di mazzetta

In Guinea-Bissau la realtà si è occupata ancora una volta di realizzare le fantasie più estreme. La storia racconta di un lungo confronto tra il presidente e il capo dell'esercito che risaliva ai tempi della dittatura (peraltro recente, visto che la transizione a una specie di democrazia è avvenuta nel 2005) e che lo scorso fine settimana è trasceso fino alla morte dei due antichi rivali. All'assassinio del capo dell'esercito Batista Tagme Na Waie, saltato insieme alla sua auto in un attentato, i militari hanno reagito poche ore dopo uccidendo il presidente. I ribelli non sembrano aver interesse alla presa del potere, ora assunto ad interim dallo speaker del Parlamento in attesa di nuove elezioni presidenziali. L'azione è sembrata una vendetta, piuttosto che un golpe, la rappresaglia tra clan rivali che si rumoreggia si contendano anche il lucroso traffico della droga

di Eugenio Roscini Vitali

Al Pentagono è ormai dissenso aperto: c’è chi non nasconde le sue preoccupazioni sul ritiro delle truppe dall’Iraq, chi pensa che lo sforzo militare in Afghanistan potrebbe diventare eccessivo, chi è certo che l’Iran abbia le capacità è il materiale sufficiente per realizzare la bomba atomica e chi infine smentisce. A dare il via alla prima querelle dell’era Obama è l’ordigno nucleare iraniano: da una lato l’annuncio dato ai microfoni della Cnn dall’Ammiraglio Mike Mullen, comandante dello Stato Maggiore interforze degli Stati Uniti, nominato da George W. Bush a giugno del 2007: questi si dice convinto che Teheran avrebbe una quantità di uranio arricchito superiore di un terzo rispetto alle previsioni e che sarebbe già in grado di sviluppare l’ordigno. Dall’altro la rapida smentita dello stesso segretario alla Difesa, Robert Gates, uno dei ministri repubblicani confermato da Barack Obama che sul canale Nbc ha detto di essere certo che al momento l'Iran non è neanche vicino ad avere il quantitativo di uranio arricchito necessario alla costruzione di una bomba atomica e ha la questione chiuso con un lapidale “c’è ancora tempo per convincerli a tornare indietro”.

di Michele Paris

È passato quasi un anno ormai da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti decretò lo stop alla moratoria della pena di morte, dichiarando legittimo il procedimento di esecuzione tramite iniezione letale. Dall’aprile del 2008 sono state così ben 51 le condanne eseguite in America e svariate altre decine risultano in calendario solo nelle prossime settimane. Un inaspettato contributo all’abolizione della pena di morte - per lo meno in alcuni dei 36 stati che ancora la prevedono nel proprio ordinamento giudiziario - potrebbe però giungere dall’attuale situazione economica di crisi, che sta producendo vere e proprie voragini nei bilanci di molti stati. Istruire casi nei quali viene richiesta la condanna capitale risulta infatti molto più oneroso per le finanze pubbliche rispetto ad un processo per omicidio dove la pena massima prevista sia il carcere a vita.

di Mario Braconi

Per tanto, troppo tempo, le banche inglesi sono state gestite da avventurieri che, complici la mancanza di controlli pubblici degni di questo nome e un’assurda fede nella sostenibilità di un sistema affidabile quanto una bicicletta in equilibrio su una corda a 50 metri da terra, sono quasi riusciti a mandare un intero Paese a gambe all’aria. Risultato? Il Governo britannico, nell’ambito del piano di salvataggio delle banche del valore di 37 miliardi di sterline, ha acquisito il controllo di Northern Rock, Bradford&Bingley e di Royal Bank of Scotland. Detiene inoltre il 58% di Hbos e il 30% di Lloyds Tsb, ovvero il 43,4% del Lloyds Banking Group, gruppo nato il 13 gennaio scorso dall’acquisizione di HBOS da parte della concorrente Lloyds TSB.

di mazzetta

L'esercito pachistano ha conseguito un'importante vittoria militare nella provincia di Bajur, mettendo in fuga qualche migliaio di talebani (afgani, pakistani con qualche arabo e qualche uzbeko di rinforzo) e uccidendone più di mille. Questa sembra l'unica notizia positiva che giunge dal Pakistan da mesi, una vittoria militare tutto sommato modesta. Per il resto è notte fonda per il Pakistan, piegato dalla crisi economica e della disgrazia di ritrovarsi con Azif Zardari alla presidenza in un momento del genere. Zardari non sta seguendo politiche troppo diverse da quelle del suo predecessore Musharraf, le analogie sono anzi impressionanti, ma a peggiorare la situazione c'è ora la crisi e un consenso politico in caduta libera, con il presidente in lite anche con il capo del governo che ha nominato lui stesso.


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