di Eugenio Roscini Vitali

Sono le 18:57 del 9 novembre 1989 quando, nel corso di una conferenza stampa, Gunter Schabowski, funzionario della Germania Est e da poco portavoce del governo, pronuncia in diretta le parole “Von jetzt”, “da adesso”. E’ all’applicazione del decreto sui viaggi che si riferisce, quello sui permessi che permette di attraversare il Muro senza paura, quello che ordina ai soldati di non puntare le armi contro i connazionali. Decine di migliaia di berlinesi si riversano lungo le strade mentre le guardie di frontiera sono costrette ad aprire i varchi lungo il confine che per 28 anni ha diviso la città; sono gli effetti della glasnost ad abbattere la barriera eretta nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1961, la politica della trasparenza promossa da Gorbaciov e condivisa dal presidente del paese satellite, Egon Krenz. E’ l’inizio di una nuova era, quella del disarmo, quella che chiude con la dottrina della sovranità limitata, la stessa che da una parte e dall’altra aveva legittimato i numerosi interventi militari, armati e non, che dall’America Latina all’Europa orientale avevano cambiato la vita di milioni di persone.

di Stefania Pavone

La Corte Suprema d’Israele ha formulato una serie di accuse ai comportamenti dei vertici militari nazionali durante l’operazione “Piombo Fuso”. All’indomani di elezioni che hanno spostato a destra il quadro politico dello stato ebraico e a fronte di un compatto consenso dell’opinione pubblica alla guerra lampo su Gaza, la tela del potere si squarcia ed apre le porte ad un sofisticato problema giuridico: Israele ha violato o meno le convenzioni internazionali al punto di poter configurare l’accusa di crimini di guerra? Mentre la diplomazia mondiale riparte dalla questione mediorientale con il duo Obama - Mitchell a capo e il presidente iraniano Ahmadjnejad dichiara di voler lavorare alla soluzione di “due popoli due stati”, una parte del paese non chiude gli occhi, anzi ha il coraggio di guardarsi alla specchio,rilanciando sul tema della devastazione di Gaza. Una quaestio giuridica e morale che orienterà il dibattito politico e storico mondiale sui duri giorni del massacro nella Striscia.

di Carlo Benedetti

Incredibile ma vero, toccherà proprio al veterocomunista Aleksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia, gestire l’avvicinamento del papa di Roma a Mosca. E come prima tappa di questo dialogo del secolo tra l’ortodossia degli slavi e il mondo vaticano, l’esponente di Minsk mette a disposizione la sua capitale per consentire l’incontro tra Ratzinger e il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill. Sarà - se tutto procederà secondo i piani prestabiliti - un avvenimento epocale, perché a vincere sarà stato proprio lui, il “demone” dell’Europa centrale, che sino a questo momento è descritto come un dittatore, un antidemocratico, un residuo dell’antico stalinismo.

di Michele Paris

La reazione nei confronti degli eccessi dell’ultraliberismo e della deregulation sfrenata degli ultimi tre decenni che ha condotto il sistema finanziario americano e planetario sull’orlo del baratro, ha suggerito più di un confronto tra gli inizi della presidenza di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 e quella di Barack Obama. Nonostante le evidenti analogie, l’esperienza dell’attuale presidente alla Casa Bianca durante i suoi primi 100 giorni, a ben vedere, riecheggia però in qualche modo anche i primi passi di un’altra e più recente storica presidenza che ha contribuito alla trasformazione del panorama politico statunitense - quella di Ronald Reagan - sebbene di quest’ultima ne rappresenti la sua incarnazione liberal. Entrambi succeduti a due presidenti ai minimi storici in termini di popolarità tra gli elettori - Jimmy Carter e George W. Bush - l’ex governatore repubblicano della California e l’ex senatore democratico dell’Illinois si sono infatti distinti nei primi mesi alla guida del paese per cercare di ristabilire rapidamente la speranza e la fiducia dei propri concittadini, inscrivendo un’agenda di ampio respiro all’interno di un progetto di rimodellamento dell’intero sistema americano, sia pure muovendosi in direzioni diametralmente opposte.

di Carlo Benedetti

Dal 1994, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è alla guida della Bielorussia. Molti media occidentali lo definiscono come “l’ultimo dittatore d’Europa”. Ma ora le tante pagine della storia dovranno essere rilette e riviste in chiave moderna. Perché Aleksandr Lukashenko sta a poco a poco vincendo la sua battaglia con l’Ovest. Ed eccolo a Roma per un colloquio in Vaticano con Benedetto XVI e per un incontro con il ministro degli Esteri Franco Frattini. E’ una svolta significativa ed è anche l’avvio di un disgelo tra l’Europa e Minsk. Perché l’ultima visita di un esponente bielorusso in un Paese occidentale era stata quella del 1995, in Francia. Da quel momento i contatti di Minsk con le cancellerie europee, Ue compresa, si erano interrotti. Da allora, infatti, molte le accuse alla Bielorussia. L'Unione europea e gli Stati Uniti, in particolare, hanno accusato Minsk di pesanti violazioni anche nel campo dei diritti umani.


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