di Rosa Ana De Santis


Ratzinger parte per l’Africa il prossimo 17 marzo. Andrà in Angola e in Camerun per abbracciare l’immenso continente nero. Una visita di alto valore simbolico con in testa l’unico fine di annunciare l’avvento custodito nel messaggio evangelico. La novella riconciliatrice del Cristo in un paese tormentato da divisioni e conflitti permanenti. La Chiesa non lavora a obiettivi politici, economici o sociali. A cuore ha soltanto il messaggio di fede e di conversione. Questo dichiara il papa alla prima pagina del suo diario di bordo. Sua Santità non ha visto o non ricorda le memorie dell’Africa e le sue cronache cariche di ingiustizia. Non ha ascoltato una parola dei suoi più fidi colleghi e non ricorda nemmeno più i suoi comizi domenicali. Così pare.

di Eugenio Roscini Vitali


Contro le manifestazioni organizzate nelle province di Sindh e Punjab dalla Lega musulmana-N, il presidente Asif Ali Zardari usa il pugno di ferro e, tanto per far capire che in Pakistan la musica non è cambiata, applica la Section 144, la norma che vieta a più di quattro persone di dar vita ad ogni forma di assembramento pubblico e limita il diritto di protesta. Vietata la lunga marcia che si oppone al verdetto della Corte suprema che dallo scorso 25 febbraio ha interdetto dalla vita politica il capo dell’opposizione Nawaz Sharif e suo fratello Shahbaz; limitata la loro libertà di movimento e fermati molti esponenti del partito, tra cui Raja Zafarul Haq; arrestati più di mille tra attivisti, difensori dei diritti umani e avvocati che chiedono il reinserimento dei giudici sospesi dall’ex presidente Pervez Musharraf; irruzioni della polizia nelle abitazioni di molti esponenti dell’opposizione, compresa quella del leader del partito Tehreek-e-Insaaf, Imran Khan, e di una famosa attivista per i diritti umani che da tempo lavora per l’indipendenza del sistema giuridico, Tahira Abdullah.

di Michele Paris


Tra le pieghe del bilancio federale per il 2009, licenziato con grande ritardo dal Congresso americano qualche giorno fa, è stata approvata una norma che favorirà gli spostamenti di persone e gli scambi commerciali verso Cuba. Anche se è stato necessario l’intervento del Segretario al Tesoro Tim Geithner per assicurare due senatori recalcitranti che la sostanza degli attuali rapporti tra i due paesi non cambieranno, le misure adottate – che cesseranno peraltro a fine settembre – appaiono a molti come un primo timido passo verso un disgelo a poco più di un anno di distanza dall’abbandono ufficiale della guida dell’isola caraibica di Fidel Castro. La palla passa ora alla Casa Bianca, da dove si attende che Barack Obama mantenga la promessa fatta in campagna elettorale di muoversi verso una normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba.

di Stefania Pavone


L’informazione nazionale ha detto che a Gaza è finita la guerra. Ma non è così. L’operazione lampo di Israele dall’inquietante nome “Piombo fuso” allunga la propria ombra sul presente di Gaza: la normalità della città è un logorante stato di assedio. La Striscia, con la complicità del governo egiziano di Hosni Mubarak , prono ai diktat israeliani e americani, continua e tenere sigillato il valico di Rafah e tutta la Striscia risulta completamente chiusa. La normalità dell’embargo al quale il fiero popolo palestinese oppone la propria allegra, ferma e orgogliosa resistenza segna i ritmi di una vita al rovescio che, lenta, scorre per le vie della città. A Gaza non fanno entrare nulla. L’assedio colpisce il settore edilizio, il più corroso dalla guerra. Niente cemento, niente ferro e niente chiodi per raddrizzare i cumuli di macerie. Ma anche: niente benzina, niente corrente. Insomma niente di niente. Ma Gaza resiste anche se si soffoca nel pauroso inferno che la devastazione e l’orrore dell’attacco israeliano ha condotto senza alcuna pietà per la vita e la sopravvivenza dei civili.

di Eugenio Roscini Vitali


In Irlanda del Nord sono le 21:40 del 7 marzo quando un commando attacca la base militare di Massereen, nella contea di Antrim, a nord ovest di Belfast, quartier generale del genio dell'esercito britannico: un’auto si avvicina all’ingresso della caserma ed alcuni uomini aprono il fuoco sparando una sessantina di colpi contro i soldati e il pulmino che sta consegnando la pizza; due i militari morti, Cengiz Azimkar e Mark Quinsey, quattro i feriti, uno dei quali gravemente. Il giorno dopo l'attentato viene rivendicato al giornale irlandese Sunday Tribune dalla Real IRA, la frangia scissionista dell'Esercito repubblicano Irlandese che la polizia dell’Ulster riteneva implicata in possibili attività mirate a compiere un attacco. Secondo il premier britannico Gordon Brown l’azione non potrà far deragliare il processo di pace; per il leader dello Sinn Fein, Gerry Adams, i responsabili stanno cercando di riportare i soldati britannici nell’Ulster, distruggere i progressi fatti dopo gli accordi di pace del Venerdì Santo tra cattolici ed unionisti e far precipitare l’Irlanda del Nord in un nuovo conflitto. Ma chi sono gli uomini della Real IRA e perché la pace decretata nel 1998 non ha segnato il termine dei i cosiddetti “Troubles”?


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