di Mario Braconi

Sulla strada della sua emancipazione umana attraverso la Rete, il popolo digitale si è imbattuto in Sergey Brin e Larry Page, i due Harry Potter della computer science, che in qualche modo sono riusciti a fare filtrare al loro meraviglioso giocattolo dal nome Google, più della metà (esattamente il 65%) delle domande che poniamo al grande oracolo digitale che è la Rete delle Reti. La società di Mountain View è divenuta uno dei marchi più noti del mondo grazie al suo motore di ricerca, ma è bene ricordare che dei 21,8 miliardi di dollari fatturati da Google lo scorso anno, ben 21,1 (ovvero il 97% del totale) sono generati dalla pubblicità (nel 2007 la percentuale era del 99%). Benché, almeno ufficialmente, la società si sia tenuta alla larga da tecniche particolarmente odiose e lesive della privacy (come la famigerata deep packet inspection), con DoubleClick e Google Analytics, Google è in grado di ottenere informazioni particolareggiate sulle preferenze dei suoi utenti: una brutta abitudine, che ha attirato perfino l’attenzione del Congresso.

di Ilvio Pannullo

È buffo osservare la disputa che emerge dalle diverse rappresentazioni che vengono date dello stato dell’economia italiana. Da una parte abbiamo il sempre ottimista Tremonti, che afferma di essere soddisfatto di riuscire a mantenere lo status quo. Ci tiene a puntualizzare il suo nuovo slogan e afferma che, per lui, “in un momento straordinario mantenere l’ordinario è già straordinario”. Dall’altra, il severo Governatore della Banca d’Italia, Draghi, pone l'accento sul debito, ricordando il limite che esiste tra le parole e i fatti. Il tesoriere di Papi immagina di superare la peggiore crisi del capitalismo, mentre tutti gli altri paesi europei finanziano la spesa pubblica cercando di ripristinare la domanda aggregata oramai in caduta libera, semplicemente rimanendo immobile. Per lui questo ovviamente proverà solo che siamo circondati da irrinunciabili pessimisti.

di Ilvio Pannullo

Nonostante l’inconcludente passeggiata al G8 dell’Aquila, fermo restando lo straordinario gusto glamour della moglie, il gelato al mirtillo delle figlie, le simulazioni delle scosse sismiche e qualche buon tiro a canestro, Mr. Obama si prepara ad affrontare una situazione che non ha precedenti nella storia degli Stati Uniti, dove dovrà dar prova di ben altre capacità che non sia quella di uccidere mosche. L’impero monetarista americano è giunto finalmente al capolinea e qualcuno, vedendolo come il liquidatore dell’impero, già immagina paragoni col Gorbaciov sovietico. A dare il felice annuncio sono una serie di segnali inequivocabili e facilmente considerabili come collegati. A tremare infatti non è più un solo settore, ma tutti gli indici di riferimento che vanno considerati se si ha intenzione di valutare lo stato di salute di un’economia.

di Elena Ferrara

La fame avanza in tutto il mondo. Nessuno colma i vuoti e le tragedie annunciate divengono crude realtà. Gli ultimi bollettini di questa globalizzazione della miseria riferiscono di un fronte che si va sempre più estendendo. Secondo le nuove stime diffuse da Jacques Diouf, Direttore Generale della Fao (l'agenzia dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura), nel 2009 gli affamati saranno oltre un miliardo, un sesto dell'umanità. Questo vuol dire che avremo cento milioni di persone in più rispetto a quelle conteggiate nell'ultimo rapporto della stessa Fao. Intanto continua il fiume di parole e di promesse mentre si prepara il famoso G8 dell’Aquila che dovrebbe avere al centro dei suoi lavori anche quello della “sicurezza alimentare”. Ma si sa già che l’equilibrio sociale è alle corde e il nuovo “record” annuncia solo tragedie. Perché siamo in presenza del più grande incremento mai registrato su base annuale delle persone finite oltre la soglia della denutrizione. C’è, quindi, una micidiale sovrapposizione della recente crisi finanziaria con la crisi alimentare cominciata nel 2006. Si certifica così, purtroppo, l'inversione di una tendenza che aveva visto il tasso di malnutrizione diminuire dal 1969 al 2004 e si scopre sempre più che sono in ballo interessi vitali.

di Ilvio Pannullo

Al solito, tutto inizia in Francia. Come racconta Alessandro Cisilin, su Galatea European Magazine, le tradizionali spese parigine del sabato hanno incontrato il 13 giugno scorso una brutta sorpresa, coi supermercati semivuoti. Su iniziativa della Fnsea (“Fédération Nationale des Syndicats des Exploitants Agricoles”) e di Ja (“Jeunes Agriculteurs”) i contadini, armati di forconi, pale, trattori, cumuli di terra e perfino gli stessi carrelli dei supermercati, hanno completamente bloccato dal giovedì precedente i principali centri di smistamento della grande distribuzione. L’obiettivo dichiarato dal suo leader Lemétayer era bloccarne una trentina. Ne sono stati occupati quarantuno, e cioè oltre la metà delle fonti di approvvigionamento del paese. Motivo della protesta, le contrazioni nel prezzo pagato dagli intermediari nell’ultimo anno, senza giustificazione nella crisi.


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