di Giuseppe Zaccagni

Scatta nel mondo, proprio nel momento in cui i riflettori sono puntati sui giochi di Pechino, un’attenzione particolare nei confronti dell’economia cinese. Gli analisti delle maggiori banche invitano a riflettere su alcuni dati incontestabili. Quelli che rivelano che la produzione, per la prima volta da 11 anni, inizia a rallentare: il Prodotto interno lordo crescerà a un tasso inferiore al 10%; le stime governative si fermano al 9,8%, ma secondo gli esperti si potrebbe scendere fino all'8%. Intanto l’inflazione sale e i salari stagnano. Montano le tensioni sociali e politiche. Ed esplodono anche quei conflitti che sembravano domati dalla repressione poliziesca (tibetani ed uiguri). Le colpe della regressione economica - secondo autorevoli fonti di Hong Kong - sono il risultato di un calo della domanda estera e degli investimenti che segnalano l’arrivo di una bolla speculativa che è la conseguenza del fatto che la Borsa di Shangai, in questi tempi, ha già perso la metà della capitalizzazione. E questo mentre il mercato immobiliare - da sempre considerato come il boom della Cina - sta rallentando.

di Giovanni Cecini

La televisione ci comunica che le città sono deserte e che i pochi negozi aperti sono presi d’assalto dal popolo condannato alle vacanze domiciliari. Uno strano fantasma però si aggira intorno agli sportelli delle banche e degli uffici postali. In questi giorni sono stati molti i clienti degli istituti che per telefono o di persona hanno fatto trillare la sveglia dei propri rapporti dimenticati. Non sono mancati i timori e le perplessità, soprattutto per coloro che ricordavano bene quel caldo luglio del 1992, governo Amato, quando subirono il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti bancari, motivato da “interesse di straordinario rilievo”, in relazione alla “situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica”. Cos’è dunque questa frenesia ferragostana? Cosa ha rappresentato la data del 16 agosto 2008, per altro un sabato postfestivo, per i distratti correntisti italiani?

di Mario Braconi

C’era una volta l’America delle banche allegre e spregiudicate, che convincevano l’uomo della strada ad indebitarsi in modo insostenibile per comprare una casa, il cui costo era molto oltre le sue possibilità presenti e future. Era l’America strabica e bigotta raccontata dai songwriters più sensibili, il paese incomprensibile dove possedere ed usare disinvoltamente un’arma da fuoco è considerato moralmente meno disdicevole che concedersi una sigaretta; dove il concetto di fare la guerra ad un altro paese veniva e viene accettato senza patemi d’animo mentre non avere soldi per pagare i debiti era un marchio di infamia. Quel paese in qualche modo non c’è più, rivoltato come un calzino da eventi tanto distruttivi quanto inattesi ai più: il crollo del mercato immobiliare e la bomba dei subprime; i bilanci in rosso delle banche di Wall Street e il robusto e convinto interventismo statale, dopo che è stata abiurata in fretta e furia la fede, un tempo cieca ed acritica, nella “mano invisibile” del mercato. I tempi si sono fatti difficili e, tra gli altri, crolla l’ultimo mito a stelle e strisce: non pagare i propri debiti, lungi da trasformare l’insolvente in un paria, sta diventando quasi trendy.

di Marco Montemurro

Centri commerciali, grattacieli, nuovi uffici, centri direzionali e abitazioni, così sarà modellato il nuovo volto di Roma. Fiumi di cemento conquistano terreni e costantemente nuovi palazzi sorgono in tutte le periferie romane. La capitale sta cambiando molto, il settore dell’edilizia è in fermento, grandi opere sono state realizzate e altre sono in cantiere e in progettazione. “Da qualche anno siamo tornati a costruire ai ritmi degli anni Sessanta”, così commenta Paolo Berdini, docente di urbanistica presso l’Università di Roma Tor Vergata e autore del libro “La città in vendita”, riferendosi alle ricerche economiche del Cresme. I cantieri sorgono con ritmi costruttivi da Italia del dopoguerra ma, sottolinea il professore in una intervista al quotidiano Liberazione pubblicata il 19 luglio, la differenza rispetto al passato è che le opere adesso si progettano in grande.

di Mario Braconi

Tempi duri per le compagnie aeree di tutto il mondo, disastrate dagli irragionevoli costi del petrolio (cresciuti quasi del 50% in un anno) e i prodromi di una recessione globale, che sta influendo negativamente sulle aspettative dei consumatori. Quando British Airways si presenta dai suoi azionisti con un bilancio trimestrale in calo del 90% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è chiaro quanto grave sia il problema: non si tratta più di impedire l’erosione dei margini di profitto; i vettori globali, oggi, devono lottare per la loro stessa sopravvivenza. In molti paesi, Italia a parte, si tende ad affrontare i problemi con una miscela di pragmatismo e spregiudicatezza. Per allontanare lo spettro di fallimenti disastrosi, i governi stanno dando la loro sentita benedizione alle varie fusioni che si presentano, anche se esse sono indubbiamente discutibili dal punto di vista antitrust: ad aprile Delta e Northwest, rispettivamente il terzo e il quinto vettore USA, dopo un periodo di commissariamento dovuto ai conti in rosso, hanno deciso di unirsi in matrimonio. Il Governo austriaco sta pensando seriamente di disfarsi del suo 43% di Austrian Airlines per cederlo a Lufthansa; si parla della possibile privatizzazione della JAT, compagnia di bandiera serba.


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