di Sara Michelucci

Reduce da pochi giorni della menzione speciale della giuria della Berlinale, il nuovo lavoro di Gus Van Sant, Promised Land, si pone come un vero e proprio film-denuncia contro le grandi multinazionali. In questo caso del gas. Steve Butler (Matt Damon) crede molto nel suo lavoro di venditore di una grande corporation. Insieme alla collega Sue Thomason (Frances McDormand) ha il compito di convincere gli abitanti di una piccola cittadina rurale americana a cedere i diritti delle terre su cui sorgono le loro case, per poter avviare la trivellazione.

Piccoli agricoltori che soffrono la crisi economica, che vogliono il meglio per il loro figli, magari mandandoli al college, e che inizialmente si lasciano abbagliare dal fascino di poter diventare ricchi con pochi sforzi. Inizialmente la comunità appare bendisposta a concludere l’affare, ma ben presto ci sarà chi farà capire loro che si tratta di un cattivo affare e porterà la decisione al voto.

Protagonisti del fronte di opposizione un vecchio insegnante che la sa lunga sull’attività di queste corporation che non fanno altro che inquinare l’ambiente e distruggere le fattorie; e un leader di un movimento ambientalista che si rivelerà ben presto un’altra persona. Il film non prende una posizione netta, ma lascia allo spettatore le conclusioni, pur mostrando chiaramente i meccanismi che sono alla base dell’opera di convincimento delle grandi multinazionali, le quali non si fanno tanti scrupoli a calpestare diritti e regole.

Van Sant sceglie quindi toni apparentemente “pacati” per raccontare il raggiro, mette in contrasto due diversi fronti: migliorare le proprie condizioni economiche, anche a costo di sacrificare la propria terra e dall’altro non cedere a un avanzamento del progresso che non rispetta l’ambiente. Una tematica di grande attualità, se si guarda anche all’Italia e alla questione della Tav, o se si ricordano film come The Corporation, documentario diretto da Mark Achbar e Jennifer Abbott e tratto dal libro del professore di diritto alla Universiy of British Columbia, Joel Bakan.

Il film analizzava il potere che hanno le multinazionali nell’economia mondiale, i loro profitti e i danni che creano. Persone giuridiche che hanno l’obiettivo di mettere la tutela dei loro azionisti, ossia la realizzazione di un profitto, al di sopra di ogni altra cosa.

È la vulnerabilità delle persone, di quelle più deboli in particolare, ad essere messa al centro dell’attenzione nel film di Van Sant che punta decisamente sul ruolo dei singoli personaggi, mettendo in atto una vera e propria ribellione dal basso.


Promised Land
(Usa 2013)
regia: Gus Van Sant
sceneggiatura: John Krasinski, Matt Damon
attori: Matt Damon, John Krasinski, Frances McDormand, Rosemarie DeWitt, Lucas Black, Hal Holbrook, Scoot McNairy, Tim Guinee, Titus Welliver
fotografia: Linus Sandgren
montaggio: Billy Rich
musiche: Danny Elfman
produzione: Focus Features, Imagenation Abu Dhabi FZ, Participant Media, Pearl Street Films
distribuzione: BIM

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

In piena campagna elettorale arriva come un fulmine a ciel sereno il film di Roberto Andò, Viva la libertà. Il segretario del principale partito di sinistra, che da anni sta all’opposizione, Enrico Oliveri, sta attraversando una crisi profonda, con i sondaggi che annunciano la sua sconfitta alla prossima sfida elettorale. Vinto dalle polemiche, una notte Oliveri sparisce. Ovviamente tutti si chiedono che fine possa aver fatto, si fanno illazioni, pronostici, e il segretario Andrea Bottini e la moglie Anna si arrovellano sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice.

È proprio la moglie a evocare il fratello gemello del segretario, Giovanni Ernani, un filosofo dalla mente eccelsa, che ha sofferto di disturbi mentali e vive da solo. Non  riuscendo più a trovare le parole per comunicare con la gente, Oliveri fugge in Francia da una sua vecchia amante, mentre il gemello, riesce a pronunciare parole di verità e così è prende il posto del fratello per tentare di ridurre i danni al partito.

Tratto dal romanzo Il trono vuoto edito da Bompiani, libro scritto dallo stesso Andò e che ha ricevuto il premio Campiello, il film riesce, grazie all’utilizzo dello scambio di persona, a offrire uno spaccato della vita politica dell’Italia, con ironia e senza appesantire troppo lo spettatore con una critica seria. Ottimo il ruolo “doppio” di Toni Servillo che si mostra, ancora una volta, un attore camaleontico, capace di vestire i panni di qualsiasi personaggio e di dare un quid in più all’opera cinematografica che lo vede protagonista.

