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di Sara Michelucci
“Attraverso la commedia si possono affrontare, a volte anche meglio del genere drammatico, temi importanti e anche difficili, come quello dei padri separati. Il film non prende le parti di nessuno, non va contro le donne e non patteggia per gli uomini, ma cerca di dare una lettura a una questione di grande attualità”. Parola di Carlo Verdone, che alla prima del suo nuovo film, Posti in piedi in Paradiso, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, annuncia così il tema del suo ultimo lavoro. Ulisse, interpretato dallo stesso Verdone, Fulvio, un sempre bravo Pierfrancesco Favino e Domenico, i cui panni sono vestiti dal “colorito” Marco Giallini.
Sono tre padri separati costretti a versare quasi tutto quello che guadagnano in alimenti e spese di mantenimento per ex mogli e figli. Un tempo stimati professionisti (Ulisse un produttore musicale di successo, Fulvio un critico cinematografico affermato e Domenico proprietario della più grande agenzia immobiliare di Roma), vivono ora in grandi difficoltà economiche e si ritrovano a sbarcare il lunario come possono.
Ulisse si è stabilito nel retro del suo negozio di vinili, legato a un passato che non esiste più, e arrotonda le scarse entrate vendendo “memorabilia” su e-bay. Ha una figlia, Agnese, che sta a Parigi con la madre Claire, un’ex cantante che lo incolpa del mancato successo.
Fulvio, dopo aver tradito “epistolarmente” la moglie Lorenza con la donna del suo capo, si è ritrovato, oltre che senza famiglia, anche senza un lavoro, costretto così a scrivere di gossip. Con i pochi soldi che riesce a racimolare raccontando i fatti altrui, si paga una stanza presso un convitto di religiose. Anche lui ha una bambina, di tre anni, che non vede quasi mai a causa del pessimo rapporto con l’ex.
Domenico, in passato ricco imprenditore, è oggi un agente immobiliare che dorme sulla barca di un amico e, per mantenere ben due famiglie, fa il gigolò con le signore di una certa età. Ha un rapporto conflittuale con i due figli più grandi ed è perennemente in ritardo con gli alimenti da versare alla sua ex moglie e all’ex amante Marisa, da cui ha avuto un’altra figlia di cui non ricorda nemmeno il nome. La sua figura è certamente quella più biasimabile, nonostante alla fine si provi anche per lui un po’ di tenerezza.
Le tre vite s’intrecciano in modo del tutto casuale. Durante la ricerca di una casa in affitto, Domenico realizza di avere incontrato due poveracci come lui e propone a Ulisse e Fulvio di andare a vivere insieme per dividere le spese di un appartamento. Un rapporto quasi studentesco, nonostante i tre abbiano da un pezzo superato i vent’anni. Inizia così una convivenza sgangherata, che li porterà a una forzata amicizia la quale si rivelerà in qualche modo benefica.
Una sera, dopo uno dei suoi incontri di lavoro a suon di viagra, Domenico si sente male. Preoccupati, Ulisse e Fulvio chiamano il pronto intervento. Arriva Gloria, interpretata da una “svampita” Micaela Ramazzotti, una cardiologa che, mollata su due piedi qualche ora prima dall’amante, si presenta ai tre in uno stato pietoso. Trucco sbafato, stato d’agitazione e attacchi d’ansia creano una figura alquanto caricaturale che spaventa un po’ i tre. Tra lei ed Ulisse, però, scocca presto la scintilla. Insomma un incontro perfetto tra due disastri nelle relazioni sentimentali. Anche Fulvio ha un incontro folgorante: con Gaia, una starlette tanto bella e attraente quanto superficiale. Tra di loro le cose non potranno funzionare e presto la storia finirà.
Intanto la situazione economica dei tre amici peggiora sempre di più e dopo una serie di avventure tragicomiche e di tentati furti, bisogna fare i conti con le proprie responsabilità. In loro aiuto arriveranno i figli. I giovani, infatti, sono la forza trainante, sembra dire Verdone, coloro che risolleveranno le sorti dei padri. Nuove vite, allora, potranno ridare vigore a esistenze grigie.
Nonostante il trauma della lontananza dai rispettivi padri e un rapporto spesso tormentato, saranno loro la chiave di volta che consentirà a Ulisse, Fulvio e Domenico di riprendere in mano la propria vita e di intravedere finalmente uno spiraglio di “Paradiso”. Anche se probabilmente senza posti a sedere.
