di Michele Paris

Mentre stanno iniziando le audizioni di fronte alle varie commissioni del Congresso per i candidati ad entrare a far parte della nuova amministrazione democratica, il 44esimo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sta imprevedibilmente incontrando una serie di ostacoli nel promuovere il suo piano di stimolo per un’economia in fase di recessione. A sollevare qualche dubbio non è stata tanto l’agguerrita minoranza repubblicana arroccata su posizioni sempre più tendenti verso destra, bensì la sinistra del suo stesso partito. Nel muovere i primi passi del suo primo mandato alla guida del paese, Obama rischia così di essere scavalcato da subito nel suo ruolo di principale agente di cambiamento dai colleghi di partito del Senato e della Camera dei Rappresentanti, i quali temono l’inefficacia di un intervento governativo troppo timido di fronte alla situazione in cui versa il paese.

di Eugenio Roscini Vitali

Chiedersi il perchè di una guerra tanto orribile quanto stupida è certamente inutile, non fosse altro perché una guerra è sempre una cosa assurda e perché chi l’ha decisa trova l’appoggio di gran parte della comunità internazionale, sia essa pro-Israele, sia essa pro-Gaza. Certo è che questa guerra non renderà gli israeliani più sicuri né l’estremismo islamico meno pericoloso, tanto meno renderà i 500 mila bambini che abitano la Striscia più liberi di giocare. Piuttosto accrescerà l’odio tra le generazioni a venire e impedirà per lungo tempo ogni forma di dialogo e ogni progetto di pace. Oltre a chi vende armi e casse da morto, in ogni guerra c’è comunque chi, suo malgrado, finisce per trarne un vantaggio: chi, in vista delle elezioni, conquista la fiducia dell’elettorato radicale; chi trova il modo per riacquistare una credibilità persa a causa di una sconfitta inattesa; chi riesce a prolungare la propria nomina nonostante il termine del mandato; chi rafforza la sua posizione, se pur estrema.

di Luca Mazzucato

NEW YORK. Il ritorno al “big government” è uno dei pilastri della nuova amministrazione Obama. Per fermare l'emorragia di posti di lavoro, il piano di Obama è semplice: spendere spendere spendere! L'idea che sta prendendo forma da due mesi a questa parte è quella di un colossale piano di stimolo per l'economia, pagato dal Congresso, che risolva due problemi in un colpo solo. Riconvertendo milioni di posti di lavoro in nuovi “colletti verdi” nel settore dell'efficienza energetica, Obama vorrebbe uscire dalla crisi economica, riportare negli Stati Uniti le filiere di produzione volate oltreoceano con la globalizzazione e allo stesso tempo risolvere il problema del riscaldamento globale. Un piano fin troppo ambizioso, ma che potrebbe funzionare davvero, persino secondo i parametri del libero mercato.

di Agnese Licata

Israele e Italia. Al di là del lavoro diplomatico (praticamente inesistente, in realtà), c’è un filo rosso tutto particolare che in questi giorni lega i due Paesi. Un filo rosso che si chiama uranio impoverito, U238, per gli amanti della chimica. Due terreni molto diversi, però. Da un lato, una guerra spietata, senza senso, un attacco che va avanti a colpi di “armi sporche”, senza particolari scrupoli di coscienza da parte di chi si considera unica isola democratica del Medio Oriente; dall’altro, un’aula di tribunale che, finalmente, inchioda il governo italiano alle sue responsabilità e alle sue ipocrisie sul modo con cui sono state gestite le cosiddette missioni di pace in giro per il mondo: dall’Iraq alla Somalia, dalla Bosnia-Erzegovina al Kosovo, senza dimenticare l’Afghanistan.

di Mario Braconi

I cittadini dellla cosiddetta unica democrazia del Medio Oriente sembrano insensibili all’enormità dei danni che l’operazione “Cast Lead” sta procurando a migliaia di innocenti. Il professor Asher Arian, esperto di sondaggi israeliano, sostiene che le operazioni militari di Gaza sono un esempio perfetto di “guerra fortemente sostenuta dalla popolazione”: in effetti, il quotidiano Haaretz ha commissionato una ricerca su un campione di 452 israeliani, per capire che cosa pensassero delle operazioni nella Striscia di Gaza. Ebbene, oltre il 70% degli intervistati ad essa è favorevole (il 52% ai soli attacchi aerei, circa il 20% anche alle operazioni di terra; passaggio, questo, particolarmente delicato in un paese dove praticamente tutti i giovani prestano servizio nell’esercito, rendendo altamente probabile il fatto di avere un parente o un amico tra i soldati al fronte). Il 20% del campione auspica invece una tregua immediata, mentre il 9% non ha risposto o ha detto di non sapere cosa rispondere.


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