L’obiettivo è quello di far porre delle domande allo spettatore sulla classe politica che lo rappresenta, tema senza dubbio di grandissima attualità, in un Paese dove la “questione morale” cara a Berlinguer è tornata ad essere preponderante ed essenziale per la salvezza di una credibilità istituzionale. La commedia, dunque, si offre quale strumento per parlare dei politici dei giorni nostri, come ha fatto già prima Viva L’Italia, di Massimiliano Bruno, che in maniera goliardica ha voluto mettere l’accento sul dietro le quinte della politica, sul binomio bugia-verità che purtroppo spesso e volentieri contraddistingue la classe politica degli ultimi anni.

Viva la libertà (Italia 2013)
Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini
Attori: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Valeria Bruni Tedeschi, Michela Cescon, Anna Bonaiuto, Judith Davis, Eric Trung Nguyen, Andrea Renzi, Gianrico Tedeschi, Massimo De Francovich, Renato Scarpa, Lucia Mascino, Giulia Andò
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Clelio Benevento
Musiche: Marco Betta
Produzione: BiBi Film, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Un amore tenero, a tratti surreale, quello sbocciato tra il dodicenne Shakusky Sam (Jared Gilman), orfano e appartenente ai Khaki Scout, e la piccola Suzy Bishop (Kara Hayward), ragazzina decisamente sui generis, con un accentuato ombretto blu che vive in una bizzarra casa stile faro con i due genitori, entrambi avvocati, in una delle isole del New England. Wes Anderson torna al cinema con l’originale commedia Moonrise Kingdom - una fuga d’amore e ancora una volta, come aveva fatto nel 2001 con I Tenenbaum, mette al centro la famiglia e i complessi legami tra i suoi componenti.

Suzy, insieme con il padre Walt (Bill Murray), la madre Laura (Frances McDormand), oltre a tre fratelli più piccoli che ascoltano la Young Person’s Guide to the Orchestra di Benjamin Britten, popolano un’abitazione chiamata Summer’s End (La fine dell’estate). Ma Suzy non è felice, come non lo è Sam.

I due si incontrano l’estate prima durante una rappresentazione teatrale nella chiesa di Fludde Noye e diventano ben presto amici di penna. Decidono ben presto di fare un patto segreto per rivedersi e fuggire insieme. Sam scappa dal campo estivo degli scout e porta con sé la sua attrezzatura da campeggio, mentre Suzy non può fare a meno dei suoi sei libri preferiti, del suo gatto e di un giradischi rubato ai fratellini.

Passano diversi giorni tra escursioni e campeggio, con l’obiettivo di raggiungere una baia appartata sull’isola, che hanno nominato Moonrise Kingdom. Da lì inizia un romantico e tenero viaggio, quasi ai confini della realtà. Gli adulti, ivi compreso lo sceriffo Sharp (Bruce Willis) si mettono alla loro ricerca, anche perché è in procinto di arrivare una devastante tempesta.

Ma la fuga di questi due neo adolescenti sarà lo spunto per riunire le vite di diverse persone e per ricomporre i pezzi rotti dei legami affettivi sia tra i genitori di Suzy che per quanto riguarda la vita di Sam, che finalmente troverà un posto stabile in cui rimanere.

Anderson è decisamente attento ai particolari e mette in scena il racconto di temi comuni, come l’adolescenza, il rapporto genitori-figli, la crescita, utilizzando grande originalità, con ampi piani sequenza iniziali, bizzarri comportamenti dei personaggi (la madre di Suzy chiama i figli per la cena con un megafono), e un sapientissimo uso della musica che ha un ruolo da protagonista, chiudendo anche il film.

Moonrise Kingdom - una fuga d’amore

regia: Wes Anderson
sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola
attori: Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Tilda Swinton, Harvey Keitel, Frances McDormand, Jason Schwartzman, Bob Balaban, Kara Hayward, Jared Gilman, Neal Huff, Jake Ryan, Charlie Kilgore, Tommy Nelson, Chandler Frantz
fotografia: Robert D. Yeoman
montaggio: Andrew Weisblum
musiche: Alexandre Desplat
produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions
distribuzione: Lucky Red

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Il due volte premio Oscar, Daniel Day Lewis, veste i panni di un machiavellico Lincoln nell’omonimo film di Steven Spielberg. Una storia che si concentra sui tumultuosi mesi finali del sedicesimo presidente degli Stati Uniti. In una nazione divisa dalla guerra civile e dal forte vento del cambiamento, Lincoln persegue una linea di condotta che ha come obiettivo ultimo la conclusione di un conflitto estenuante e che ha fatto già troppe vittime, unendo il Paese e abolendo la schiavitù.

Con il coraggio morale e la feroce determinazione politica di ottenere successo tra i diversi schieramenti, le sue scelte cambieranno il destino delle generazioni a venire. Quello che Spielberg mette in scena è il racconto di uno stratega, mettendo in luce non tanto un’autobiografia, quanto un personaggio politico che è disposto anche a scendere a compromessi pur di ottenere il risultato sperato. Trapela anche tutto il lato umano di una figura complessa, che non ha vita facile, con una moglie che gli dà filo da torcere, pur standogli accanto, un figlio perso e altri due che si trovano in fasi particolari della crescita e della vita, per non parlare di una Nazione spaccata a metà.

