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di Sara Michelucci
Decisamente suggestivo e ricco di rimandi surrealisti il nuovo film di Wes Anderson, Grand Budapest Hotel. Cast stellare per la pellicola che trae ispirazione dalle opere di Stefan Zweig. Il film che ha aperto la 64ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, si è aggiudicato il Gran premio della giuria.
La storia è quella del concierge del Grand Budapest Hotel, Gustave H (Ralph Fiennes), amatissimo dalle sue illustri e attempate clienti, a cui regala qualche ora d’amore e una nuova “giovinezza”, e del suo giovane aiutante, Zero Moustafa, che saprà cogliere dagli insegnamenti del suo mentore utili consigli per la vita. I due dovranno custodire un dipinto rinascimentale inestimabile, eredità lasciata a Gustave da Madame D.
Ma la coppia di amici dovrà vedersela con il perfido figlio (Adrien Brody) dell'anziana donna e con il suo scagnozzo (Willem Dafoe), che faranno di tutto per riappropriarsene, anche ricorrendo all’omicidio.
Sullo sfondo la guerra, il richiamo ai totalitarismi e al razzismo, che emergono in ogni istante, quasi come monito a non dimenticare quello che è stato. E Zero, in un certo senso, racchiude nel suo volto e nella sua storia, il vissuto di alcuni popoli durante le dittature e che in taluni casi continuano a vivere ancora oggi. Anderson, però, gli dà una speranza. Quella di cambiare la propria vita e, anzi, di ribaltare completamente la propria condizione sociale.
Quello che piace è la capacità del regista di usare storia e immagini per parlare del reale, senza attingervi più di tanto. I diversi linguaggi messi in campo, che pescano anche dall’onirico e dal grottesco, richiamano figure di chapliniana memoria, che attraverso una ironia agrodolce veicolano sentimenti profondi.
La mente corre al Grande Dittatore, anche per i richiami all’olocausto e al nazismo che sono contenuti nel lavoro di Anderson: dalle divise della polizia in stile SS al nome dell’hotel che è scritto sull’ingresso con caratteri simili a quelli dell’Arbeit macht frei che campeggiava entrando ad Auschwitz. Sentimenti diversi, quindi, si alternano sullo schermo e nell’animo degli spettatori.
Grand Budapest Hotel (Usa 2014)
Regia: Wes Anderson
Soggetto: Wes Anderson, Hugo Guinness
Sceneggiatura: Wes Anderson
Produttore: Wes Anderson, Jeremy Dawson, Steven M. Rales, Scott Rudin
Casa di produzione: American Empirical Pictures, Indian Paintbrush, Scott Rudin Productions, Studio Babelsberg
Distribuzione: 20th Century Fox
Fotografia: Robert Yeoman
Montaggio: Barney Pilling
Musiche: Alexandre Desplat
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di Sara Michelucci
Un business piuttosto redditizio quello che Fioravante (John Turturro) e Murray (Woody Allen) mettono su per sbarcare il lunario. Il primo diventa un aitante gigolò, amato dalle ricche signore annoiata della società bene. Il secondo è il suo “pappa”, un po’ imbranato ma con un fiuto innegabile per il successo professionale del suo amico e, di conseguenza, per le sue finanze. I due, però, attireranno ben presto l’odio della comunità ebraica nella quale vivono, quando Fioravante si innamora della pura e fragile Avigal.
Con il nome d’arte Virgil, Fioravante, che è un semplice fioraio, riesce a diventare l’oggetto dei desideri di numerose donne, tra cui la dermatologa del “socio in affari”, interpretata da una sempre affascinante Sharon Stone, la quale sogna un ménage a trois con la sua amica latina. Ma l’amore per Avigal, vedova di un rispettato Rabbino, rimasta sola con i suoi sei figli, farà ben presto capitolare Fioravante verso la prospettiva di una nuova vita.
Turturro cerca di creare una commedia romantica che gioca molto sull’abilità degli attori, più che sulla sostanza delle storia che, purtroppo, resta piuttosto scevra di originalità. Allen è un po’ la caricatura di se stesso e anche se riesce a strappare qualche risata, non entusiasma fino in fondo.
Interessante, sicuramente, il tema dell’amicizia, affrontato in modo decisamente sui generis, dove il rapporto tra i due, che sembra essere basato solo sull’opportunità di guadagnare denaro, diventa comunque un modo per darsi una mano a vicenda. Belle le riprese, in una New York altra, vista dai suoi angoli meno conosciuti e, forse, più dimenticati.
