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di Sara Michelucci
C’è stata decisamente molta curiosità intorno al nuovo film di fantascienza, Gravity, scritto, diretto, montato e prodotto da Alfonso Cuarón. I protagonisti sono gli attori Sandra Bullock e George Clooney, che hanno mostrato di avere la capacità di interpretare un ruolo diverso da quelli a cui li abbiamo visti spesso associati. Il film ha aperto la 70esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, proiettato in anteprima mondiale il 28 agosto scorso nella Sala Grande del Palazzo del Cinema.
La dottoressa Ryan Stone è un’esperta ingegnere biomedico che affronta per la prima volta una missione nello spazio. Assieme a lei, sullo Space Shuttle, l'astronauta Matt Kowalsky, il quale andrà in pensione al rientro da questa che sarà la sua ultima missione. Durante una passeggiata all'esterno dello Shuttle, vengono colpiti da detriti di un satellite che distruggono la navetta spaziale lasciando i due da soli, alla deriva nello spazio.
Fluttuanti nell'oscurità e privi di qualunque contatto con la Terra non hanno apparentemente alcuna chance di sopravvivere anche per via dell'ossigeno che va esaurendosi. Forse l’unico modo per sperare di tornare a casa è quello di addentrarsi nello spazio infinito.
Lo spazio è stato affrontato in diversi modi dal mondo del cinema: dal capolavoro di Kubrick, 2001 Odissea nello Spazio all’orrorifico Alien fino al più comico Man in Black. Esso rappresenta un luogo affascinante che ha sempre attirato la cinematografia, la quale vi ha spesso cercato spunti per trame più o meno avvincenti, creando personaggi come Star Wars, che sono diventati icone dell’immaginario collettivo.
Ma qui non è la rivelazione ad essere al centro della storia: non c’è infatti più nulla da scoprire, come era predominate nei film del passato, ma ci si concentra sui personaggi e sulla loro capacità di affrontare l’ignoto. Insomma, l’esplorazione lascia il passo all’introspezione, dove l’essere umano mette in discussione se stesso e la propria sopravvivenza.
Gravity (Usa 2013)
Regia: Alfonso Cuarón
Sceneggiatura: Alfonso Cuarón, Jonás Cuarón, Rodrigo Garcia
Attori: George Clooney, Sandra Bullock
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: Alfonso Cuarón
Produzione: Reality Media, Warner Bros. Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Italia
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di Sara Michelucci
Non è solito che un documentario si aggiudichi un premio significativo come il Leone d’Oro del Festival del cinema di Venezia. Eppure Sacro Gra, nuova opera di Gianfranco Rosi, ha conquistato la giuria capitanata da Bernardo Bertolucci, portandosi a casa l’ambito premio. Dopo l’India dei barcaioli, il deserto americano dei drop out, il Messico dei killer del narcotraffico, Rosi decide di narrare una parte dell’Italia: il Grande Raccordo Anulare di Roma.
Ed è in questo angolo del Paese che Rosi, girando per più di due anni con un mini-van, racconta la vita di tanti personaggi, scoprendo nuovi mondi, spesso sconosciuti, nascosti dal rumore delle auto e dal fumo degli scappamenti. Un fiume di traffico sempre in movimento che non accenna mai a fermarsi e dal cui sfondo affiorano personaggi invisibili.
E così compaiono un nobile piemontese e sua figlia laureanda, che vivono in un monolocale in un moderno condominio ai bordi del Raccordo; un botanico armato di sonde sonore e pozioni chimiche cerca il rimedio per liberare le palme della sua oasi dalle larve; un principe contemporaneo che fa sport con un sigaro in bocca sul tetto del suo castello assediato dalle palazzine della periferia a un’uscita del Raccordo; un barelliere in servizio sull’autoambulanza del 118 dà soccorso e conforto girando notte e giorno sull’anello autostradale; un pescatore d’anguille vive su di una zattera all’ombra di un cavalcavia sul fiume Tevere.