Spielberg sceglie di raccontare la politica in tutti i suoi aspetti. Ma quella di Lincoln è una politica fatta per il bene della società, per interessi comuni e pubblici, il contrario di quello che oggi è diventata, con le sue derive individualistiche e la corruzione che dilaga. L’approccio a questo film è legato molto alla sua dialettica, alla minuziosa attenzione per le parole, su cui si costruisce tutto il racconto. Sono queste a tessere la trama che porterà al cambiamento di un intero paese.

Una realpolitik, la sua, che condurrà gli Stati Uniti di fine ottocento verso la fine della Guerra civile, per intraprendere un percorso di liberalizzazione. Quella scia di mutamento che avrebbe portato successivamente un afroamericano al vertice della Casa Bianca. Il film è candidato a 12 premi Oscar.

Lincoln (Usa 2012)
regia: Steven Spielberg
sceneggiatura: Paul Webb, John Logan, Tony Kushner
attori: Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Strathairn, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, James Spader, Hal Holbrook, John Hawkes, Jackie Earle Haley, Bruce McGill, Tim Blake Nelson, Joseph Cross
fotografia: Janusz Kaminski
montaggio: Michael Kahn
musiche: John Williams
produzione: Office Seekers Productions, Amblin Entertainment, DreamWorks SKG
distribuzione: 20th Century Fox

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Sembra di tornare indietro nel tempo. A quel western italiano, un po’ b-movie e un po’ raffinata storia di ingiustizie e vendette, alla Sergio Leone. Ma bastano pochi fotogrammi per riconoscere lo stile Tarantino, fatto di violenza, esagerazioni e intreccio di generi. Django Unchained non è il classico western che racconta di cowboy dalla pistola veloce o di belle donne che devono combattere per tenersi stretta una proprietà. Pur riprendendo nel titolo il bel film di Sergio Corbucci, Django, e regalando un cameo di Franco Nero, il nuovo film di Quentin Tarantino parla di tutt’altro.

Racconta la schiavitù dei neri due anni prima della Guerra Civile e lo fa scegliendo come protagonista uno schiavo nero, Django, (Jamie Foxx), in cerca di libertà e dell’amor perduto. Per ritrovare la sua amata, venduta a un feroce negriero, interpretato da un impeccabile Leonardo di Caprio, Django si accompagna con il cacciatore di taglie di origine tedesca, il dott. King Schultz (Christoph Waltz) che se ne va a spasso con un curioso carretto da dentista con un dente gigante che svetta sulla cima. Schultz è in cerca dei famigerati fratelli Brittle, “frustatori” di professione, ma non conosce il loro volto e solo l’aiuto di Django potrà aiutarlo a trovarli e a riscuotere la taglia.

Tra i due nasce un vero e proprio sodalizio e Schultz assolda Django con la promessa di donargli la libertà una volta catturati gli uomini che figurano sulla sua lista. Ma Django deciderà ben presto di seguire le orme di questo poco ortodosso personaggio, l’unico che, però, lo tratta alla pari. Diventando bravo con il fucile, Django inizierà la ricerca della sua amata Broomhilda (Kerry Washington).

L’orrore della schiavitù, della crudeltà dell’uomo bianco e della vessazione degli afroamericani, sono mostrati da Tarantino attraverso immagini che nulla lasciano all’immaginazione, dove il sangue non scorre soltanto, ma invade tutto quello che gli sta attorno, quasi a “lavare” quel finto candore delle case del Sud degli Stati Uniti della secondo metà dell’Ottocento, che nascondono mostruosità inenarrabili.

Le scene splatter, quindi, richiamano l’essenza stessa di quell’horror politico alla Romero o alla Carpenter, che serve a denunciare determinate questioni, tra cui il razzismo. E così l’ultima scena è un vero e proprio carnaio che ricorda Scarface, ma anche il finale “fagocitante” di The Addiction.

Il pulp e lo humor vanno a braccetto in questa rivisitazione di genere che Tarantino offre, riuscendo a colpire nell’originalità e, soprattutto nella prima parte, regalando una minuziosa e raffinata caratterizzazione dei personaggi, in particolare dell’eccentrico Schultz. Originalità che, forse, si perde un po’ nella seconda parte del film, dove prevalgono maggiormente gli effetti visivi, più che il racconto.


Django (Usa 2012)

Regia: Quentin Tarantino
Sceneggiatura: Quentin Tarantino
Attori: Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jonah Hill, Kerry Washington, Tom Savini, Gerald McRaney, Tom Wopat, James Russo, James Remar, Todd Allen, Don Johnson
Fotografia: Robert Richardson
Montaggio: Fred Raskin
Produzione: A Band Apart, Sony Pictures, The Weinstein Company
Distribuzione: Warner Bros. Italia


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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