di Sara Michelucci

Successo di botteghino, ma non solo, per Il lato positivo - Silver Linings Playbook, il film diretto da David O. Russell e tratto dal romanzo di Matthew Quick, L’orlo argenteo delle nuvole, che è valso l’Oscar 2013 come migliore attrice protagonista a Jennifer Lawrence. La pellicola, girata interamente nello stato americano della Pennsylvania tra le città di Filadelfia, Delaware County e Ridley Park, ha infatti ricevuto otto nomination agli Academy Awards.

La storia vede protagonista Pat Solitano, uomo che ha perso tutto: sua moglie, la sua casa e il suo lavoro. Torna così a vivere con i genitori, dopo aver passato otto mesi in un istituto psichiatrico. Ma non vuole arrendersi e si metterà all’opera per rimettere in sesto la sua vita e riconquistare la moglie. Ed è qui che entra in scena Tiffany, misteriosa e problematica ragazza, la quale si offre di aiutare Pat a riconquistare la moglie, consegnandole una lettera al suo posto, ma solo se lui farà qualcosa di veramente importante per lei in cambio, ovvero partecipare insieme a una famosa gara di ballo.

Ma non è il solo rapporto a dover aggiustare. Pat, infatti, ha serie problemi anche con il padre, uno scommettitore incallito col sogno di aprire un ristorante, e pure con il fratello Jake, che lo ha sempre messo in ombra. Le silver linings (fodere d’argento) stanno a significare le buone intenzioni che il protagonista tenta di seguire.

Tutto è concentrato sul concetto di equilibrio, tematica decisamente forte, e sulla difficoltà di far quadrare il cerchio, di fare sempre la cosa giusta e corretta, rispettando se stessi e gli altri e tentando di ricominciare dopo aver sbagliato. La cosa interessante di questo film sono proprio i personaggi: persone fuori dal comune e dagli schemi classici dell’amore, un po’ svitati e un po’ svaniti, ma che hanno la capacità di mettere l’accento su quelle che sono le dinamiche concrete della vita.

Il lato positivo - Silver Linings Playbook (Usa 2012)
regia: David O. Russell
sceneggiatura: David O. Russell
attori: Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Julia Stiles, Taylor Schilling, Chris Tucker, Shea Whigham, Dash Mihok, John Ortiz, Anupam Kher, Jacki Weaver, Bonnie Aarons, Brea Bee
fotografia: Masanobu Takayanagi
montaggio: Crispin Struthers, Jay Cassidy
musiche: Danny Elfman
produzione: Mirage Enterprises, Weinstein Company
distribuzione: Eagle Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

L’educazione siberiana è quella con cui si crescono i piccoli abitanti di un povero villaggio in Transnistria, nella Moldavia Orientale, che fanno parte di un clan criminale. Il piccolo Kolima cresce sotto la diretta sorveglianza del nonno (John Malkovich) che gli insegna tutti i rituali del clan a cui appartiene, dall’uso del coltello alla lettura dei tatuaggi che hanno un grande significato per il loro villaggio, perché raccontano la storia dell’uomo che li ha impressi sulla sua carne. Gabriele Salvatores scegli il libro di Nicolai Lilin, Educazione Siberiana, per realizzare un film ‘fuori dalle sue corde’, molto diverso dalla filmografia che lo rappresenta.

Kolima cresce in simbiosi con l’amico Gagarin, molto più violento e fuori dalle regole di quanto lo sia lui. Il nonno, capo della comunità siberiana, insegna loro come la vita debba essere affrontata nel rispetto di rigide regole, a partire dal rispetto nei confronti dei deboli e del disprezzo di alcune categorie sociali come polizia, banchieri, spacciatori e usurai. Ma quando Gagarin verrà catturato, dopo un furto a un camion della polizia e condannato a scontare 7 anni di carcere, le vite di questi ragazzini cambieranno inesorabilmente.

Gagarin non è più lo stesso di prima. La tendenza alla violenza e l’incapacità di provare sentimenti veri emergeranno e condizioneranno la vita di tutti, anche della tenera Xenya, ragazza dalla mente semplice, figlia del nuovo medico del quartiere, che sconterà per prima la sua violenza. Il film è stato presentato da Gabriele Salvatores al Courmayeur Noir in Festival il 12 dicembre 2012, mentre il primo trailer è stato diffuso online il 18 dicembre 2012.

