli stati meno popolosi.


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