Il racconto che si dà di un pezzo di Roma è nudo e crudo, per nulla edulcorato come aveva fatto il decisamente bruttino To Rome with love. “Mentre cercavo le location del film - afferma Rosi - portavo con me ‘Le città invisibili’ di Calvino. Il tema del libro è il viaggio, inteso per me come relazione che unisce un luogo ai suoi abitanti, nei desideri e nella confusione che ci provoca una vita in città e che noi finiamo per fare nostra, subendola. Il libro percorre strade opposte, si lascia trascinare da una serie di stati mentali che si succedono, si accavallano. Ha una struttura complessa e il lettore la può rimontare a seconda dei suoi stati d’animo, delle circostanze della sua vita, come è successo a me. Questa guida mi è stata di stimolo nei tanti mesi di lavorazione del film, quando il vero Gra sembrava sfuggirmi, più invisibile che mai”.
Qui la parola è lasciata agli oltre 70 km di autostrada urbana che gira come un anello intorno alla città eterna. E così viene offerto allo spettatore un bagaglio di esperienze uniche e nuove che non si sarebbe aspettato di trovare. Rosi sceglie un nuovo luogo, quasi di confine, per raccontare scorci di umanità inedita. Ma questa volta non sono posti esotici o deserti, bensì una parte d’Italia che ben conosciamo e che, ora, probabilmente, guarderemo con occhi diversi.
Sacro Gra (Italia 2013)
Regia, fotografia, suono: Gianfranco Rosi
Da un’idea originale di: Nicolò Bassetti
Montaggio: Jacopo Quadri
Prodotto da: Marco Visalberghi per Doclab
Distribuzione internazionale: Doc&Film International
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di Sara Michelucci
Il due volte premio Oscar Ron Howard sceglie ancora una volta lo sceneggiatore Peter Morgan (Frost /Nixon) per il suo nuovo lavoro: Rush. Il duello è alla base di questo film, fatto non a colpi di spade o pistole, bensì al volante di una macchina di Formula Uno. Rocambolesche corse in auto e che lasciano con il fiato sospeso. Howard racconta infatti la rivalità tra due piloti che hanno fatto la storia di questo sport: il talento inglese e implacabile playboy, James Hunt (interpretato da Chris Hemsworth) e il suo avversario austriaco, dotato invece di grande disciplina, Niki Lauda (Daniel Brühl).
L’età d’oro, sexy e glamour, delle corse, viene riproposta dal regista di A beautiful mind, mettendo in scena l’esilarante storia dei due più grandi rivali che il mondo dello sport abbia mai visto. Non si tralascia la vita privata di entrambi, la quale si alterna agli scontri dentro e fuori la pista del Gran Premio, fino al punto di rottura della resistenza psichica e fisica dei i due piloti.
Olivia Wilde e Alexandra Maria Lara sono le co-protagoniste, interpretando rispettivamente Suzy Miller e Marlene Lauda, le donne amate da Hunt e Lauda, le quali hanno seguito la carriera dei loro uomini, temendone la morte quando si sfidavano in pista.
I due, che si danno battaglia fin dai tempi della Formula 3, sono agli antipodi. L’inglese è un personaggio vero e proprio, estroverso e affascinante, che fuori dai circuiti è sempre a caccia di divertimento e belle donne. L’austriaco è al contrario un ragazzo introverso e riservato, dedito in maniera scrupolosa alla sua professione. Il film riesce a rendere bene il concetto di sfida, quello che i due piloti vivono in pista, ma anche quello nelle loro rispettive vite. La loro rivalità raggiunge il culmine nella stagione 1976, quando tra mille incognite e pericoli, Hunt tenta di aggiudicarsi con la McLaren il titolo di campione del mondo, togliendolo a Lauda, a sua volta alla ricerca del bis iridato con la Ferrari.
Non sarà neppure il bruttissimo incidente avvenuto al Nürburgring Nordschleife, durante il Gran Premio di Germania, dove Lauda rischia di morire, a mettere un freno a questa accesa sfida, che ha il suo epilogo nell'ultima prova del campionato, il Gran Premio del Giappone a Fuji. Sicuramente da sottolineare la bravura degli attori che riesce a coprire qualche sbavatura a livello di sceneggiatura e di regia, dando ulteriore fascino ai personaggi.
Rush (Usa 2013)
Regia: Ron Howard
Sceneggiatura: Peter Morgan
Attori: Chris Hemsworth, Daniel Bruehl, Olivia Wilde, Christian McKay, Pierfrancesco Favino, Natalie Dormer, Alexandra Maria Lara, James Michael Rankin, Jensen Freeman
Produzione: Cross Creek Pictures, Egoli Tossell Film, Exclusive Media Group
Distribuzione: 01 Distribution
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di Sara Michelucci
Gianni Amelio sceglie l’attore e comico Antonio Albanese per il suo nuovo lavoro, L’intrepido. Il film è stato presentato alla 70esima edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nell'agosto 2013 e sarà portato anche al Toronto International Film Festival. Nell’epoca in cui trovare un lavoro sta diventando una missione quasi impossibile, il regista di Il ladro di bambini, sceglie di raccontare un nuovo mestiere, quello del “rimpiazzo”.
Il protagonista, Antonio Pane, è infatti un uomo senza lavoro, che non fa altro che prendere il posto di chi si assenta, per ragioni più o meno serie, dalla propria occupazione. Ma più che per i soldi, lo fa perché ha bisogno di sentirsi occupato, perché il lavoro nobilita l’uomo, perché la sua importanza è scritta nero su bianco anche nella Carta Costituzionale e dunque, un uomo senza un mestiere non è nulla.
E quindi Antonio un giorno fa il muratore e un altro il macchinista. Ma sempre con la voglia di non arrendersi, di non farsi prendere dalla depressione e da quella crisi buia che può capire solo chi un lavoro non ce l’ha più.
Ma Antonio non è solo. Ha un figlio di vent’anni, che suona il sax in modo spettacolare e che cerca di aiutare il genitore con il suo lavoro da artista. Incontra anche una ragazza, Lucia, che ha un atteggiamento piuttosto strano e inquieto e nasconde un segreto dietro la sua voglia di farsi riuscire nella vita.
La difficoltà del presente, quindi, è messa in risalto dal film di Amelio. E il cognome di Antonio porta con sé tutta una serie di significati, a partire proprio dal quel modo di dire “guadagnarsi il pane”, che oggi più che mai sta diventando il vero problema delle fasce più giovani, ma non solo, della società italiana.
L’Intrepido (Italia 2013)
regia: Gianni Amelio
sceneggiatura: Gianni Amelio, Davide Lantieri
attori: Antonio Albanese, Sandra Ceccarelli, Alfonso Santagata, Livia Rossi, Gabriele Rendina
fotografia: Luca Bigazzi
montaggio: Simona Paggi
musiche: Franco Piersanti
produzione: Palomar con Rai Cinema
distribuzione: 01 Distribution
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di Sara Michelucci
Questa volta non è l’unto e poco salutare cibo di Mc Donald’s ad ispirare l’analisi del regista Morgan Spurlock. Nel suo ultimo documentario, dal titolo One Direction: This Is Us, lo sguardo è rivolto all’accattivante vita on the road del fenomeno musicale del momento. Tessuto con filmati di concerti dal vivo della boy band, questo lungometraggio racconta la storia di Niall, Zayn, Liam, Harry e Louis, dalle loro città natale, dagli inizi umili fino alla competizione a X-Factor, per conquistare il mondo e l'esecuzione alla O2 Arena di Londra.
Sono le voci e le sensazioni stesse dei ragazzi, insieme ai racconti del loro produttore, a costruire la trama. E attraverso i loro occhi si scopre cosa vuol dire essere diventare il fenomeno del momento.
Morgan Spurlock, che ha diretto film come Super Size Me, Freakonomics, The Greatest Movie Ever Sold, si cimenta questa volta con un soggetto totalmente nuovo e raramente raccontato. Quello dei giovani gruppi musicali venuti fuori proprio dai talent show, oggi molto in voga e trampolino di lancio per le nuove generazioni di artisti o pseudo tali.
Oltre a pezzi dell’edizione inglese di X-Factor, il film è fatto anche dalle interviste ai familiari per conoscere i sogni e le aspettative di questi cinque ragazzi e tentare di capire da vicino quali emozioni possa muovere il successo e la fama mondiali. Il lavoro manca totalmente di un approfondimento sulle dinamiche dei talent show o di un successo così sconsiderato. E si sfiora quasi la mera promozionalità del gruppo, lasciando alquanto delusi.
One Direction: This Is Us
Regista: Morgan Spurlock
Produttori: Simon Cowell, Adam Milano, Morgan Spurlock, Ben Winston
Attori . Niall Horan, Zayn Malik, Liam Payne, Harry Styles, Louis Tomlinson
Produzione: Columbia Pictures, Sony Pictures Entertainment
Distribuzione: Warner Bros