Nonostante l’opera di per sé funzioni a livello registico, ci si aspettava forse qualcosa di più nell’analisi dei singoli personaggi, come nel finale. Si passa con troppa velocità da un avvenimento ad un altro, senza soffermarsi troppo su alcune dinamiche e risultando un po’ frettoloso a livello narrativo. Quasi a voler mettere il più possibile di quell’affascinante racconto, contenuto nel libro di Lilin, all’interno delle due ore di durata del film.

Educazione Siberiana (Italia 2013)
Regia: Gabriele Salvatores
Sceneggiatura: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Gabriele Salvatores
Attori: John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Peter Stormare
Fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Massimo Fiocchi
Produzione: Cattleya e Rai Cinema, Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini e Marco Chimenz
Distribuzione: 01 Distribution

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

È una bambina della Louisiana la protagonista del toccante Re della terra selvaggia, film diretto da Benh Zeitlin e sceneggiato insieme a Lucy Alibar. Il lavoro, che prende spunto dall’opera teatrale della Alibar, Juicy and Delicious, racconta la storia di Hushpuppy, bambina di sei anni che vive con il padre Wink, in un comunità bayou chiamata Bathtub. Wink è un uomo severo, ma che ama molto la sua bambina, e lo dimostra insegnandole a sopravvivere nel mondo, in quella parte della terra dove è difficile sopravvivere.

La piccola famiglia, infatti, vive in una zona del profondo sud della Louisiana, chiamata anche la “grande vasca”, per le continue alluvioni. In quel tempo le temperature della Terra sono in aumento e i ghiacci di conseguenza iniziano a sciogliersi; ciò provoca l’inizio di tempeste e quindi l’imminente avanzata di un uragano che comporterà l’aumento del livello delle acque. Queste causeranno la liberazione di alcune creature preistoriche chiamate Aurochs. Ma quando il padre di Hushpuppy si ammalerà, la piccola si metterà alla ricerca della madre.

Il film ha ottenuto diversi riconoscimenti, come la Caméra d’or al Festival di Cannes 2012 e il Gran premio della giuria: U.S. Dramatic al Sundance Film Festival 2012, dove è stato presentato in anteprima. Colpisce da subito l’interpretazione di questa simpatica e coraggiosa bimbetta, che si è anche conquistata una nomination agli ultimi Oscar come miglior attrice protagonista.

È un mondo difficile quello in cui si trova ad agire, dove la natura non è per nulla benevola, come gli uomini. Viene alla mente l’uragano Katrina che ha messo in ginocchio un pezzo di America, costringendo la popolazione, già povera, a vivere in una situazione di grave difficoltà, sollevando numerose polemiche contro la vecchia amministrazione Bush di aver adottato un atteggiamento superficiale in quanto a misure di prevenzione.

Opera prima di Zeitlin, il film è stato girato interamente in 16 millimetri, con una piccola troupe professionale, l’aiuto di decine di residenti locali nei dintorni di Montegut e un budget ridotto. Azzeccata la scelta di utilizzare attori non professionisti, riscoprendo un realismo ancora più accentuato che mette l’accento sulle dinamiche intrinseche in una società quasi atavica. E piace, di certo, che sia il punto di vista di questa bambina a condurre lo spettatore in luoghi angusti e selvaggi, alla scoperta di un legame con il mondo che la circonda spesso non facile da portare avanti.

Re della terra selvaggia (Usa 2012)
Regia: Benh Zeitlin
Sceneggiatura: Lucy Alibar, Benh Zeitlin
Attori: Quvenzhané Wallis, Dwight Henry
Fotografia: Ben Richardson
Montaggio: Crockett Doob, Affonso Gonçalves
Musiche: Dan Romer, Benh Zeitlin
Produzione: Cinereach, Court 13 Pictures, Journeyman Pictures
Distribuzione: Satine Film e Bolero Film

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Fantascienza e sentimento si mixano piuttosto bene nel film Upside Down, secondo lavoro del regista Juan Solanas che capovolge il mondo, dividendolo i due parti e mettendo a confronto qualità e carenze della società in “alto”, che basa tutto sul benessere, e del mondo in basso, dove, invece, regna la dittatura. Tra i personaggi dei due mondi è severamente vietato incontrarsi o avere rapporti, ma ben presto questo divieto verrà aggirato, quando due ragazzi si innamoreranno.

