di Eugenio Roscini Vitali

Dopo un mese di trattative Hamas ed Israele hanno raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco duraturo, una tregua di diciotto mesi che prevede la riapertura di sei varchi di accesso alla Striscia di Gaza, la fine delle attività militari e la conseguente interruzione del lancio di razzi su Israele. L’unica incertezza rimane la gestione del contestato valico di Rafah, l’area indicata dai servizi segreti israeliani come canale i rifornimento per l’arsenale dei gruppi estremisti palestinesi e teatro nel 2008 di una rivolta che portò all’abbattimento del muro di metallo alto otto metri che separa l’Egitto dal territorio palestinese. Oltre alla comune volontà di pace e alle pressioni della comunità internazionale, l’intesa è stata finalizzata anche a causa della critica situazione politica israeliana, dovuta all’incertezza causata dalla difficile creazione di una coalizione di governo, e la necessità di dare il via alla ricostruzione della Striscia, risultato essenziale perché Hamas veda legittimata la sua posizione all’interno dei Territori palestinesi.

di Stefania Pavone

I risultati elettorali delle politiche israeliane affermano una tendenza certa: l’avanzata dell’aggregato della destra nelle sue espressioni laiche e religiose. A poco servirà, forse, quell’unico seggio con cui Tzipi Livni ha sopravanzato il leader del Likud Nethanyau. I ventidue giorni dell’offensiva “Piombo fuso” hanno testimoniato, nell’esito del voto, la vittoria del linguaggio della violenza e della guerra senza quartiere contro il popolo palestinese. Il futuro della pace è fosco, avvolto nel buio di un paese la cui campagna elettorale si è svolta tutta sul tema della sicurezza e per nulla sulle questioni sociali che pure urgono nel paese. Secondo molti esperti, l’analisi del voto mostra l’inquietudine di Israele rispetto ai propri leader, una sorta di frustrazione generale verso la classe dirigente del paese. Il consenso compatto sotto cui è avvenuta l’operazione militare a Gaza, non ha saputo nascondere quella frammentazione del quadro politico, nelle cui viscere si sono nutrititi e radicati i toni violenti della destra ultranazionalista di Lieberman.

di Michele Paris

Dopo appena tre settimane dal suo insediamento, il neopresidente degli Stati Uniti ha parzialmente abbandonato quello spirito bipartisan che aveva caratterizzato la sua biennale campagna elettorale e le prime fasi del processo di transizione verso la Casa Bianca. Alle prese con il faticoso cammino parlamentare del suo pacchetto di stimolo ad un’economia in crisi sempre più profonda, Barack Obama ha deciso di abbandonare Washington per cercare il supporto diretto del popolo americano in difficoltà, facendovi ritorno brevemente per tenere la prima conferenza stampa da presidente ed attaccare frontalmente l’opposizione repubblicana. “Il paese non può permettersi di aspettare oltre”, ha ammonito Obama, “e il dialogo con la minoranza al Congresso non può risolversi in un ritorno alle fallimentari politiche economiche degli ultimi otto anni”.

di mazzetta

Sul finire del 2003 è scoppiato il maggiore scandalo sulla proliferazione nucleare della storia. Uno scienziato pachistano, A.Q. Kahn, fu accusato di gestire una rete internazionale dedita alla vendita di hardware e software utile alla costruzione di armi nucleari. In realtà Kahn era da anni accusato di questi traffici, ma senza conseguenze. Quella volta invece le prove erano troppo evidenti e la denuncia troppo sonora per far finta di niente, provocando grande imbarazzo sia in Pakistan che negli alleati Stati Uniti, che erano perfettamente al corrente dei traffici, ma che li tolleravano come hanno sempre tollerato tutto il programma atomico pachistano. La storia di Kahn non è però quella di un avido pazzo che gira per il mondo vendendo segreti atomici, ma quella ben più densa di significati della “bomba atomica islamica”, un progetto annunciato pubblicamente negli anni '70 che vede associati da allora diversi paesi islamici: Pakistan, Arabia Saudita, Libia ed Iran, che da allora ad oggi hanno finanziato il programma atomico pachistano.

di Giovanni Gnazzi

Con un seggio di vantaggio sul Likud di Beniamin Netanyahu, Tzipi Livni esce vincitrice dalle elezioni politiche nello Stato ebraico. Un risultato, quello della Livni, che smentisce sostanzialmente le previsioni che davano Kadima per spacciato. Si dichiara vincitore anche Bibi Netanyahu, che ha portato il Likud ad un seggio di distanza da Kadima. Ma dalle urne israeliane esce comunque un quadro politico complesso, con una governabilità tutta da inventare. I sondaggi, che indicavano una grande ascesa della destra razzista di Israel Beitenu, in qualche modo si sono rivelati esatti, perché seppure minore di quanto ipotizzato, è comunque considerevole il risultato del partito arabofono di estrema destra guidato da Lieberman; un risultato che comunque impedisce alla Livni di fantasticare sulla sua carriera politica. Ciò anche in ragione della vera e propria sberla elettorale patita da Ehud Barak, possibile alleato di Kadima.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy