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di Sara Michelucci
Avere cura di chi si ama, anche quando la vita sta per finire e il corpo ci abbandona. Dipendere completamente l’uno dall’altro, perché la malattia non consente più una vita autonoma e normale. Amour, il film di Michael Haneke vincitore della Palma d’oro a Cannes 2012, racconta una storia difficile, quella di Georges e Anne, insegnanti di musica in pensione, la cui vita viene stravolta quando un ictus colpisce la donna. La sua esistenza è di colpo sconvolta, si trascina su una sedia a rotelle, non può più suonare il tanto adorato pianoforte né seguire i concerti del suo amato ex allievo.
Georges, un magnifico Jean-Louis Trintignant che torna al cinema dopo dodici anni di assenza, fa di tutto per rendere la sua vita meno sofferente, la accudisce, la lava, la cambia, ma non è semplice quando un secondo attacco colpisce Anne (Emmanuelle Riva) e la costringe per sempre a letto. L’amore che unisce la coppia verrà messo a dura prova. La loro figlia, Isabelle Huppert, anche lei musicista, vive all’estero con la sua famiglia, ma vorrebbe che la madre venisse ricoverata in ospedale per avere delle cure migliori. Ma Georges si oppone. Non possono essere divisi, e poi ha promesso a sua moglie che non l’avrebbe mai abbandonata in una casa di cura.
E così la loro vita si srotola attraverso giorni fatti da interminabili minuti. I tempi ampi e lenti del film, con i gesti che si dilungano minuziosi in azioni ripetitive, riproducono la lentezza dei movimenti di Anne e della morsa all’interno della quale la malattia schiaccia i corpi e le anime di questa coppia.
I dialoghi sono ben calibrati, le parole soppesate, mentre ai gesti, agli sguardi, alla mimica è lasciata la predominanza sul set. La bravura degli attori, oltre alla sapienza registica, fanno di questo film un pezzo importante della cinematografia degli ultimi anni, aprendo nuovamente lo sguardo sul tema della morte e della malattia.
Haneke non indora la pillola, non ci dice quanto sia bella la vecchiaia o come la malattia sia vissuta da tutti allo stesso modo, come una conseguenza inevitabile contro cui non si può far nulla, se non aspettare la fine.
C’è chi questo non può e non vuole sopportarlo, per questo sceglie una strada diversa. L’unica cosa che consola è l’amore, che lega questi due vecchi corpi che non si riconoscono più nemmeno nelle fotografie di gioventù, ma che sanno quanto questo sentimento li leghi l’uno all’altro a doppio filo. Fino all’ultimo respiro.
Amour (Austria, Germania, Francia 2012)
regia: Michael Haneke
sceneggiatura: Michael Haneke
attori: Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud, William Shimell, Ramon Agirre, Rita Blanco
fotografia: Darius Khondji
montaggio: Nadine Muse, Monika Willi
produzione: Les Films du Losange, Wega Film, X-Filme Creative Pool In coproduzione con France 3 Cinéma (Daniel Goudineau, Alice Girard), ARD Degeto (Bettina Reitz, Hans-Wolfgang Jurgan), Bayerischer Rundfunk (Bettina Ricklefs), Westdeutscher Rundfunk (Michael Andre)
distribuzione: Teodora Film e Spazio Cinema
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di Sara Michelucci
Una nuova commedia per parlare dell’Italia che va a rotoli, della politica corrotta e delle difficoltà che ci sono. Dopo escort e malaffare, Massimiliano Bruno torna al cinema con Viva l’Italia. E se un giorno un politico cominciasse a dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Il politico in questione si chiama Michele Spagnolo (Michele Placido), un nome forte, di quelli che comandano, e ha tre figli: Riccardo (Roul Bova), medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna (Ambra Angiolini), attrice di fiction senza alcun talento; Valerio (Alessandro Gasman), un buon annulla in carriera che deve tutto al padre.
In oltre trent’anni di onorata carriera Michele ha sempre anteposto i suoi interessi personali a quelli della collettività ed è passato indenne attraverso mille scandali che hanno flagellato il nostro paese. L’ultima cosa al mondo che dovrebbe succedere ad un uomo del genere è dire la verità. Eppure, dopo una notte trascorsa con una “promettente” soubrette televisiva, Michele viene colto da un malore, si salva, ma non senza conseguenze. L’apoplessia ha colpito proprio la parte del cervello che controlla i freni inibitori e ora il politico dice tutto ciò che gli passa per la testa, fa tutto quello che gli va e non ha la minima cognizione della gravità delle sue azioni.
Da questo momento in poi Michele Spagnolo diventa una mina vagante per se stesso, per la sua famiglia e per il partito. Proprio da qui prende l’avvio Viva l’Italia, una favola comica e irriverente che attraverso il ritratto di una strampalata famiglia racconta il Bel Paese e le sue contraddizioni, senza risparmiare niente e nessuno. Il linguaggio è di quelli forti e coloriti che a tratti danno anche fastidio, per poi rendersi conto che è proprio lo stesso registro usato in tv o nei comizi di alcuni politici che ci rappresentano.
E allora anche una commedia che non è proprio senza sbavature, può tracciare il perimetro di quello che l’Italia è diventata: luogo di corrotti e venduti, di politici che al bene sociale prediligono quello individuale e di figli che fanno carriera solo perché hanno padri potenti alle spalle, mentre i loro coetanei sono costretti a emigrare all’estero. Un’Italia in cui purtroppo di riconosciamo e, anche se non si apprezza proprio tutto di questo film, è comunque riuscito il messaggio lanciato.
Insieme a Edoardo Falcone, un grande dialoghista, ci siamo presi la responsabilità di dar vita a una fotografia del nostro Paese, senza giudizi, ma raccontando una storia credibile per l’Italia di oggi con l’ambizione di far ridere. Lo spunto è arrivato da una parte del monologo Zero di cui una decina di anni fa ero stato autore e interprete in teatro: vi si ipotizzava in maniera divertente che qualcuno spruzzasse nella metropolitana un siero della verità e che per colpa di questo la nostra società finisse nel caos. La verità avrebbe causato litigi, antipatie e addirittura guerre. Così l’anno scorso mi sono ritrovato a pensare che cosa sarebbe potuto accadere se un importante politico si fosse messo all’improvviso a dire la verità su qualsiasi argomento…”, racconta il regista.
Il tema della verità, dunque, torna al cinema. Elemento destabilizzante, l’unico in grado di ristabilire le regole.
Viva l’Italia (Italia 2012)
regia: Massimiliano Bruno
sceneggiatura: Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
attori: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassman, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Rolando Ravello, Imma Piro, Camilla Filippi, Barbara Folchitto, Nicola Pistoia, Valerio Aprea, Ninni Bruschetta, Stefano Fresi, Sergio Fiorentini, Remo Remotti
fotografia: Alessandro Pesci
montaggio: Patrizio Marone
musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
produzione: Italian International Film
distribuzione: 01 Distribution
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di Sara Michelucci
Volere a tutti i costi un figlio, per sentirsi realizzati, per porre delle basi, per raggiungere almeno un obiettivo nella vita e far vedere ai propri genitori di valere qualcosa. È questo a cui aspira Antonia, trentaduenne che, dopo un passato di cantante in vari locali romani, lavora ora in un autonoleggio e sta con Guido, toscano trapiantato nella Capitale che è occupato come portiere di notte ed è appassionato di lingue antiche e di santi. Antonia ha un passato decisamente burrascoso, mentre Guido è un timido dai modi cordiali, che pare uscito da un romanzo ottocentesco. Si incontrano tutti i (santi) giorni in una sola occasione: nel momento in cui Guido torna dal lavoro e sveglia Antonia per la colazione, con un modo decisamente insolito.
I due si amano molto, hanno trovato in questo rapporto l’occasione per far sì che le loro vite siano finalmente realizzate, ma una cosa manca: la possibilità di avere un bambino. I due si prestano così alle cure più dolorose e bizzarre, alla fecondazione assistita e ai dosaggi ormonali. Situazioni che, ben presto, metteranno a dura prova il loro legame.
