A pochi giorni dall’accettazione da parte degli USA della proposta nordcoreana di un faccia a faccia tra il presidente Trump e Kim Jong-un, le prospettive per la possibile apertura di un serio canale diplomatico tra Washington e Pyongyang rimangono a dir poco incerte e piene di insidie. L’incognita principale è rappresentata proprio dall’atteggiamento del governo degli Stati Uniti, ancora ben lontano dal chiarire su quali basi e con quali obiettivi specifici la Casa Bianca intende apprestarsi ad affrontare lo storico incontro.

Il probabile avvelenamento in una città inglese di un ex colonnello dei servizi segreti militari russi ha prevedibilmente inasprito questa settimana lo scontro diplomatico tra Londra e Mosca. Il 66enne Sergei Skripal e la figlia, Yulia, restano in condizioni critiche dopo essere entrati in contatto con una sostanza ancora non del tutto definita.

 

Media ufficiali e politici britannici, da parte loro, hanno già puntato il dito contro il Cremlino, nonostante non ci siano prove del coinvolgimento del governo di Putin né, tantomeno, un ragionevole motivo che abbia potuto spingere quest’ultimo ad autorizzare un’azione così clamorosa.

L’emorragia di collaboratori del presidente americano Trump è proseguita in questi giorni con le dimissioni del numero uno del Consiglio Economico Nazionale della Casa Bianca, Gary Cohn. Quello dell’ex top manager di Goldman Sachs è l’abbandono più importante tra i moltissimi registrati finora, sia per la posizione occupata sia, ancor più, per le implicazioni che potrà avere sul corso della politica economica dell’amministrazione repubblicana.

La visita di martedì a Pyongyang di una delegazione di alto livello del governo sudcoreano ha portato apparentemente a un miglioramento delle prospettive di pace di fatto senza precedenti nell’ultimo decennio. Lo stesso leader nordcoreano, Kim Jong-un, è stato protagonista di un lungo incontro con gli inviati di Seoul e le dichiarazioni ufficiali che sono seguite hanno evidenziato un possibile significativo cambiamento delle posizioni del regime, i cui effetti saranno da verificare soprattutto a Washington.

La decisione presa settimana scorsa dal presidente americano Trump di imporre pesanti tariffe doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio ha scatenato una valanga di critiche sul fonte domestico e internazionale, così come una serie di minacce di ritorsioni, anche da parte di paesi alleati di Washington, che prospettano lo scatenarsi a tutti gli effetti di una pericolosissima nuova guerra dei dazi su scala globale.


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