L’annuncio di questa settimana dell’accordo di vendita alla Polonia del sistema difensivo missilistico americano Patriot è arrivato tutt’altro che casualmente nel pieno dell’escalation dello scontro tra Occidente e Mosca con il pretesto dell’avvelenamento dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari russi, Sergei Skripal.

 

L’intesa tra Washington e Varsavia è anche l’ennesima prova degli sforzi da parte degli Stati Uniti di consolidare i legami con i paesi dell’Europa orientale, sempre in funzione anti-russa ma anche in risposta alle ambiguità fin troppo evidenti di svariati paesi europei, a cominciare dalla Germania, nei rapporti con il Cremlino.

Se la visita di questa settimana a Pechino del leader nordcoreano, Kim Jong-un, è stata definita “inaspettata” dalla gran parte della stampa internazionale, l’incontro con il presidente cinese, Xi Jinping, non ha in realtà nulla di sorprendente, ma si inserisce in maniera perfettamente logica nelle recenti dinamiche strategiche che stanno interessando la penisola di Corea.

 

Gli oltre sei anni trascorsi a partire dall’ascesa al potere prima che Kim si sia deciso a recarsi sul territorio del proprio principale alleato corrispondono grosso modo a quelli che aveva atteso anche suo padre e predecessore, Kim Jong-il, prima di fare il suo debutto internazionale nel 2000. Anche il quel caso, il vertice in Cina era avvenuto alla vigilia di un incontro con i leader della Corea del Sud.

Alcuni risvolti inediti dell’assalto al gay club Pulse di Orlando, in Florida, nel giugno del 2016 sono emersi questa settimana nel corso del processo alla moglie dell’attentatore, l’allora 29enne di origine afgana Omar Mateen. Il padre di quest’ultimo sarebbe stato cioè un informatore dell’FBI per parecchi anni, così che uno dei più sanguinosi episodi di terrorismo mai accaduti sul territorio americano potrebbe ancora una volta intrecciarsi in maniera inquietante con le pratiche a dir poco ambigue dei servizi di sicurezza degli Stati Uniti.

La decisione presa qualche giorno fa dal presidente americano Trump di nominare John Bolton nuovo consigliere per la sicurezza nazionale rappresenta un nuovo pericoloso passo avanti verso la creazione a Washington di una sorta di gabinetto di guerra. L’ex ambasciatore USA alle Nazioni Unite è infatti uno dei “falchi” più irriducibili dell’establishment repubblicano, nonché gravemente compromesso con i crimini dell’amministrazione Bush. Per ogni sfida alle mire egemoniche americane, la soluzione offerta da Bolton è e continua a essere quella della forza militare.

Gli sforzi del governo britannico nell’attaccare la Russia per il presunto avvelenamento dell’ex ufficiale dei servizi segreti militari di Mosca, Sergei Skripal, e la figlia Yulia sembrano procedere di pari passo con il progressivo crollare delle esili fondamenta su cui si basa la versione ufficiale della vicenda.

 

La ricostruzione del caso fatta dalle autorità di Londra sarebbe anzi molto probabilmente già stata smentita se i media ufficiali, invece di propagandare la tesi del governo, si fossero interrogati o avessero indagato in maniera seria su una serie di questioni a dir poco sospette e tuttora senza risposta.


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