Sullo sfondo una Roma truce e volgare, fatta di vicini che mettono al mondo figli che non vogliono e non amano, di ex ragazzi approfittatori, di proprietari di locali violenti e di una marmaglia di ragazzini che non ha rispetto per nessuno. In tutto questo si staglia Guido che, con i suoi modi dolci, cerca di proteggere il suo rapporto con Antonia, la quale vacillerà in più di un’occasione, mettendo a repentaglio il loro amore.
Virzì ancora una volta sceglie una storia semplice, per raccontare le mille sfaccettature e difficoltà dei rapporti di coppia, ma anche del vivere più in generale. Una commedia dolce-amara che strappa più di una risata, sapendo ben dosare umorismo e serietà, nonostante la storia sia piuttosto lineare, senza nessun eccesso o grandi slanci. Eppure Virzì racconta qualcosa di autentico, senza troppe sdolcinatezze e per questo centra l’obiettivo: mettere in primo piano le persone più che i grandi temi.
Tutti i santi giorni (Italia 2012)
regia: Paolo Virzì
sceneggiatura: Francesco Bruni, Simone Lenzi, Paolo Virzì
attori: Luca Marinelli, Federica Victoria Caiozzo, Micol Azzurro, Claudio Pallitto, Stefania Felicioli, Franco Gargia, Giovanni La Parola, Mimma Pirrè, Fabio Gismondi, Benedetta Barzini, Katie Mcgovern, Frank Crudele
fotografia: Vladan Radovic
montaggio: Cecilia Zanuso
musiche: Federica Victoria Caiozzo
produzione: Motorino Amaranto con Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution
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di Sara Michelucci
Decisamente riuscito l’ultimo lavoro del regista della New Hollywood, William Friedkin. Killer Joe è basato su un lavoro teatrale del premio Pulitzer, Tracy Letts, che ne ha curato anche la sceneggiatura. Ancora una volta il regista de Il Braccio violento della legge, sceglie una storia dura e che non risparmia nulla allo spettatore. Chris è un giovane 22enne spacciatore di droga e deve trovare al più presto una grossa somma di denaro per saldare un debito, dopo che la madre ha rubato la sua scorta di droga. Per ottenere i soldi decide di ucciderla e incassare l’assicurazione sulla vita della donna.
Chris ingaggia così il poliziotto Joe Cooper, d’accordo con il resto della famiglia, detto Killer Joe, che si guadagna da vivere lavorando come sicario. Ma quando il killer chiede un pagamento anticipato, che Chris e la sua famiglia non possono pagare, Killer Joe fa un’offerta al ragazzo: terrà in custodia Dottie, la sorella dodicenne, come caparra sessuale finché non riuscirà a pagare la cifra pattuita.
Chris acconsente, dando vita ad una spirale di sangue e violenza che non risparmierà nessuno. Con il passare dei giorni, osservando Joe insieme alla giovane sorella, il ragazzo si pente della sua decisione e chiede al killer di annullare tutto, ma ormai è troppo tardi. E non finisce qui. Chris partecipa a una seduta con l’avvocato per discutere dell’assicurazione, ma scopre che il beneficiario unico della polizza non è Dottie, ma il compagno della madre. E allora capisce di essere stato incastrato.
Il film è stato presentato in concorso alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e mette in luce un mondo marcio, che parte proprio dal nucleo familiare. I toni scuri, i luoghi malsani, il linguaggio turpe, sono tutti strumenti volti ad raggiungere il risultato. Friedkin sottolinea che “c’è una linea sottile tra il bene e il male e vi è la possibilità che il male sia in ciascuno di noi”. Il regista, con questa sua ultima fatica, vuole esplorare questo gioco, soprattutto quando le inclinazioni più sinistre prendono il sopravvento.
