di Eugenio Roscini Vitali

Parlando di elezioni da Teheran, la vera novità arriva dal piccolo schermo, il mezzo di comunicazione più diffuso e per il quale è stata prevista una serie di “faccia a faccia” che vedrà impegnati i quattro candidati in corsa per le presidenziali del prossimo 12 giugno. Oltre al confronto televisivo gli sfidanti potranno portare avanti una campagna individuale, per la quale il governo mette a disposizione una stessa quantità di tempo ed un eguale accesso ai mezzi di informazione. Un modo nuovo quindi di affrontare la politica con cui il Consiglio dei Guardiani ha voluto dirimere ogni eventuale dubbio, soprattutto dopo l’esperienza del 2005, quando le pressioni dei pasdaran influirono in maniera determinante sul risultato finale. Per la poltrona di presidente della Repubblica islamica il ministero degli Interni ha dichiarato eleggibili due candidati conservatori - il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad e l’ex capo dei Guardiani della rivoluzione Mohsen Rezaie - e due riformisti, l’ex presidente del Parlamento Mehdi Karroubi e l’ex Primo ministro Mir-Hossein Moussavi. I dibattiti, il cui ordine è stato stabilito per sorteggio durante un programma trasmesso dalla televisione di Stato, inizieranno alle 18:00 del prossimo 2 giugno ed avranno una durata di 90 minuti ciascuno. Il primo show vedrà di fronte Karoubi e Rezai; il giorno successivo toccherà ad Ahmadinejad e Mousavi. Quindi sarà la volta di Mousavi e Rezai (4 giugno), Ahmadinejad e Karoubi (6 giugno), Karoubi e Mousavi, (7 giugno) e Ahmadinejad e Rezai (8 giugno). Anche se in modo diverso, l’approccio ai media televisivi non è comunque un fatto del tutto nuovo. Nel 2005, infatti, prima di ogni dibattito la televisione di Stato concesse ai candidati uno spazio di quarantacinque minuti: un’opportunità che l’ex sindaco di Teheran sfruttò in maniera particolarmente proficua, dando di se l’immagine dell’uomo del popolo, vicino ai bisogni della gente comune e delle fasce sociali più deboli.

Sul piano elettorale, in Iran il dibattito politico “American Style” non é comunque l’unica novità. In una società sempre più connessa ad Internet, c’è chi ha cercato di guadagnare consensi utilizzando Facebook, Twitter e YouTube, social network e blog platform che giocano un ruolo sempre più rilevante nel dibattito politico a tutto vantaggio della corrente progressista, sicuramente più aperta alle novità di quanto lo possa essere la destra radicale. E’ forse per questo che, a poco più di due settimane dal voto ed adducendo ragioni morali, le autorità hanno tentato di ostacolare l'accesso ai siti di informazione politica bloccando l’ingresso a Facebook, il social network che nel mondo conta quasi 175 milioni di utenti. Un provvedimento definito da Karoubi come un palese tentativo di favorire la rielezione del presidente uscente e che dopo tre giorni è stato ritirato. Alcuni mesi fa le autorità iraniane, che monitorano la Rete 24 ore su 24, avevano chiuso l’accesso a più di cinque milioni di siti iraniani, cosa che non ha impedito comunque agli utenti della Rete di raggiungere gli indirizzi censurati.

La paura che Ahmadinejad possa essere messo in difficoltà dai “faccia a faccia” televisivi è grande. Troppi i fallimenti di una presidenza che ha puntato tutto sul progetto nucleare tralasciando problemi strutturali quali il lavoro, la povertà e la svalutazione. E’ per questo che in un discorso fatto nella provincia nord occidentale del Kordestan, la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, ha esortato il popolo iraniano a non votare per un candidato che in futuro potrebbe adottare una politica filo occidentale: “State attenti alle vostre scelte. Non lasciate che il vostro voto vada a coloro che potrebbero consegnarci al nostro nemico e non lasciate che la nazione possa perdere la sua dignità”. Khamenei non nasconde il suo sostegno all’attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad ed ammonisce i 46 milioni di elettori dal mettere il paese in mano ad un candidato che vorrebbe “adulare l'Occidente per conquistare una posizione nell’arena internazionale: equivarrebbe ad una vera e propria catastrofe, un fatto che non fa parte dei valori del popolo iraniano”.

Il tentativo di imbavagliare la Rete era stato anticipato dall’ex primo ministro Mousavi con la pubblicazione di un nuovo quotidiano, il Kalameh Sabz (Mondo Verde). Uscito in edicola a ridosso dell’inizio della campagna elettorale, il primo numero ritraeva in prima pagina Mousavi, capo del governo dal 1981 al 1989, e l’ex presidente Mohammad Khatami, leader del movimento riformista per il quale rivestì le funzioni di consigliere dal 1997 al 2005. Per l’editore del giornale, Ali Reza Hosseini Beheshti, Kalameh Sabz rappresenta il tentativo di creare una testata politica che a livello nazionale possa fronteggiare una stampa quasi totalmente controllata dagli organi di Stato. Media che Ahmadinejad usa ad arte per accusare i suoi rivali d’insolenza, candidati capaci solo di ricorrere alle bugie e agli insulti per danneggiare la sua immagine: “Dichiarazioni infondate che rappresentano un offesa all’intelligenza stessa della gente. Insulti alla nazione che, qualora dovessero continuare, costringerebbero il governo a riconsiderare le sue posizioni”.

Minacce che cercano di nascondere le difficoltà di un regime che chiude quattro anni di governo con un bilancio che vede l’inflazione alle stelle e il Tesoro che reclama più di un miliardo di dollari di mancate entrate; una perdita che si riferisce al biennio 2006-2007 e che è dovuta in particolar modo all’embargo sulla vendita del petrolio imposto dalla comunità internazionale. Secondo un sondaggio commissionato da Ayandeh News e pubblicato da Press-TV, in dieci grandi città Moussavi sarebbe in vantaggio di circa il 4%: 38% a favore dell’ex premier; 34% propenso ad un secondo mandato Ahmadinejad. Stesso distacco nella capitale, dove uno studio condotto da IRIB ha rilevato che gli elettori pronti a sostenere il candidato riformista sarebbero in 47%, contro il 43% di quelli favorevoli al presidente pasdaran. Una proiezione completamente diversa da quella pubblicata all’inizio di maggio, quando a Teheran e in altre 61 località - 29 delle quali capoluoghi di provincia - Ahmadinejad era dato al 58% contro il 22% di Musavi.

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