di Michele Paris

La notizia, è stata diffusa in anteprima dal quotidiano locale in lingua inglese DAWN ed è stata confermata da tutti gli organi di stampa internazionali e dagli stessi residenti: i Talebani hanno conquistato un’area strategicamente fondamentale del Pakistan. L’avanzata degli estremisti islamici nel distretto di Buner - porta d’accesso ad alcune grandi città pakistane, come la capitale Islamabad - arriva a poco più di due mesi dal controverso cessate il fuoco stipulato dal presidente Asif Ali Zardari con le milizie ribelli nella confinante “Swat Valley”, accordo risoltosi con l’introduzione della legge islamica (Sharia) e con l’abdicazione di fatto del governo centrale. La drammatica evoluzione degli eventi in un paese di oltre 160 milioni di abitanti dotato di armamenti nucleari rischia di sconvolgere gli equilibri dell’intera regione e di mettere sempre più in difficoltà un’amministrazione americana impegnata a combattere la resistenza talebana e gli affiliati alla rete terroristica di Al Qaeda nelle aree tribali del nord-ovest al confine con l’Afghanistan.

di mazzetta

Per capire cosa è successo attorno alla conferenza ONU contro il razzismo che si è chiusa ieri a Ginevra, basta leggere la composizione delle due squadre che si sono affrontate cercando di piegare l'evento alla propria convenienza politica. Da una parte Ahmadinejad, presidente iraniano prossimo alle elezioni in cerca di uno spot in grado di attenuare il discredito del quale gode in patria, dall'altra una serie di paesi e di governi che ricalcano esattamente la lista di quanti hanno fortemente voluto e messo in atto l'invasione illegale dell'Iraq. Italia, Polonia, Olanda, Nuova Zelanda ed Australia hanno seguito come cagnolini le mossa di Stati Uniti ed Israele, solo il governo britannico si è astenuto dalla pantomima.

di Luca Mazzucato

Il Presidente degli Stati Uniti non è (più) al di sopra delle leggi. Dopo tre mesi di alterne vicende, questo sembra il messaggio finale di Barack Obama, riguardo alle responsabilità penali di esponenti dell'amministrazione Bush per le torture inflitte ai “nemici combattenti.” Nonostante fino alla scorsa settimana la posizione di Obama fosse di “guardare avanti” e non perseguire gli esecutori né i mandanti politici delle torture, martedì il presidente ha cambiato idea, sotto la forte pressione delle agenzie per i diritti umani e di membri del Congresso. Dopo aver rilasciato decine di pagine contenenti i memorandum segreti di Bush che autorizzavano le torture, Obama ha infine ammesso che non spetta al presidente decidere chi può o non può essere processato e dunque il dipartimento di Giustizia e il Congresso dovranno decidere sulla legalità o meno della tortura. E la base democratica finalmente spera di vedere il cavaliere nero Dick Cheney sotto processo.

di Mariavittoria Orsolato

Pare sia finalmente finita l’odissea dei 140 migranti stipati sul mercantile turco Pinar, che lo scorso giovedì li aveva tratti in salvo nel canale di Sicilia scatenando un braccio di ferro diplomatico tra l’Italia e Malta. Un gruppo di naufraghi, circa una ventina, sono giunti ieri mattina a Porto Empedocle su un guardacoste della Guardia di finanza, altri 90 sono arrivati successivamente a bordo della nave Danaide della Marina militare, mentre i restanti 20 erano già stati portati domenica a Lampedusa, assieme alla donna incinta trovata cadavere sulla Pinar dai primi soccorritori. Ma andiamo per ordine. Il 16 aprile il cargo turco Pinar avvista due barconi alla deriva; essendo in acque maltesi, il capitano Asik Tuygun contatta le autorità portuali di La Valletta che, immediatamente, si offrono di coordinare i soccorsi e indicano alla nave porta container diretta a Sfax, in Tunisia, di fare rotta verso il porto più vicino, ovvero Lampedusa. Le autorità italiane - pur inviando un’equipe medica per accertarsi delle condizioni dei migranti - non autorizzano il Pinar a dirigersi verso l'isola e lo bloccano a 25 miglia a largo della maggiore delle Pelagie. Perché?

di Carlo Benedetti

Prima hanno fatto un deserto bombardando e distruggendo cittadine e villaggi. Poi - parafrasando Tacito - hanno definito il “tutto” come pace. Quindi hanno trovato un Quisling. Poi hanno portato sul posto oligarchi e banchieri per avviare la “ricostruzione”. Ed ora i nuovi padroni dell’intero paese cantano vittoria. La martoriata Cecenia, la regione (15.500 chilometri quadrati con 1.500.000 abitanti) che da anni si batte per l’indipendenza e contro il dominio russo, ormai è “cosa loro”. Mosca, dopo aver scatenato dal 1994 una guerra senza precedenti provocando decine di migliaia di vittime e profughi, distruzioni e genocidi, lancia il “tutti a casa”, richiamando un primo contingente di 20mila uomini. Dichiara al mondo di aver raggiunto il suo obiettivo che era quello di normalizzare la situazione.


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