Killer Joe raffigura la disfunzione della famiglia, che cede ai suoi istinti più bassi ed è costretta ad affrontare le verità nascoste dei suoi singoli componenti, magari messe da parte per anni e anni. Il regista, però, non regala una riflessione del tutto “senza cuore”, perché le aspirazioni più nobili possono essere nascoste nei momenti più crudi. Friedkin afferma a tal proposito: “Io stesso ho provato tutte le emozioni dei miei film. Sono stato attratto da questo progetto che tratta di innocenza, vittimismo, vendetta e tenerezza allo stesso tempo”.
Killer Joe (Usa 2011)
Regia: William Friedkin
Sceneggiatura: Tracy Letts
Cast: Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Gina Gershon, Thomas Haden Church, Marc Macaulay, Scott A. Martin, Lori Eden
Produzione: Voltage Pictures, Worldview Entertainment
Distribuzione: Bolero Film
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di Sara Michelucci
Fa male il nuovo film di Matteo Garrone, Reality. Perché ci mette di fronte a una realtà in cui prevale la finzione. Dove le cose concrete, i legami familiari, i figli, l’amore coniugale, possono essere presto messi in discussione per un successo becero, fatto non di saper fare, ma di solo apparire. E questo può diventare addirittura una sindrome.
Come accade a Luciano (l’ergastolano Aniello Arena, che offre un’interpretazione decisamente riuscita), pescivendolo che vive in un povero rione napoletano, che sogna di diventare famoso come Enzo, personaggio piuttosto volgare, appena uscito dalla Casa del Grande Fratello, ma che riscuote grande ammirazione tra la gente comune.
Luciano si arrangia facendo piccole truffe insieme alla moglie Maria, per sollevare un po’ le finanze della loro famiglia. Ma le sue due bambine, oltre che la numerosa famiglia, fatta di vecchie zie, grassi cugini e una madre che è perennemente ai fornelli, lo spingono a partecipare a un provino per entrare nella famosa “Casa”. Da quel momento la sua percezione della realtà cambierà totalmente.
Crederà di essere spiato dagli organizzatori del Grande Fratello, che secondo lui lo stanno studiando per vedere se è il concorrente giusto. Questo metterà profondamente in crisi la sua esistenza, il rapporto con la moglie e con i parenti. E alla fine, come in un sogno, gusterà per un istante il sapore di un finto successo.
Garrone ancora una volta si rivela un regista di grande sensibilità. Ancora una volta, dopo Gomorra, racconta uno spaccato di una regione, la Campania, che in realtà rappresenta l’Italia intera. I problemi, i disagi, le allucinazioni dei suoi personaggi sono quelli di una Nazione intera. Si è tutti tentanti da un’escalation sociale ed economica fatta senza sudore, proprio perché è quello che viene proposto dalla televisione e da una politica che ha ampie fette di corruzione e di nepotismo. E allora pure il poveraccio” vuole il suo posto in Paradiso, anche a costo di rinunciare a se stesso.
Garrone sceglie i colori sparati e i locali sfarzosi dei matrimoni del Sud, le carrozze dorate che girano per città spoglie e senza futuro, le case dai muri ammuffiti della gente che tira a campare e lo show business che risucchia le anime e distorce la realtà. E Luciano da questo incubo non ha nessuna intenzione di svegliarsi, ma è ben intenzionato a continuare. Perché è la prima volta che nella sua vita ha uno scopo, qualcosa che lo rende davvero felice.
E forse l'illusione è una fuga da una realtà che non si riesce più a mandare giù. Il film è stato premiato al Festival di Cannes 2012 con il Grand Prix, mettendo in campo un mix di generi che dalla commedia sfiora il neorealismo.
Reality (Italia 2012)
regia: Matteo Garrone
sceneggiatura: Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso
attori: Aniello Arena, Loredana Simioli, Claudia Gerini, Ciro Petrone, Nunzia Schiano, Nando Paone, Graziella Marina, Paola Minaccioni, Rosaria D'Urso, Giuseppina Cervizzi, Vincenzo Riccio, Salvatore Misticone
fotografia: Marco Onorato
montaggio: Marco Spoletini
musiche: Alexandre Desplat
produzione: Fandango, Archimede, Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution