di Ilvio Pannullo

Dopo la Microsoft è toccato alla Intel comprendere che aria tira nella vecchia Europa quando si parla di libera concorrenza. La Commissione Europea ha infatti deciso di infliggere al colosso dei microprocessori una gigantesca multa da 1,06 miliardi di euro per abuso di posizione dominante e pratiche anticoncorrenziali illegali. In ambito europeo si tratta della più grande singola multa mai comminata ad un’azienda. Insomma una sonora legnata sui denti, se si unisce all’ingente importo sottratto ai dividendi della multinazionale anche l’obbligo di modificare drasticamente le pratiche commerciali sino ad ora tenute. La Commissione ha inoltre assicurato che vigilerà sull'ottemperanza di questa decisione. "Per tutto il periodo ottobre 2002-2007 - si legge nel comunicato diffuso a Bruxelles - Intel ha avuto una posizione dominante nel mercato mondiale dei CPU (microprocessori) x86, per almeno il 70% della quota di mercato". Bruxelles ricorda che il mercato mondiale di questi microprocessori rappresenta circa 22 miliardi di euro l'anno e la quota europea è di circa il 30% del totale.

di Ilvio Pannullo

La verità sui processi che disciplinano la creazione della moneta da parte delle banche centrali, facenti capo all’area d’influenza anglo-americana, sta raggiungendo un numero sempre crescente di persone in tutto il mondo. Assolutamente straordinario, a tal proposito, l’ultimo intervento in ordine di tempo del ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti, intervistato dall’ex direttore Riotta, in diretta nazionale al TG1, la sera del venerdì 6 marzo 2009. Alla domanda “A che punto siamo della crisi?” il responsabile dell’economia italiana risponde: “Negli anni novanta, devo dire democratici e repubblicani sono dentro insieme, inizia una moneta diversa da quella buona. Lo Stato, gli stati rinunciano alla sovranità monetaria e acconsentono che a fianco della moneta buona, quella sovrana, nasca una moneta privata, commerciale, parallela, fondata sul nulla”. Non pago il ministro lancia l’ultimo colpo di cannone contro il muro dell’ignoranza concludendo: “Questo è quello che ha causato la crisi. Credo che abbia ragione il Presidente americano: quello che va fatto è più Stato. Decisamente”.

di Ilvio Pannullo

Dopo il no alle torture, la chiusura di Guantanamo, l’alleggerimento dell’immorale blocco ai danni di Cuba ed una svolta netta sul finanziamento pubblico della ricerca sulle cellule staminali, ecco un nuovo colpo di scena portato a segno dal Presidente Barak Obama: Svizzera e Lussemburgo hanno accettato di ammorbidire il segreto bancario e di adeguarsi alle norme dell’Ocse. Non avevano scelta. Per anni erano riusciti a resistere alle pressioni internazionali, ma la crisi finanziaria ha reso improvvisamente esigenti, oltre agli Stati Uniti, la Francia e la Germania. Di più: intrattabili. Ed era ora. In tempi duri come quelli che si stanno vivendo tutti hanno bisogno di soldi, l’America più di ogni altro, e ora che le casse sono vuote bisogna cercarli ovunque si trovino. Nella sola Svizzera è depositato oltre un terzo della ricchezza mondiale, quasi tutta al riparo da occhi indiscreti. La storia di questi ultimi mesi ci racconta di un paese, gli Usa, che da tempo cercava un pretesto: le infelicissime vicissitudini dell’Ubs lo hanno fornito.

di Luca Mazzucato

NEW YORK. La più grande cooperativa del mondo: questo il futuro della Chrysler, una volta ultimata la procedura di bancarotta. L'annuncio tanto atteso è stato fatto giovedì in diretta da Barack Obama, che ha decretato l'apertura di una “bancarotta chirurgica” per l'azienda automobilistica. In questo modo, la proprietà della Chrysler si libererà di quei fondi d'investimento che hanno sabotato l'accordo e, afferma il presidente americano, “cercano di fare profitto quando il resto del paese fa sacrifici.” Alla fine del procedimento, il 55% dell'azienda sarà nelle mani dei suoi dipendenti, tramite il loro fondo pensioni, e il restante 20% della Fiat.

di Ilvio Pannullo

La crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti ha provocato e continuerà a provocare il crollo degli indici azionari. Nonostante la perdita massiccia di milioni di posti di lavoro e di una quantità ancora non quantificabile di valori monetari, le follie di Wall Street potrebbero, tuttavia, provocare danni geopolitici ancora maggiori. Tutto ruota intorno alla gigantesca esposizione del governo cinese nei confronti del sistema statunitense: ammontano infatti a ben 1.946 trilioni di dollari le riserve estere della Cina, la maggioranza delle quali è denominata in dollari. All’incirca mille sono poi i miliardi di dollari prestati dalla Cina agli Usa, in qualità di primo sottoscrittore di buoni del Tesoro americani. Queste sono le cifre che raccontano di un’economia americana in mano alla volontà cinese: se fosse infatti richiesta al Ministero del Tesoro americano la restituzione dell’intero prestito fatto, il paese sarebbe in bancarotta.


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