Gigolo per caso (Usa 2013)
REGIA: John Turturro
SCENEGGIATURA: John Turturro
ATTORI: Woody Allen, Vanessa Paradis, Sharon Stone, John Turturro, Sofia Vergara, Max Casella, Jill Scott, Tonya Pinkins, Allen Lewis Rickman, Liev Schreiber, Bob Balaban, Aida Turturro, David Margulies, Michael Badalucco
FOTOGRAFIA: Marco Pontecorvo
MONTAGGIO: Simona Paggi
MUSICHE: Abraham Laboriel, Bill Maxwell
PRODUZIONE: Antidote Films, Cinetic Media, MK2 Productions,QED International
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
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di Sara Michelucci
Coloratissimo il nuovo cartoon Rio 2 - Missione Amazzonia, diretto da Carlos Saldanha e sequel della film d’animazione del 2011, Rio. Blue Sky Studios, dopo L’era glaciale, torna a scegliere il mondo animale per veicolare i valori piuttosto tradizionali e legati al mondo familiare. La storia racconta la famiglia di Blu, Gioiel e i loro tre uccellini, che vive a Rio de Janeiro.
Un giorno, però, la quiete familiare viene turbata dalla notizia che nel cuore dell’Amazzonia sono arrivati altri Ara Macao Blu, la specie di pappagalli di cui Blu e Gioiel dovrebbero rappresentare gli unici sopravvissuti.
Blue decide che i suoi figli devono imparare a vivere come veri uccelli e per farlo la famiglia è costretta a lasciare Rio per raggiungere l’Amazzonia, accompagnati dai loro vecchi amici Rafael, Nico e Pedro. In questo modo potranno trovare lo stormo di Ara Macao e ricongiungersi ai loro simili. Ma una volta che il gruppo riuscirà a incrociare lo stormo, le sorprese non mancheranno.
Se la grafica appassiona, la trama al contrario risulta piuttosto piatta e scontata, puntando più a incontrare il consenso collettivo, che non a innovare realmente con l’utilizzo di tematiche o valori che si scostino dai luoghi comuni. Il mondo animale viene visto allo stesso modo di quello umano, ricalcando quasi la stessa mentalità, senza offrire una visione alternativa come potrebbe.
Il cast di doppiatori vede il ritorno di Jesse Eisenberg, Anne Hathaway, Leslie Mann, Jemaine Clement, George Lopez, Jamie Foxx, will.i.am, Rodrigo Santoro, Jake T. Austin e Tracy Morgan che avevano doppiato i personaggi a nel primo film. Ma non mancano le new entry come Andy García, Bruno Mars e Kristin Chenoweth. Belle le musiche di Sergio Mendes, che trasportano lo spettatore in un paesaggio esotico dalle tante sorprese.
Rio 2 - Missione Amazzonia (Brasile 2014)
REGIA: Carlos Saldanha
SCENEGGIATURA: Don Rhymer, Carlos Saldanha
ATTORI: Anne Hathaway, Jesse Eisenberg, Jemaine Clement, Tracy Morgan, George Lopez, Leslie Mann, Rodrigo Santoro, Jake T. Austin, Jamie Foxx, Andy Garcia, Bruno Mars, Kristin Chenoweth, Rita Moreno, Amandla Stenberg, Natalie Morales
FOTOGRAFIA: Renato Falcão
MUSICHE: Sergio Mendes
PRODUZIONE: Blue Sky Studios
DISTRIBUZIONE: 20th Century Fox
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di Sara Michelucci
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Liesel Meminger, una ragazzina abbandonata dalla madre, viene adottata da Hans e Rosa Hubermann. Liesel si trasferisce nella nuova abitazione, ma il suo non saper leggere sarà motivo di derisione da parte dei compagni. L’unico che sembra capirla e che le sta vicino è il suo unico amico Rudy, che è segretamente innamorato di lei. Nonostante non sappia leggere, Liesel ama i libri e, col tempo, impara a leggere grazie all’amico.
Inizia così Storia di una ladra di libri, pellicola del regista Brian Percival, che vede protagonisti la brava Sophie Nélisse, l’eclettico Geoffrey Rush e la giovane Emily Watson.
Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo La bambina che salvava i libri, di Markus Zusak, scritto nel 2005. Il contesto storico nel film ha un ruolo decisamente importante ed influenza il racconto. Con l’avvio della guerra e la promulgazione delle leggi razziali, la famiglia della giovane protagonista subirà una serie di sconvolgimenti.
I Nazisti bruciano, infatti, tutti i libri che possono “offuscare” l’immagine della Germania e così si scopre che la madre di Liesel è una comunista e proprio per questo ha scelto di abbandonare il paese.