Verdone riprende un po’ della sua verve in quest’ultimo lavoro, riacquisendo la capacità di essere un bravo caratterista, nonostante la storia sia un po’ “fiacca” soprattutto nel finale, ampiamente edulcorato. Certamente non mancano le battute divertenti, che strappano la risata, e la bravura degli attori copre qualche sbavatura di regia e sceneggiatura.
Posti in piedi in Paradiso (Italia 2012)
Regia: Carlo Verdone
Sceneggiatura: Carlo Verdone, Pasquale Plastino, Maruska Albertazzi
Attori: Carlo Verdone, Micaela Ramazzotti, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini, Diane Fleri, Nicoletta Romanoff, Nadir Caselli, Valentina D'Agostino, Maria Luisa De Crescenzo, Giulia Greco, Gabriella Germani, Roberta Mengozzi
Fotografia: Danilo Desideri
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Gaetano Curreri, Fabio Liberatori
Produzione: Aurelio De Laurentiis & Luigi De Laurentiis
Distribuzione: Filmauro
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di Sara Michelucci
Il fantastico, il 3D e il digitale sono gli ingredienti scelti da Martin Scorsese per il suo nuovo film, Hugo Cabret. Mondi nuovi, quelli scelti dalla sapiente mano registica dell’autore di capolavori come Taxi Driver, ma usati in maniera differente rispetto a chi “padroneggia” tecniche ultra innovative. Il tocco cinefilo, la passione per l’universo cinematografico, sono ben visibili nella trama come nell’uso del racconto e della macchina da presa.
Hugo Cabret è un orfano che ha scelto la stazione del treno come sua dimora. Ci vive in gran segreto, tentando di passare inosservato agli sguardi delle centinaia di persone che ogni giorno la frequentano. Parigi, e più precisamente Montparnasse, è lo scenario in cui si staglia la vita di questo giovane ragazzo degli anni trenta.
Del padre orologiaio conserva un automa rotto che si ostina a voler riparare e con l’aiuto dell'eccentrica Isabelle scoprirà bene presto che questo robot cela segreti che riportano a galla vicende del passato. Ricordi e avvenimenti che coinvolgono anche il padrino di Isabelle, Georges Méliès, il quale si rivela essere uno dei più grandi autori della storia del cinema, mentre credeva di essere stato dimenticato da tutti.
L’avventura è l’ingrediente giusto per la storia di questo ragazzino, che entrerà in contatto con un anziano e misterioso gestore di un negozio di giocattoli, finendo risucchiato in una magica e misteriosa esperienza.
Il soggetto del film è tratto dal libro “La straordinaria invenzione Hugo Cabret”, di Brian Selznick, edito da Mondadori. Scorsese guarda il nuovo mondo del cinema attraverso i grandi occhi azzurri di Hugo (interpretato da Asa Butterfield) che nascosto tra le mura della stazione, scruta con attenzione e qualche risatina, i passeggeri che danno vita a tante gag, in una Parigi del passato che si trasforma quasi in un palcoscenico teatrale con vari siparietti.
Atmosfere sospese tra sogno e realtà, dove il passato si fa rivelatore di verità sconosciute, facendo scoprire a Hugo anche il magico fascino del cinema. Un cinema fatto di tecnica e di ingranaggi, tanto che la chiave a forma di cuore che trasforma tutti i personaggi del film e dà vita all’automa è il simbolo di un modo di concepire sia la vita che la settima arte. Il mondo è così una macchina in cui ogni parte ha una funzione.
Alcune scene del film sono state presentate in anteprima durante la sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Presenti all'evento, focalizzato soprattutto sulla tecnica 3D utilizzata, l'autore del libro, la scenografa ed il giovane protagonista Asa Butterfield. Il 15 gennaio 2012, in occasione della premiazione dei Golden Globe, Hugo Cabret ha fatto guadagnare a Martin Scorsese il premio come miglior regista ed è ora in corsa per i Premi Oscar 2012 con 11 nomination.
