di Fabrizio Casari

Sono centoquarantatre, al momento, le vittime dell’attacco terroristico dei guerriglieri islamici a Mumbai. L’intervento dei reparti speciali ha “bonificato” l’area dell'Hotel Taj Mahal, ma la liberazione di tutti gli ostaggi ancora non ha avuto termine. Hanno scelto hotel e locali di lusso per vittime a cinque stelle, contando proprio di far leva mediatica sulla distanza abissale tra quelle isole di ricchezza e l’India dei diseredati, che muoiono come mosche sotto gli indici di crescita a due cifre del Pil indiano. Come da copione appare d’incanto la mano di Al-Queda nell’operazione militare, ma le informazioni in tal senso sono ancora da verificare fino in fondo e sono invece molte le obiezioni possibili a quest’ipotesi. Certo invece, è che la tecnica militare utilizzata rimanda più alla Monaco del ’72 che non alla New York delle Torri gemelle nel 2001. E sul palcoscenico indiano recitano attori diversi anche da quelli dei film già visti negli ultimi anni, fatti di autobombe, commandos suicidi e piccole unità dinamitarde scatenate in lungo e largo per l’Asia minore e il Medio Oriente, modalità tipiche del martirio degli adepti di Al-Zawairi.

di Michele Paris

La composizione della squadra del presidente eletto Barack Obama che dovrà farsi carico della crisi economica e finanziaria in corso sta sollevando più di un mugugno tra i suoi sostenitori più liberal. Ad occupare i posti chiave della prossima amministrazione in ambito economico saranno infatti economisti e burocrati che in un passato più o meno recente hanno mostrato un’ampia predisposizione per politiche di controllo della spesa pubblica combinate ad una buona dose di fiducia nel libero mercato. Un punto di partenza tutt’altro che incoraggiante dunque, soprattutto in un frangente nel quale - a detta dello stesso Obama - ciò che sembra necessario è esattamente l’opposto: una regolamentazione più rigida dei mercati finanziari e un espansione del deficit per stimolare l’economia e dare ossigeno ai redditi più bassi.

di mazzetta


Gli attacchi di ieri al cuore di Mumbai, capitale finanziaria dell'India, non sono che gli ultimi sviluppi di una catena di violenze che non ha mai smesso di percuotere il sub-continente indiano, dall'Afghanistan, al Pakistan fino all'India. Distratto dalla fallimentare War on Terror, il sistema dei media ha oscurato agli occhi delle opinioni pubbliche occidentali la cruda realtà di una lotta all'estremismo islamico, che negli ultimi anni ha alimentato terrorismo e violenze. Non sono nuovi gli obiettivi e non sono nuovi gli autori; già nei mesi scorsi con il bombardamento dell'Hotel Marriott e di alcuni locali e ristoranti in Pakistan, si era delineata la strategia dell'attacco indiscriminato alle metropoli. Bombe o attacchi portati da commandos di suicidi, hotel o stazioni, il terrorismo di matrice islamica cerca la strage indiscriminata, il bagno di sangue da mettere sul piatto per ridefinire equilibri e contrastare gli attacchi, convenzionali e non, che i nemici hanno sviluppato nel quadro della War on Terror.

di Luca Mazzucato

New York. Dei settecento miliardi di dollari consegnati i primi di ottobre da un Congresso sotto shock al Segretario del Tesoro, Henry Paulson, ex capo di Goldman Sachs, trecento ne sono già stati spesi a completa discrezione di Paulson; ma dove sono finiti? Quel che è certo è che gli azionisti delle banche di affari stanno brindando a caviale e champagne, sul ponte del Titanic. Il Tesoro, insieme ad Obama, salva l'ennesima Citigroup, paventando un conflitto d'interessi per la nuova amministrazione democratica, mentre Bloomberg News scopre che la Federal Reserve, la cassaforte americana, ha elargito segretamente due trilioni di dollari in prestiti, prima del piano di salvataggio. La Fed non scuce dettagli, ma i giornalisti gli fanno causa. Era la fine di settembre. Al primo tentativo di salvataggio, Bush pretese che il Congresso mettesse il timbro su una striminzita paginetta, un assegno in bianco senza garanzie e senza supervisione, per spendere settecento miliardi di dollari a discrezione del Tesoro.

di Stefania Pavone

Alcuni giorni fa, il neopresidente Usa Barack Obama ha annunciato le linee guida del nuovo piano di pace per il Medio Oriente. Nelle parole di Obama e del suo staff, il ritornello solito che ha animato i continui fallimenti diplomatici che hanno contrassegnato la perenne guerra tra Israele e Palestina. Ecco che ricompare il principio dei due popoli, due stati. Ecco che lo stato ebraico vuole mantenere i propri territori concedendo briciole ai palestinesi. Una terra nel deserto del Neghev adiacente alla Striscia di Gaza e un passaggio libero tra Gaza e la Cisgiordania e null’altro per il futuro stato della Palestina. E ancora: nessun riconoscimento del diritto di ritorno ai profughi. Niente di niente, dunque, per i Palestinesi.


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