Dima Hasan è una ragazza siriana. Agronoma, interessata all’ecologia, internazionalista, lavora come educatrice. Il 5 marzo, Dima si recherà con altri coetanei all’ambasciata della Repubblica bolivariana del Venezuela a Damasco, per rendere omaggio a Hugo Chávez, che tanto lavorò contro le guerre imperialiste. Come quella che, per procura, continua a devastare la patria di Dima, dal 2011.

Di prove concrete dell’esistenza e dell’impiego di armi chimiche da parte di Assad in Siria non vi è tuttora traccia, ma il governo di Damasco e, in seconda battuta, quello di Mosca sono comunque responsabili di attacchi presumibilmente condotti con sostanze proibite contro i civili nel paese mediorientale in guerra.

 

Questa è in sostanza la posizione dell’Occidente in un frangente forse cruciale del conflitto, sempre più simile alle fasi che precedettero l’invasione dell’Iraq nel 2003 sulla base di accuse fabbricate dell’esistenza in questo paese di “armi di distruzioni di massa”.

Una causa attualmente all’attenzione della Corte Suprema americana minaccia di ridurre in modo drastico le entrate dei sindacati del settore pubblico negli Stati Uniti, restringendone ulteriormente il peso e l’influenza dopo anni di guerra condotta dagli ambienti della destra americana contro i presunti rappresentanti dei lavoratori.

 

Il caso - “Janus contro AFSCME” (Federazione Americana dei Dipendenti di Stati, Contee e Municipalità) - ruota attorno alla costituzionalità delle cosiddette “agency fees”, cioè le quote raccolte dai sindacati tra quei lavoratori non iscritti ma che godono ugualmente dei benefici derivanti dalla loro attività di contrattazione.

 

Questa forma di contributo da destinare ai sindacati è prevista in una ventina di stati americani. Varie iniziative di legge, quasi sempre repubblicane, hanno invece abolito altrove l’obbligatorietà della pratica e privato le stesse organizzazioni dei dipendenti pubblici di decine di milioni di dollari in entrate.

La tregua di 30 giorni, decisa sabato scorso all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non ha finora impedito la prosecuzione dei combattimenti praticamente su tutti i fronti di guerra in Siria. L’attenzione di governi e media occidentali si è concentrata sull’enclave “ribelle” di Ghouta orientale, in prossimità della capitale Damasco, dove le forze governative del presidente Assad stanno conducendo una dura offensiva per riconquistare un territorio di fondamentale importanza strategica.

Con le annunciate manovre militari nelle Bahamas, gli Stati Uniti mostrano i muscoli al Venezuela. Lo fanno dopo le minacce di Trump, che annunciò avere “varie opzioni sul Venezuela, compresa quella militare”. Minacce reiterate dal Segretario di Stato, Rex Tillerson, nel suo recente tour latinoamericano, dove ha chiamato i paesi satelliti degli Stati Uniti (Mexico, Colombia, Argentina, Brasile, Perù, Paraguay, Cile ed altri) ad isolare il Venezuela, ricordando a tutti che la “Dottrina Monroe” continua ad essere l’essenza pura della relazione tra Washington e l’intero continente americano.


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