Inoltre, la famiglia decide di nascondere un ebreo di nome Max, che avrà un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale della giovane Liesel, stimolando la sua creatività. Il ruolo del libro come motore di conoscenza è sicuramente centrale e protagonista. Strumento capace di stimolare l’immaginazione e aprire nuovi scenari e mondi diversi.
Il film punta sicuramente sull’emotività dello spettatore, riuscendo a creare un legame con i protagonisti e dando ampio spazio all’introspezione dei singoli personaggi. Non mancano però delle sbavature e dei momenti di debolezza, che risiedono probabilmente nella rinuncia ad affrontare la complessità storico - politica, prediligendo forse più la spettacolarità e il lato familiare della storia.
Storia di una ladra di libri (Usa 2013)
Regia: Brian Percival
Attori: Sophie Nélisse, Geoffrey Rush, Emily Watson
Sceneggiatura: Michael Petroni
Produttore: Ken Blancato, Karen Rosenfelt
Casa di produzione: 20th Century Fox, Studio Babelsberg
Distribuzione: 20th Century Fox
Fotografia: Florian Ballhaus
Montaggio: John Wilson
Musiche: John Williams
Scenografia: Simon Elliott
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di Sara Michelucci
Una delle prime parole a risaltare nella mente, quando il volto di Enrico Berlinguer si staglia sullo schermo cinematografico, è la questione morale. È quella famosa intervista rilasciata a Eugenio Scalfari, nel 1981, in cui il segretario del Pci puntava il dito contro il cattivo uso della Res pubblica, a stagliarsi come un macigno nelle coscienze di chi guarda il film di Walter Veltroni, Quando c’era Berlinguer. Un’opera documentale, in cui l’uomo e il politico emergono dalle immagini di archivio e dalle parole di chi ha conosciuto, più o meno da vicino, l’allora leader del Partito Comunista Italiano.
La questione morale, secondo Berlinguer, è diventata la questione politica prima ed essenziale. Ed è dalla sua soluzione che dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, ma anche la effettiva governabilità del paese, nonché la tenuta del regime democratico.
Una questione più che mai viva oggi, dove gli scandali e la corruzione degli ambienti politici sembrano essere diventati la quotidianità e quasi non ci si sconvolge più di fronte ad atti di svilimento del ruolo politico della cosa pubblica.
La memoria è un altro dei temi che il documentario di Veltroni cerca di mettere al centro dell’attenzione. Una memoria per lo più sbiadita su quelli che sono stati i fatti degli anni Settanta, e ancora più flebile quando si parla di Berlinguer.
Nelle interviste iniziali a gente comune, infatti, si deve con amarezza constatare come la maggior parte degli intervistati, per lo più ragazzi, non sappia chi sia Enrico Berlinguer. C’è chi lo scambia per un cantante e chi, addirittura, per un politico coreano, magari di estrema destra. E allora torna alla mente “La razza in estinzione” in cui Gaber dichiarava al mondo la sconfitta della sua generazione.
Ma allo stesso tempo, attraverso i racconti e le immagini dei comizi del leader comunista, si tocca con mano la vera passione per la politica, non come mestiere, ma quasi come vocazione. È il punto di vista dell’autore, che è voce narrante, quello che viene subito alla luce. Il suo essere un ragazzo, all’epoca in cui Berlinguer guidava il partito, che guardava con interesse e curiosità un’ideologia da cui, comunque, in molti ritengono si sia allontanato.
Il film comincia con le immagini della vittoria del referendum sul divorzio, nel maggio del 1974, e si conclude con i gremitissimi funerali di Berlinguer in piazza San Giovanni a Roma. Si concentra sul periodo della segreteria di Berlinguer, dai primi anni Settanta fino alla morte, l'undici giugno del 1984. Ed è sicuramente il discorso di Padova a rappresentare il momento topico e più emozionante, quello che rivela la natura stessa di Berlinguer: un combattente per cui la politica era una vera missione.
Le testimonianze vanno dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Pietro Ingrao, da Eugenio Scalfari alla figlia Bianca fino a Jovanotti. Tutte, a loro modo, pongono sul piatto degli elementi in grado di ricostruire il percorso di Berlinguer, anche se non mancano delle sbavature o dei passaggi forzati. Quello che ci si augura, comunque, è che si possa ridare dignità a una “questione morale” che negli ultimi tempi è diventata un concetto fin troppo vituperato e abusato, ridandogli quel significato che solo uomini come Berlinguer potevano conferirgli.
Quando c’era Berlinguer (Italia 2014)
Regia: Walter Veltroni
Distribuzione: BIM