E’ ripreso a Managua il dialogo nazionale, ovvero il tavolo del negoziato tra governo e opposizione con la “mediazione” della Conferenza Episcopale, che sebbene sia parte in causa diretta con il sostegno pieno all’opposizione, per comune convenienza viene investita del ruolo di arbitro. Insieme alla ripresa del dialogo, è tornata a Managua la delegazione della CIDH, la Commissione Interamericana per i diritti umani, per una ulteriore missione nell’ambito della partecipazione di entità internazionali in assistenza ai colloqui.

 

Pur con tutte le cautele del caso, il presidente americano Trump ha promesso questa settimana la creazione di un nuovo comando militare indipendente per le presenti e, soprattutto, future operazioni che gli Stati Uniti condurranno nello spazio. L’iniziativa non rappresenta esattamente una novità, visto che è al cento del dibattito di governi e vertici militari USA almeno fin dal progetto “Star Wars” dell’amministrazione Reagan, ma potrebbe trovare uno slancio decisivo nel quadro della crescente competizione con potenze come Russia e Cina.

Da un punto di vista logico, la presenza degli Stati Uniti nel consiglio ONU per i diritti umani (UNHRC) è sempre stata una gigantesca contraddizione in termini se si attribuisce a questo organo la promozione e la difesa di valori democratici umanitari. L’uscita di Washington dal consiglio, annunciata questa settimana dall’amministrazione Trump, non è però la presa d’atto del ruolo distruttivo e destabilizzante della prima potenza del pianeta, bensì una nuova conferma della colossale ipocrisia degli USA sul tema dei diritti umani e, una volta venuto meno il vincolo formale delle Nazioni Unite, il segnale di nuovi futuri crimini nella proiezione degli interessi di questo paese.

Il numero crescente di separazioni forzate di immigrati minorenni dai loro genitori e le immagini di bambini e ragazzi, rinchiusi in appositi centri di detenzione in territorio americano, stanno provocando un’escalation di proteste nei confronti dei metodi simil-nazisti impiegati dall’amministrazione Trump per far fronte alla presunta invasione in atto dei confini degli Stati Uniti.

 

Il sentimento diffuso di repulsione suscitato dalla persecuzione dei migranti, inclusi quelli che vivono e lavorano in America, è inoltre sempre più sfruttato politicamente dal Partito Democratico. Molti dei suoi leader e membri del Congresso hanno alzato il tono della polemica con la Casa Bianca e intrapreso azioni apparentemente eclatanti nel fine settimane per condannare le politiche migratorie del governo.

Durante lo storico faccia a faccia di martedì tra il presidente americano Trump e il leader nordcoreano, Kim Jong-un, quest’ultimo ha sussurrato all’orecchio del primo che, per “molte persone nel mondo”, l’evento in corso a Singapore sarebbe apparso come una “scena da film di fantascienza”. Se si pensa alla storia delle relazioni tra i due paesi e al clima creatosi nel corso del 2017, la tesi di Kim appare senza dubbio condivisibile.

 

Ciononostante, l’incontro è il logico risultato dei processi politici e strategici registrati in Asia orientale nei primi mesi dell’anno e lascia intravedere per lo meno la possibilità concreta di una reale distensione. Che poi il successo di un eventuale accordo tra Washington e Pyongyang comporti automaticamente anche solo l’allentamento delle tensioni nella regione o, ancor più, un abbassamento del livello di scontro tra USA e Cina appare tutt’altro che garantito.


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