Dopo mesi passati a cercare le prove del “Russiagate”, gli Stati Uniti scoprono di avere la Russia in casa. Nella californiana Silicon Valley, per la precisione. Si chiama Facebook. Sono partiti da lì, e non da misteriosi hacker nascosti fra gli Urali, i dati che poco più di un anno fa hanno permesso a Donald Trump di giocare sporco e di vincere le elezioni presidenziali contro Hillary Clinton.

 

Da quando è scoppiato lo scandalo, il social network più diffuso al mondo è al centro di un tiro al bersaglio sul Nasdaq capace di bruciare oltre 50 miliardi di dollari in un paio di sedute. Il suo padre fondatore, Mark Zuckerberg, ne è uscito con parecchi soldi in meno e soprattutto con un’immagine irrimediabilmente infangata.

L’offensiva dell’amministrazione Trump contro la Cina, nel disperato tentativo di contenere la crescente influenza economica e strategica del gigante asiatico, ha subito una nuova accelerazione in questi giorni, dispiegandosi su due fronti particolarmente delicati: Taiwan e guerra doganale.

 

Lo scorso fine settimana, il presidente americano ha firmato una nuova legge, approvata all’unanimità dal Congresso di Washington, che rappresenta una provocazione nei confronti di Pechino. Il Taiwan Travel Act incoraggia in sostanza esponenti di qualsiasi livello del governo USA a recarsi in questo paese per incontrare le proprie controparti. Allo stesso tempo, il provvedimento consente e facilita le visite negli Stati Uniti di alti ufficiali del governo taiwanese.

Con notevole ritardo, la magistratura francese, precisamente la Procura di Nanterre, ha deciso di mettere agli arresti l’ex presidente Nicolàs Sarkozy, accusandolo di finanziamento illecito alla sua campagna elettorale del 2007. Si tratta dei fondi ricevuti dall’ex leader libico Moammar Gheddafi, dapprima generoso finanziatore del candidato all’Eliseo, poi vittima della guerra che lo stesso Sarkozy ha scatenato per deporlo, affinché la verità sui fondi neri provenienti da Tripoli non fosse divulgata.

Il nuovo successo elettorale conquistato domenica scorsa assicura a Vladimir Putin un prevedibile quarto mandato alla guida della Russia che sarà segnato quasi certamente da crescenti tensioni internazionali attorno al ruolo del suo paese in alcune aree strategicamente cruciali del pianeta.

 

Il voto era stato preceduto da un’eccezionale campagna di discredito orchestrata dai governi occidentali, culminata negli ultimi giorni nelle accuse infondate rivolte a Mosca per l’avvelenamento dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari, Sergei Skripal, e della figlia nella cittadina britannica di Salisbury.

 

Putin ha ottenuto più del 76% dei consensi in una competizione mai lontanamente in bilico. Le denunce di irregolarità e brogli diffusi, spesso rivolte in passato da più parti in Occidente alle operazioni di voto, sono state questa volta decisamente più contenute, lasciando spazio a critiche di altra natura: dal restringimento degli spazi del dibattito democratico agli ostacoli posti alle candidature indipendenti e di esponenti dell’opposizione, alla mancanza di reali alternative a causa delle tendenze repressive del regime di Putin.

La Turchia e i suoi alleati dell’Esercito libero siriano (Els) hanno conquistato Afrin, enclave curda nel nord ovest della Siria. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha raggiunto così l’obiettivo di sottrarre la città al controllo dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg), la milizia curdo-siriana accusata dai turchi di avere legami con il Pkk, movimento secessionista curdo attivo in Turchia e classificato fra le organizzazioni terroristiche da Ankara, Ue e Usa.


“La città è stata conquistata alle 8.30 - ha detto Erdogan domenica - la maggioranza dei terroristi è già fuggita con la coda fra le gambe. Le nostre forze speciali e i membri dell'Els si stanno occupando di quelli che restano e delle trappole che hanno lasciato dietro di loro”.


Ma i miliziani curdi hanno chiarito che non intendono arrendersi: “Combatteremo fino alla liberazione di Afrin - si legge in una nota - la resistenza continuerà fino a che ogni millimetro sarà liberato e il popolo ritornerà alle proprie case. La nostra guerra contro l'occupazione turca e le forze militanti chiamate Esercito libero siriano è entrata in una nuova fase, passando dal confronto diretto ad una tattica colpisci e scappa”.


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