di Fabrizio Casari

“Oggi, 25 Gennaio 2009, si chiude l’epoca coloniale e si rifonda una nuova Bolivia, che offre pari opportunità a tutti i boliviani”. Con queste parole, pronunciate dal Palazzo del Quemado, il Presidente Evo Morales ha salutato il suo ennesimo trionfo elettorale nel paese andino, sancito da un voto favorevole al referendum sulla nuova Costituzione della Bolivia che ha raccolto oltre il 60 per cento dei voti, che mandano in soffitta 184 anni di storia coloniale boliviana. La nuova Costituzione, elaborata dall’Assemblea Costituente, aumenta notevolmente il controllo statale sull’economia e l’influenza delle 36 nazioni indigene nella rappresentanza politica, impone - con l’articolo 398 - il limite invalicabile di cinquemila ettari per l’estensione massima delle proprietà terriere e stabilisce che sarà necessario, in futuro, ottenere l’approvazione delle comunità indigene prima di poter sfruttare le risorse naturali nel loro territorio.

di Michele Paris

A mezzogiorno in punto di martedì 20 gennaio 2009, come stabilisce il 20esimo Emendamento della Costituzione americana al di là dell’avvenuto giuramento, Barack Obama è diventato ufficialmente il 44esimo presidente degli Stati Uniti. Oltre ad assumere la guida del paese, il primo comandante in capo di colore della storia americana dovrà farsi carico da subito di una lunghissima lista di problemi interni ed internazionali, in gran parte ereditati dall’amministrazione uscente. Per quanto l’entusiasmo propagatosi da Washington a praticamente tutto il pianeta nel corso della cerimonia di insediamento abbia pochi precedenti e faccia da contrasto all’immagine fortemente simbolica della solitudine di Bush e del suo vice Cheney – costretto su una sedia a rotelle a causa di un infortunio domestico – nell’appressarsi al palco delle celebrazioni al Campidoglio, sarà tutt’altro che semplice per Obama rispondere anche solo in parte alle enormi aspettative suscitate dalla sua parabola politica e personale.

di Alessandro Iacuelli


Prima ancora della fine dell'offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, l'accusa di aver usato armi al fosforo bianco aveva già fatto il giro del pianeta. Secondo molti mezzi d’informazione l'esercito israeliano avrebbe fatto un uso massiccio di armi al fosforo bianco. Sia chiaro, non si vuole in questa sede smentire questa ipotesi: sicuramente è stato usato del munizionamento illuminante al fosforo, principalmente bombe ad uso aereo e proiettili per artiglieria pesante, ma siamo proprio certi che si sia trattato di fosforo bianco? Se qualcuno viene colpito da fosforo incendiato, e non è possibile spegnerlo con acqua, le parti colpite presentano tracce profonde di fusione. Le immagini fotografiche e televisive arrivate da Gaza non smentiscono affatto l'uso del fosforo bianco, ma non tutte le ferite mostrate sono compatibili con questa sostanza incendiaria.

di Eugenio Roscini Vitali

Erano le 02:00 del 18 gennaio quando gli israeliani dichiaravano il cessate il fuoco unilaterale: il ministro della Difesa Ehud Barak metteva subito in chiaro che la decisione non precludeva una reazione militare a qualsiasi forma di attacco. Dopo pochi minuti, dalla Striscia di Gaza partivano due Quassam: obbiettivo i kibbutz adiacenti il confine orientale con Israele; nessuna vittima. A distanza di qualche minuto altri 15 razzi si abbattevano su Sderot, Ashkelon, Eshkol, e Kiryat Gat. Veniva attaccata la città di Ashdod, dove un missile feriva un civile e danneggiava una casa. L’esercito israeliano rispondeva con un intenso fuoco di artiglieria e con l’impiego degli F-16; alle prime luci dell’alba anche Harakat al-Muqawama al-Islamiyya (Hamas) annunciava la sospensione delle ostilità. Da Damasco arrivava la notizia che dall’incontro al quale avevano partecipato i rappresentanti dei maggiori gruppi armati palestinesi era scaturita una posizione unanime sullo stop ai combattimenti; anche la Jihad islamica e i volontari del Fronte popolare di liberazione confermavano la tregua.

di Stefania Pavone

Gaza giace distrutta. Il ritiro dell’esercito israeliano è giunto puntuale per non rovinare i festeggiamenti per l’insediamento di Barak Obama, l’evento mediatico per eccellenza. La guerra lampo di Israele ha lasciato sul campo l’immagine di un massacro che non ci si attendeva dalle promesse del nuovo secolo. Invece Gaza giace spezzata. E se la prima telefonata del nuovo presidente degli Stati Uniti è stata ad Abu Mazen, come a testimoniare il nuovo corso della Casa Bianca in ordine alle vicende del Medio oriente, le cifre parlano chiaro. Nei 22 giorni dell’assedio israeliano, ora fermato dalla tregua, la matematica d’inferno dei numeri annuncia spietata la cifra di ben 1500 morti, di cui l’85% sono civili. Ben 20.000 le case danneggiate dalle bombe con la scusa che sono basi logistiche di Hamas. Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha commentato con parole di fuoco, nella sua breve visita nella Striscia, le proporzioni del massacro. “Ho il cuore spezzato” ha detto il numero uno del Palazzo di vetro.


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