di Roberta Folatti

Cantando per le vie di Dublino

Spesso sono le piccole storie – storie che potrebbero accadere a ciascuno di noi – quelle che determinano la riuscita di un film. E’ la capacità di narrare in modo poetico, avvincente, ironico un incontro, uno di quelli che, mischiato alle migliaia che si fanno nella vita, acquista un senso tutto speciale, anche se si esaurisce nel giro di pochi giorni. Qualcosa che nutre le esistenze dei protagonisti, che li rende più forti e consapevoli, che dà un significato alla loro ricerca. Once è stato girato in meno di venti giorni con un budget limitatissimo eppure la sua resa emozionale, la freschezza delle immagini e delle recitazione lo collocano allo stesso livello di film ben più costosi. E la sua canzone principale – la musica è una delle protagoniste della pellicola – è stata premiata con l’Oscar 2008.

di Roberta Folatti

L’Afghanistan al di là delle bombe

Continuo nel ripescaggio di film non recentissimi che però rientrano nella programmazione delle sale estive e delle arene all’aperto.
Del romanzo di Khaled Hosseini, da cui Il cacciatore di aquiloni è tratto, avevo apprezzato la prima parte. Il racconto dell’infanzia del protagonista trascorsa col suo inseparabile amico, tra luci e ombre, complicità e gelosie e il desiderio vitale di catturare l’affetto, la stima, l’ammirazione di un padre eletto a modello irraggiungibile, era emozionante e del tutto privo di retorica. La parte più avventurosa l’avevo invece trovata un po’ troppo “best-selleresca” – passatemi il termine – come se fosse una concessione tardiva alla spettacolarizzazione dopo un bell’inizio intimista.

di Roberta Folatti

Verdetto in salsa russa

Per godere a fondo del film di Nikita Mikhalkov sarebbe utile aver visto l’originale, la pellicola di Sidney Lumet a cui il regista russo si è ispirato. Si tratta de “La parola ai giurati”, protagonista un compassato Henry Fonda, che sa però rimescolare i sentimenti dei suoi colleghi della giuria fino ad abbattere i loro pregiudizi. É uno dei classici americani degli anni ’50, rigoroso, in bianco e nero, imperniato sui dialoghi, sui silenzi, sui volti degli attori. Un esempio di cinema “civile” perchè affronta temi spinosi, soprattutto per l’epoca, visto che la giuria è composta in prevalenza da bianchi e l’imputato è un ispanico dei quartieri poveri, il cui destino sembra segnato in partenza.

di Roberta Folatti

Killer troppo umani

In tempi estivi meglio recuperare qualche vecchia uscita, vista la scarsezza di novità di una qualche consistenza. L’esordio nel lungometraggio del trentottenne Martin McDonagh merita una segnalazione. Per gli appassionati del genere In Bruges. La coscienza dell’assassino è un vero gioiello. Incastonato in quella “parure” rappresentata dalla magnifica città belga – uno dei borgi medievali meglio conservati del mondo – il film regala suspense e suberbi scorci di Burges. La cittadina delle Fiandre diventa a tutti gli effetti uno dei protagonisti della pellicola. Degna di una favola, come la descrive il più cattivo dei personaggi, Bruges ospita una vicenda che è sufficientemente cruenta da riportare lo spettatore coi piedi per terra. Ma non c’è solo la componente thriller, il film è anche divertente, ricco di battute, con una buona messa a fuoco dei caratteri.

di Roberta Folatti

Giochi molto crudeli

Uno dei due melliflui figuri in guanti bianchi cerca la complicità dello spettatore guardando un paio di volte in camera e sottintendendo che lo spettacolo che stanno mettendo in scena è a favore nostro. Del pubblico. Non si tratta tanto di violenza esibita – vere scene di sangue non se ne vedono nel film – ma ciò che si rappresenta è la tortura psicologica delle vittime e l’esibizione di una totale mancanza di senso etico nei carnefici. Nemmeno un filo di compassione. Una famiglia presa in ostaggio viene informata cinicamente che non sopravviverà più di 24 ore, neppure al ragazzino vengono risparmiati i particolari più raccapriccianti.


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