di Ilvio Pannullo

Dopo aver chiuso la settimana borsistica più nera del 2008, oggi sui mercati mondiali è tornato l'ottimismo. Il motivo che ha portato gli investitori a comprare azioni è stata la scelta del Tesoro Usa di nazionalizzare le due agenzie governative dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac. Notizia che ha mandato in fibrillazione le quotazioni di tutti i titoli finanziari, con rialzi superiori al 10% per colossi come Hbso, Barclays, Axa, Ubs e così via. Ma anche il dollaro ha recuperato terreno, chiudendo a quota 1,419 nei confronti dell'Euro, un livello che non vedeva più dall'ottobre del 2007. In sostanza euforia e gioia per tutti e questo nonostante appena la settimana scorsa, Fannie Mae e Freddie Mac avevano annunciato perdite record e, cosi come loro, la maggior parte delle società che offrono servizi finanziari. A ciò si aggiungano disoccupazione in aumento, l'aggravarsi della crisi dovuta ai pignoramenti, il budget statale nel caos e ovunque gravi fallimenti. Era, dunque, più che ragionevole aspettarsi che il dollaro e il mercato azionario crollassero e che l'oro e il petrolio andassero alle stelle. Stranamente, tuttavia, l’ indice “Dow Jones Industrial Average” ha guadagnato 300 punti, il dollaro si è rafforzato mentre l'oro e il petrolio sono crollati. Cos'è successo?

di Mario Braconi

A voler essere sintetici fino alla brutalità, il cosiddetto piano Fenice può essere così riassunto: si prende l’Alitalia e la si taglia in due; si regala poi la parte ancora produttiva ad imprenditori amici (in cambio di che cosa?) mettendo in conto esuberi e debiti alla maggioranza degli Italiani che non possono e forse ormai non hanno più la forza di ribellarsi. Un percorso impervio, ma non impossibile, specialmente se si procede a mo’ di carro armato, spianando la legge sulla gestione delle crisi delle grandi imprese e quelle sulla concorrenza e se si può contare su un amico fedele alla Commissione Europea. Questo lo spot: Silvio Berlusconi, non pago della prodigiosa dematerializzazione della mondezza napoletana, ha fatto un altro miracolo: primus inter pares, chiama a raccolta un po’ d’imprenditori, i quali, galvanizzati, mettono in campo i propri capitali per salvare la compagnia di bandiera e perseguire il bene comune. Pur assuefatti, come siamo, alla retorica fasulla dei sedicenti “capitani coraggiosi” sin dai gloriosi tempi della merchant bank di Palazzo Chigi, non riusciamo a non arrossire di fronte a tanta faccia tosta.

di Giovanni Cecini

Negli ultimi anni in Italia si è parlato di Argentina solo per i suoi guai finanziari, per i milioni di risparmiatori che hanno riposto fiducia nei “Tango-bond” e per poche altre cose, quasi sempre negative. Oggi, mentre in casa nostra si discute di privatizzare l’Alitalia, a Buenos Aires il clima è esattamente all’opposto in fatto di compagnia di bandiera. Diciotto anni dopo la cessione ai privati e una pessima gestione, il Governo ha ottenuto l’approvazione dei due rami del Parlamento sulla proposta di nazionalizzazione delle Aerolineas Argentinas. L’azienda, nel 1990, a fronte di una crisi molto profonda e non senza forti polemiche, venne venduta dallo Stato: il 35% (poi divenuto l’85%) all’Iberia, il 10% all’American Airlines e le rimanenti quote ad altri azionisti nazionali. La partecipazione pubblica inizialmente rimase al 15%, per venir ridotta in fasi successive a circa 1/3. Il partenariato con aziende solide nel traffico aereo sembrava ai più sinonimo di rilancio e di nuova competitività, ma la compagnia pubblica di bandiera spagnola non si distinse per brillantezza nel suo operato. Dopo oltre un decennio di bilanci in negativo, essa fu obbligata a cedere nel 2001 le sue quote per un simbolico dollaro al gruppo iberico di turismo e trasporti Marsans, lasciando un buco di 700 milioni di dollari.

di Mario Braconi

I Fondi Sovrani, braccio operativo di alcuni governi nella finanza globale, investono enormi quantità di denaro negli USA e in Europa; grazie ai prezzi bassissimi conseguenti al crollo delle Borse essi hanno acquistato attività pregiate a prezzi di realizzo, ridisegnando la mappa degli equilibri strategici globali - secondo BreakingViews, nell’ultimo anno i Fondi Sovrani hanno fatto shopping per oltre 75 miliardi di dollari. Alcuni esempi: a fine 2007, dopo l’annuncio di costi straordinari per oltre 9 miliardi (effetto subprime), la China Investment Corporation (patrimonio stimato attorno ai 200 miliardi di dollari) ha iniettato nella banca americana Morgan Stanley Dean Witter cinque miliardi di dollari di capitali freschi; la stessa China Investment Corporation ha anche investito 3 miliardi di dollari in BlackStone, importante gestore di fondi americano con attività globali (tra le sue molte attività possiede alcuni parchi Legoland e, in Italia, Gardaland).

di Giuseppe Zaccagni

Scatta nel mondo, proprio nel momento in cui i riflettori sono puntati sui giochi di Pechino, un’attenzione particolare nei confronti dell’economia cinese. Gli analisti delle maggiori banche invitano a riflettere su alcuni dati incontestabili. Quelli che rivelano che la produzione, per la prima volta da 11 anni, inizia a rallentare: il Prodotto interno lordo crescerà a un tasso inferiore al 10%; le stime governative si fermano al 9,8%, ma secondo gli esperti si potrebbe scendere fino all'8%. Intanto l’inflazione sale e i salari stagnano. Montano le tensioni sociali e politiche. Ed esplodono anche quei conflitti che sembravano domati dalla repressione poliziesca (tibetani ed uiguri). Le colpe della regressione economica - secondo autorevoli fonti di Hong Kong - sono il risultato di un calo della domanda estera e degli investimenti che segnalano l’arrivo di una bolla speculativa che è la conseguenza del fatto che la Borsa di Shangai, in questi tempi, ha già perso la metà della capitalizzazione. E questo mentre il mercato immobiliare - da sempre considerato come il boom della Cina - sta rallentando.


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