Gli attori Kirsten Dunst (Spider-Man, Melancholia) e Jim Sturgess (Cloud Atlas, Across the Universe) sono i due protagonisti di questa pellicola distopica, basata sulla ricerca dell’amore a tutti i costi. Il film è apprezzabile soprattutto dal punto di vista ‘visivo’, mettendo al centro una ‘torsione’ originale della classica storia di un amore proibito.

Lovers Adam (Sturgess) e Eden (Dunst) sono infatti separati, non solo per classe sociale e a causa di un sistema politico che fa di tutto per tenerli separati, ma anche da una condizione planetaria: vivono in mondi gemellati con gravità che tirano in direzioni opposte. Lui nel povero pianeta sottostante, lei nel ricco mondo di sfruttamento di cui sopra.

I pianeti sono così vicini che le loro vette più alte si toccano quasi. Ed è proprio su quelle alture che Adam ed Eden hanno avuto il loro primo incontro da bambini. E più tardi, come da adolescenti lui la tira verso il suo mondo con una corda per fare capriole in una beatitudine a doppia gravità.

Ma questi contatti dureranno ancora per poco, e una volta scoperti dalle forze dell’ordine, per i due amanti inizierà una ricerca irta di pericoli e sfide. Ma la rivoluzione sarà possibile e avrà tutte le note di una lotta d’amore dalle tinte fantascientifiche.


Upside Down
(Canada, Francia 2013)
regia: Juan Solanas
sceneggiatura: Santiago Amigorena
attori: Kirsten Dunst, Jim Sturgess, Larry Day, Timothy Spall, Heidi Hawkins, Don Jordan, Holly O'Brien, John Maclaren, Elliott Larson, Vincent Messina, Vlasta Vrana, James Kidnie, Nicholas Rose, Kate Trotter, Paul Don
fotografia: Pierre Gill
montaggio: Dominique Fortin, Paul Jutras
produzione: Onyx Films, Studio 37, Transfilm
distribuzione: Notorious Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Michele Paris

L’assegnazione del premio più ambito degli Academy Awards, la cui 85esima edizione è andata in scena nella notte tra domenica e lunedì a Los Angeles, ha avuto quest’anno una forte connotazione politica, sottolineata dall’apparizione via satellite dalla Casa Bianca della first lady, Michelle Obama, per annunciare la scelta di quella che avrebbe dovuto essere la migliore pellicola dell’anno appena concluso. Il trionfo in questa categoria di Argo indica infatti una inequivocabile approvazione da parte dell’industria cinematografica di Hollywood per la propaganda anti-iraniana di Washington e, più in generale, per le politiche dell’attuale amministrazione democratica.

Nominato a sette statuette, il film di Ben Affleck ha incassato, oltre a quello per il miglior film, anche altri due Oscar, per il miglior montaggio (William Goldenberg) e per la migliore sceneggiatura non originale (Chris Terrio), basata su un articolo di Joshuah Bearman apparso sulla rivista Wired nell’aprile del 2007. Il 40enne regista americano aveva già vinto un Oscar quindici anni fa assieme a Matt Damon per la migliore sceneggiatura originale del film Will Hunting - Genio ribelle (“Good Will Hunting”) di Gus Van Sant.

Come è noto, Argo è la trasposizione cinematografica di un episodio poco conosciuto nell’ambito della rivoluzione iraniana che nel 1979 rovesciò il regime dello Shah appoggiato dagli Stati Uniti. Nel novembre di quell’anno, un gruppo di dimostranti a Teheran fece irruzione nell’ambasciata americana tenendo in ostaggio 52 cittadini statunitensi per 444 giorni. Sei americani riuscirono però a fuggire e a trovare rifugio presso l’abitazione dell’ambasciatore canadese.

Il film di Affleck racconta come questi ultimi vennero fatti uscire dal paese in fermento grazie ad un’operazione pianificata dall’intelligence americana. Il protagonista, l’agente della CIA Tony Mendez, interpretato dallo stesso Affleck, a corto di soluzioni per trarre in salvo i sei connazionali, finisce per escogitare un singolare piano, fingendo di far parte della produzione canadese di un inesistente film di fantascienza da ambientare appunto in Iran. Con questa copertura, Mendez-Affleck riesce così a spacciare i sei diplomatici per membri della finta troupe cinematografica canadese, facendoli alla fine imbarcare su un volo della Swissair.

A parte una breve introduzione, nella quale vengono sommariamente descritti i fatti precedenti la rivoluzione del 1979, dal colpo di stato appoggiato dalla CIA nel 1953 agli oltre due decenni di dittatura sanguinaria promossa da Washington, i 120 minuti del film di Affleck celebrano senza imbarazzi l’eroismo del protagonista e della principale agenzia di intelligence d’oltreoceano.

