La generosità disinteressata degli Stati Uniti nei confronti degli alleati europei ha avuto occasione di manifestarsi nuovamente questa settimana dopo che, grazie a un’iniziativa bipartisan del Senato di Washington, è stata depositata una proposta di legge per rafforzare la sicurezza energetica del vecchio continente. Il “European Energy Security and Diversification Act” è stato scritto e presentato mercoledì dal senatore democratico Chris Murphy e da quello repubblicano Ron Johnson.

 

In un comunicato diffuso alla stampa, i due politici si sono scagliati contro “l’influenza maligna” sul mercato energetico europeo della Russia, vero obiettivo del neonato provvedimento. Il linguaggio usato dai due senatori nasconde a malapena il loro ruolo di promotori, da un lato, degli interessi dell’industria energetica americana e, dall’altro, di quelli strategici della classe dirigente americana.

 

Se ancora vi erano dubbi sul pessimo stato delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Cina, questi sono stati fugati nei giorni scorsi con la visita a Pechino in un clima estremamente teso del segretario di Stato americano, Mike Pompeo. Il capo della diplomazia USA è stato protagonista di un acceso scambio di battute con il suo omologo cinese, in quella che è sembrata la logica conseguenza di un’escalation di provocazioni messe in atto da Washington nelle ultime settimane.

 

Già il fatto che il presidente cinese, Xi Jinping, non abbia incontrato personalmente Pompeo ha dato il polso della situazione tra le prime due potenze economiche del pianeta. Il segretario di Stato ha visto invece il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, il quale di fronte alla stampa internazionale ha rimproverato gli Stati Uniti per le “continue interferenze negli affari interni ed esterni della Cina”.

La sorte tuttora misteriosa del giornalista saudita Jamal Khashoggi, sparito il 2 ottobre scorso nel consolato del suo paese a Istanbul, rischia di incrinare seriamente i rapporti già tesi tra Riyadh e Ankara, con possibili riflessi negativi anche sull’alleanza apparentemente ancora solidissima tra la stessa monarchia sunnita e il governo americano.

 

Sulla vicenda è intervenuto nei giorni scorsi il presidente turco Erdogan per chiedere al regime saudita di chiarire i movimenti di Khashoggi e dimostrare quanto sostenuto a Riyadh, cioè che il noto giornalista sarebbe uscito liberamente dall’edificio che ospita il consolato.

 

Martedì le autorità saudite hanno garantito alle forze di polizia turche la possibilità di entrare nel consolato di Istanbul e verificare l’assenza di Khashoggi. Questa concessione sembrerebbe confermare che quest’ultimo non si trova più nella struttura, anche se potrebbe averla lasciata non di sua spontanea volontà o addirittura dopo essere stato assassinato al suo interno.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ripreso i lavori nella giornata di lunedì con uno schieramento probabilmente mai così a destra nella storia americana dopo la conferma nel suo nuovo incarico del giudice Brett Kavanaugh. Il percorso verso la nomina dell’ex membro del tribunale federale d’Appello del District of Columbia è stato com’è noto complesso e profondamente controverso, in seguito a una campagna disonesta e fuorviante condotta senza successo dal Partito Democratico e dagli ambienti “liberal” in generale.

 

La ratifica della nomina di Kavanaugh da parte del Senato di Washington era stata messa in serio dubbio qualche settimana fa dopo che la dottoressa Christine Blasey Ford, docente presso un’università della California, aveva accusato il prescelto di Trump di avere tentato di violentarla oltre trent’anni fa durante una festa a cui entrambi erano stati invitati.

Le sanzioni economiche contro l’Iran, riapplicate dall’amministrazione Trump dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare del 2015, mercoledì sono state giudicate illegali anche dal più alto tribunale internazionale. La Corte Internazione di Giustizia delle Nazioni Unite ha emesso un verdetto “ad interim” in un caso scaturito da una denuncia presentata da Teheran, ordinando a Washington di sospendere alcune delle misure punitive tornate recentemente in vigore.

 

Anche se la sentenza è vincolante e non prevede appelli, il Tribunale con sede a L’Aia non ha alcuno strumento per farla rispettare. Gli USA, inoltre, non hanno mai riconosciuto questo organo di giustizia internazionale. Recentemente, il consigliere della Casa Bianca per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, aveva addirittura minacciato sanzioni e misure detentive nei confronti dei giudici della Corte che avessero aperto procedimenti penali contro cittadini americani.


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