di Michele Paris

Il giudice spagnolo Baltazar Garzón, salito agli onori della cronaca internazionale nell’ottobre del 1998, quando spiccò un mandato di cattura nei confronti di Augusto Pinochet Ugarte, allora convalescente in Gran Bretagna, ha ottenuto dal tribunale di Madrid l’affidamento di un’indagine nei confronti di sei esponenti di spicco dell’amministrazione Bush. Le persone coinvolte - tra le quali spicca l’ex Ministro della Giustizia Alberto Gonzales - sarebbero responsabili della violazione delle leggi internazionali sulla tortura in riferimento al trattamento dei prigionieri nel carcere di Guantánamo. Un caso poco più che simbolico, secondo alcuni, ma che potrebbe contribuire a fare chiarezza su alcune responsabilità del precedente governo americano sugli abusi compiuti in nome della lotta al terrorismo e che Obama invece continua a ritenere non debbano essere investigate. Il caso è stato avviato da un gruppo spagnolo che si batte in difesa dei diritti umani - l’Associazione per la Dignità dei Prigionieri - in collaborazione con esperti europei e statunitensi e si fonda su una documentazione di un centinaio di pagine che fa riferimento non solo alla Convenzione di Ginevra, ma anche alla Convenzione contro la Tortura approvata dalle Nazioni Unite nel 1984 e firmata da 146 paesi, tra cui Spagna e USA.

I sei membri del gabinetto di George W. Bush (oltre a Gonzales, il quale aveva lasciato il Dipartimento di Giustizia nel settembre 2007 in seguito alle polemiche suscitate dalla rimozione di alcuni procuratori per sostituirli con altri ideologicamente più “vicini” all’amministrazione repubblicana) sono Douglas Feith, ex sottosegretario alla Difesa e anch’esso dimissionario nell’agosto 2005; David Addington, ex capo di gabinetto ed influente braccio destro del vice-presidente Dick Cheney; William J. Haynes, ex consigliere legale del Dipartimento di Giustizia; Jay S. Bybee e John C. Yoo, entrambi giuristi presso l’ufficio legale del Dipartimento di Giustizia e da tempo bersagli di accuse negli USA per aver redatto opinioni legali segrete volte a giustificare la presunta facoltà del presidente di eludere il dettato della Convenzione di Ginevra.

Tutti gli indagati avrebbero contribuito a costruire una cornice di pseudo-legalità entro la quale veniva dato il via libera all’impiego di metodi universalmente considerati di tortura negli interrogatori condotti dalla C.I.A. nella base di Guantánamo, tra cui la cosiddetta tecnica di “waterboarding”, con cui viene simulato l’annegamento. I difensori dei sei accusati hanno ribattuto, sostenendo che i pareri legali dei loro assistiti erano stati prodotti in un clima di enormi pressioni all’indomani dell’11 settembre e che essi sono messi ora ingiustamente in discussione, alla luce del fatto che negli anni successivi al 2001 non si è verificato alcun attacco terroristico sul suolo americano.

L’apertura del procedimento in Spagna era in qualche modo nell’aria, dal momento che in vari paesi le associazioni a difesa dei diritti umani avevano già sottoposto analoghe richieste di investigare sull’operato dell’ex presidente Bush e del suo governo. Recentemente, ad esempio, l’associazione americana “Center for Constitutional Rights” (CCR), che da tempo si batte per avviare procedure legali a carico dei più alti livelli della precedente amministrazione e che ha immediatamente applaudito all’iniziativa spagnola, si era vista negare una simile richiesta da un tribunale tedesco.

La specializzazione del Tribunale Nazionale di Madrid nei crimini internazionali, nonché la fama acquisita dal giudice Garzón nei suoi sforzi per cercare di assicurare alla giustizia personalità di spicco accusate di violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, ha contribuito in maniera decisiva all’avvio dell’indagine criminale. La giustizia iberica ha sancito la propria giurisdizione sul caso in questione basandosi sul fatto che cinque cittadini spagnoli sono stati detenuti e presumibilmente sottoposti a tortura a Guantánamo. Gli stessi ex prigionieri spagnoli sono stati processati nel proprio paese, ma la Corte Suprema ha successivamente chiesto l’annullamento del processo in quanto le prove a loro carico erano state appunto estorte sotto tortura.

Se anche alcuni esperti americani concordano nel ritenere molto probabile che il procedimento proseguirà il suo corso nei prossimi mesi, praticamente nullo sarà invece l’effetto di eventuali ordini di custodia che potrebbero essere emessi da Baltazar Garzón. Come nel caso in corso del presidente del Sudan Omar al-Bashir, gli arresti non verrebbero comunque eseguiti se non nel caso gli interessati dovessero recarsi in un paese straniero disposto ad assecondare la giustizia spagnola (e a fare un grave torto a Washington).

Gli Stati Uniti quasi certamente infatti non risponderebbero ad una richiesta di estradizione per i sei membri dell’amministrazione Bush, nonostante negli ultimi mesi si siano moltiplicate le richieste - provenienti anche da alcuni parlamentari democratici - indirizzate al Ministro della Giustizia Eric H. Holder per aprire un’inchiesta o istituire un’apposita commissione di indagine. L’unica inchiesta per ora in corso è quella interna al Dipartimento di Giustizia nei confronti di John C. Yoo (nel frattempo tornato alla carriera accademica a Berkeley) e di alcuni suoi colleghi dell’ufficio legale.

Estremamente rare sono infine anche le condanne eseguite su scala planetaria per la violazione dei trattati contro la tortura, in primo luogo a causa delle difficoltà di raccogliere prove in un paese straniero e per la mancanza di volontà politica dei vari governi. Nel mese di gennaio tuttavia, una corte federale di Miami ha emanato la prima condanna nella storia degli Stati Uniti in base ad una legge che consente di perseguire chi si è reso colpevole di torture anche in altri paesi. Il condannato a 97 anni di carcere è Chuckie Taylor, figlio dell’ex presidente liberiano Charles Taylor, accusato di atti di tortura nel paese africano. Un procedimento che, ironicamente, lo scorso mese di ottobre era stato applaudito ed indicato come modello per successivi casi dal Ministro della Giustizia dell’uscente amministrazione Bush, Michael B. Mukasey.

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