Hugo Cabret (Usa 2011)
regia: Martin Scorsese
sceneggiatura: John Logan
attori: Asa Butterfield, Ben Kingsley, Chloe Moretz, Sacha Baron Cohen, Ray Winstone, Emily Mortimer, Johnny Depp, Christopher Lee, Michael Stuhlbarg, Helen McCrory, Jude Law, Richard Griffiths, Frances de la Tour, Angus Barnett, Eric Moreau
fotografia: Robert Richardson
montaggio: Thelma Schoonmaker
musiche: Howard Shore
produzione: GK Films
distribuzione: 01 Distribution
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di Sara Michelucci
L’integrazione, a volte, può essere davvero difficile. Ma ci sono tanti modi per parlarne e tanti sguardi attraverso cui guardarla. Anche con gli occhi della la commedia. Ed è proprio il genere comico quello scelto dalla regista turco-tedesca, Yasemin Samdereli, per il suo Almanya, la mia famiglia va in Germania. La famiglia è la vera protagonista di questo bel film, applauditissimo all’ultimo festival del cinema di Berlino. Un’opera a 4 mani, scritta da due sorelle, Yasemin e Nesrin, che hanno attinto ai ricordi d’infanzia per dare corpo a una sceneggiatura ben congeniata e divertente.
Gli Yilmaz sono emigrati in Germania dalla Turchia negli anni sessanta e ormai la famiglia è giunta alla terza generazione. Come spesso accade, dopo tanto lavoro e duri sacrifici da parte della prima generazione, l’ultima si trova in una condizione differente, dove l’integrazione - se così si può davvero chiamare - è ad una fase differente. Ma il sogno del vecchio Hüseyin è quello di comprare una casa in Turchia e vorrebbe farsi accompagnare da figli e nipoti per aggiustarla.
La famiglia non la prende proprio bene all’inizio, quella terra è così lontana dalle abitudini della nuova generazione, così sconosciuta che, nonostante le origini del patriarca, non sembra appartenere ai più giovani. Ma questo non ferma la traversata della famiglia al completo, che decide nonostante le prime ritrosie di partire per questa avventura, più unita che mai.
Da qui inizia un film che sa ben condensare le storie e i ricordi che si intessono con avvenimenti passati tragicomici dei primi anni vissuti in Germania, quando la nuova patria sembrava un posto impossibile in cui stare e dove potersi integrare. L’unità della famiglia è però minata da alcune scoperte che si faranno durante questo on the road, e per restare comunque uniti ci si dovrà confrontare e far prevalere l’amore che lega i diversi componenti di questa piccola comunità.
Il genere commedia negli ultimi tempi è molto utilizzato per affrontare questioni legate all’immigrazione, alla diversità e all’integrazione. Se ci sono pellicole piuttosto scontate in questo, come Il mio grosso grasso matrimonio greco che cede alla banalità e al buonismo a tutti i costi, ce ne sono altre come appunto Almanya, la mia famiglia va in Germania o East is East, ma anche un Un bacio appassionato di Ken Loach che riescono a creare una “zona nuova”, un modo di pensare differente a questioni serie. La commedia, se ben fatta, riesce a incentrare il punto di vista su alcune dinamiche insite nella società del presente, rompendo però i legami del “serio” e, attraverso il paradosso, creando un pensiero critico forte.
Almanya ci riesce bene, scegliendo la comunità turca che, in Germania, rappresenta una realtà ampia e ben consolidata, pur con tutte le storture del caso a partire dalla ghettizzazione che sovente si percepisce per coloro che sono arrivati da più o meno lontano.
Almanya, la mia famiglia va in Germania (Germania 2011)
regia: Yasemin Samdereli
sceneggiatura: Yasemin Samdereli, Nesrin Samdereli
attori: Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Aylin Tezel, Denis Moschitto, Petra Schmidt-Schaller, Rafael Koussouris, Aliya Artuc, Kaan Aydogdu
fotografia: Ngo the Chau
montaggio: Andrea Mertens
musiche: Gerd Baumann
produzione: Roxy Film (Andreas Richter, Ursula Woerner, Annie Brunner)
distribuzione: Teodora Film
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di Sara Michelucci
La signora di ferro, Margaret Thatcher, ex primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, è la protagonista del film The Iron Lady diretto da Phyllida Lloyd. È una magnifica Meryl Streep a interpretare la vita della controversa donna che ha dato una sferzata conservatrice al paese britannico. Trucco perfetto e ottimo studio degli atteggiamenti dell’ex primo ministro, la Streep incarna alla perfezione sia nel look “gelido” che nelle movenze la ex-lady di ferro.