I primi minuti della pellicola, in sostanza, servono unicamente a dare un’impressione di obiettività nella trattazione delle vicende iraniane in un film che si schiera più che apertamente dalla parte dell’imperialismo americano. La popolazione locale, inoltre, appare in larga misura come una massa brutale e indistinta, di fronte ad un corpo diplomatico statunitense animato invece dalle migliori intenzioni.

Il punto di vista di Affleck nella trattazione degli eventi appare evidente anche dal coinvolgimento nella produzione di Argo del vero Tony Mendez, il cui contributo, secondo lo stesso regista, avrebbe ispirato la realizzazione del film.

La parabola professionale di Ben Affleck nei quindici anni che separano i due riconoscimenti conferitigli dall’Academy di Los Angeles emerge chiaramente dalla visione di Argo ed è estremamente significativa e rivelatrice di un’intera sezione dell’industria cinematografica americana di ispirazione “liberal”.

Nel film Will Hunting - Genio ribelle, ad esempio, non mancava una certa critica verso la società e le istituzioni politiche americane, esemplificata dal riferimento agli accademici anti-establishment Howard Zinn e Noam Chomsky. Questa sia pure modesta attitudine critica, tuttavia, in Affleck come in molti altri autori vicini al Partito Democratico e di spessore artistico ben superiore rispetto a quest’ultimo, è andata però svanendo, fino a risolversi in un pressoché totale allineamento alle politiche guerrafondaie e di classe promosse dal governo americano. Un processo reso più semplice dalla presenza alla Casa Bianca di un presidente di colore e teoricamente di orientamento progressista.

In quest’ottica, l’ultima fatica di Ben Affleck finisce per contribuire, non necessariamente in maniera consapevole, ad aumentare le tensioni che caratterizzano i rapporti - o la mancanza di essi - tra gli Stati Uniti e l’Iran, occultando in gran parte decenni di crimini e sofferenze causate da Washington alla popolazione di questo stesso paese e presentando la CIA e il governo in un’ottica del tutto positiva proprio mentre i preparativi per una nuova guerra illegale continuano attraverso sanzioni, atti di sabotaggio e la militarizzazione della regione mediorientale.

La scelta di Argo come miglior film del 2012, inoltre, contrasta fortemente con l’assegnazione lo scorso anno dell’Oscar per il miglior film straniero al bellissimo film iraniano Una Separazione, di Asghar Farhadi. Una pellicola, quest’ultima, che, a differenza della gran parte delle produzioni hollywoodiane, trattava con profonda umanità e sensibilità una realtà complessa come quella dell’Iran, offrendo una rara occasione al pubblico americano di dare uno sguardo ad un paese la cui comprensione si perde nella retorica e nella propaganda dei politici di Washington.

Decisamente peggio rispetto ad Argo è andata invece nella notte degli Oscar per l’altro film di propaganda in gara, Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow. Bersaglio di molte polemiche per l’aperta giustificazione dei metodi di tortura impiegati dalla CIA dopo l’11 settembre 2001, il film che ricostruisce il raid che portò all’assassinio di Osama bin Laden in Pakistan si è dovuto accontentare del trascurabile riconoscimento per il miglior montaggio sonoro, oltretutto ex aequo con Skyfall, l’ultimo capitolo della saga di 007.

In generale, l’85esima edizione degli Oscar ha assegnato premi ad opere che contribuiscono poco o nulla alla comprensione delle questioni più importanti della società contemporanea, come conferma il riconoscimento per la miglior regia al taiwanese Ang Lee per il modesto Vita di Pi (“Life of Pi”), o che propongono una prospettiva storica del tutto distorta, come Django Unchained di Quentin Tarantino (miglior sceneggiatura originale dello stesso regista e miglior attore non protagonista a Christoph Waltz).

Tutti i film nominati offrivano d’altronde ben pochi stimoli in questo senso, con la quasi unica eccezione di Lincoln, di Steven Spielberg. L’efficace ricostruzione della lotta per l’abolizione della schiavitù durante la Guerra Civile americana da parte del regista di Schindler’s List e dello sceneggiatore Tony Kushner ha però alla fine ottenuto solo due statuette, quella per il migliore attore protagonista, lo straordinario Daniel-Day Lewis, e per la migliore scenografia.


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