La regista decide di ripercorrere tutta la vita della Thatcher, dall’infanzia alla sua carriera politica, compresi i diciassette giorni antecedenti alla guerra delle Falkland, scoppiata nel 1982. A raccontarci la storia sono gli occhi della donna che, ormai ottantenne, vive con nostalgia i ricordi della sua vita passata, specie quelli trascorsi al fianco del marito Denis. Passato e presente s’intrecciano nella mente di questa signora che però, nonostante gli anni, sa ancora quello che vuole. Margaret non cede alle preoccupazioni della figlia e dei suoi collaboratori, consapevole del fatto che, nonostante l’importanza degli eventi trascorsi, anche la sua vita presente rimane degna di essere vissuta fino in fondo.
Sullo sfondo del film c’é anche il tema della malattia, quello della demenza senile di cui la Thatcher è affetta. E così i ricordi, le immagini, si confondono e s’intessono, nonostante il film non riesca ad avere uno slancio vero che vada oltre la mera trasposizione biografica.
A salvarlo è sicuramente la bravura della Streep che, come sempre, riesce a dare alla sua interpretazione un’impeccabilità tale che a volte vengono meno le mancanze di sceneggiatura o di regia. L’uso della contrapposizione tra passato e presente non riesce a creare nessuna sfumatura e tutto si conclude in una piatta rappresentazione della vita della protagonista.
The Iron Lady (Gran Bretagna 2012)
Regia: Phyllida Lloyd
Sceneggiatura: Abi Morgan
Attori: Meryl Streep, Jim Broadbent, Harry Lloyd, Richard E. Grant, Olivia Colman, Ronald Reagan, Roger Allam, Nicholas Farrell, Julian Wadham, Anthony Head
Fotografia: Elliot Davis
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Clint Mansell, Thomas Newman
Produzione: Film4, Goldcrest Pictures, Pathé, UK Film Council
Distribuzione: Bim
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di Sara Michelucci
Quarta volta per Mission Impossible, che torna sugli schermi cinematografici con un nuovo capitolo: Mission Impossible Protocollo Fantasma. Cambia il regista, questa volta con Brad Bird, ma resta sempre invariato l’attore protagonista, Tom Cruise che ancora una volta veste i panni dell'agente Ethan Hunt.
Bird è un regista avvezzo al cinema d’animazione, con una lunga carriera alle spalle che comincia alla tenerissima età di 13 anni con il primo cortometraggio. Ma è ovvio che deve vedersela ora non solo con un nuovo genere, quello del live action, ma anche con registi del calibro di Brian De Palma e John Woo che hanno firmato i primi due capitoli di Mission Impossible, veri e propri successi non solo al botteghino. Trama e scenari futuribili, come ci si aspetta, mettono in piedi un film discreto, ma che non riesce ad eguagliare i primi due capitoli.
Dopo che un attentato terroristico ha distrutto il Cremlino, il governo degli Stati Uniti attiva il cosiddetto “protocollo fantasma”, così che tutta l’Impossible Mission Force viene accusata dell’attacco da Kurt Hendricks, un milionario russo che vuole ricostruire l’Unione Sovietica e dominare il mondo. La Guerra Fredda, di nuova generazione, fa da contorno al film dove l’agente Ethan Hunt e la sua squadra fuggono, in modo da poter operare al di fuori della loro agenzia, per provare la loro innocenza e allo stesso tempo sventare un attacco nucleare che potrebbe portare alla terza guerra mondiale.
Molto belle le riprese, sarà per il fatto che i luoghi hanno aiutato. Hanno avuto infatti luogo a Dubai, Praga, Mosca, Mumbai e Vancouver e molte delle scene girate a Dubai sono state ambientate nel Burj Khalifa, l’edificio più alto del mondo al momento in cui si girava.
Per il resto il film cede un po’ troppo alla sola azione, senza andare a fondo sui personaggi e alla loro caratterizzazione. E Tom Cruise appare un tantino più attempato rispetto ai precedenti capitoli.
Mission Impossible Protocollo Fantasma (Usa 2011)
regia: Brad Bird
sceneggiatura: Josh Appelbaum, André Nemec
attori: Tom Cruise, Jeremy Renner, Léa Seydoux, Josh Holloway, Michael Nyqvist, Simon Pegg, Ving Rhames, Paula Patton, Anil Kapoor, Vladimir Mashkov, Samuli Edelmann, Ilia Volokh, Miraj Grbic, Ivan Shvedoff, Pavel Kríz, April Stewart
fotografia: Robert Elswit
montaggio: Paul Hirsch
musiche: Michael Giacchino
produzione: Bad Robot, Paramount Pictures, Skydance Productions
distribuzione: Universal Pictures