di Rosa Ana De Santis

Tutti hanno scritto di te. Si è parlato così tanto della tua condizione, è stata analizzata nella più profonda intimità. A volte forse in modo morboso. Non puoi saperlo, ma le tue foto hanno fatto il giro dei siti internet e dei giornali. Sono entrate nelle case. Le hanno viste tanti genitori e tanti figli. Tutti abbiamo un po’ parlato di te. Chi da esperto, chi da genitore, chi in chiesa. Ognuno ha iniziato per forza a domandarsi cosa fare e cosa scegliere su quel confine estremo della vita. Sappiamo che dal giorno del tuo incidente non sei più tornata indietro. Che le speranze si sono affievolite ogni giorno un po’ e che, passato il primo periodo, niente è cambiato e, soprattutto, niente sarebbe potuto cambiare mai. Nessuno sa come sei oggi. In quella stanza entrano i tuoi affetti più cari. Le suore raccontano che tuo padre viene a trovarti, accarezza i capelli che ora sono corti e, come se tu fossi li, saluta la sua bambina. Così ti chiama. Anche se sei nata 37 anni fa.

di Mario Braconi

Nel giro di qualche settimana Caritas Italiana, Istat e OCSE hanno diffuso diverse statistiche in materia di povertà e distribuzione del reddito in Italia; il collage di questi dati ci fornisce l’immagine di un Paese con un problema di povertà e di sperequazione dei redditi e della ricchezza, aggravato da una scarsissima coscienza sociale e da un’inerzia dello stato spiegabile forse solo in termini di rimozione psicoanalitica di una scomoda realtà. E’ opportuno premettere che gli economisti distinguono due tipi di povertà: quella cosiddetta assoluta e quella relativa. Per misurare la povertà assoluta si fa riferimento al “valore monetario di un paniere di beni e servizi indispensabili affinché una famiglia possa raggiungere un livello di vita socialmente accettabile”; una famiglia o una persona viene invece definita “povera” in senso relativo se il suo reddito è inferiore al 50% del reddito individuale medio (o della mediana del reddito) registrato nella comunità di riferimento.

di Rosa Ana De Santis

Ieri mattina Beppino Englaro è arrivato presto con i suoi avvocati. Numero 37 nella lista del giorno: l’ultimo caso ad essere affrontato. In silenzio e in attesa, come tutta la vita da quando sua figlia è stata rubata da un sonno infinito. Una morte liquida che non è piombata in un colpo, ma si è frantumata in pezzetti di giorni tutti uguali e sospesi. Il Pg di Cassazione, Domenico Iannelli, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. Il Pm di Milano non era ''legittimato a muovere l'azione'', dal momento che non si tratta di ''un interesse generale e pubblico ma di una tutela soggettiva e individuale''. Nel corso dell’udienza il procuratore generale ha proposto “l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione all’impugnazione parte del pubblico ministero della Corte d’Appello di Milano”. Questo riporta una prima nota del presidente Vincenzo Carbone e la sentenza arriverà il più presto possibile. Il padre di Eluana ha assistito all'udienza in prima fila e non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Così le fronde politiche guidate dai presidenti di Camera e Senato, che soltanto a luglio si erano divise sul caso rivendicando ragioni di partito, dividendosi in gruppi d’opinione e denunciando l’invasione del potere giudiziario in quello legislativo, si chiuderanno in confessionale. In silenzio speriamo.

di Rosa Ana De Santis

Basta andare una mattina come tante fuori dalle scuole di una qualunque città. Il rumore e il chiasso di sempre, mano nella mano delle proprie mamme o di qualche papà. Sono tanti quelli stranieri. I più numerosi. Eppure cattura ancora l’attenzione e sorprende un po’ vedere piccoli visi scuri, occhi esotici, toni e accenti dell’est. E’ questa la foto dei nostri figli e delle loro scuole. Succede ormai che un bambino italiano conosca, ad esempio, le abitudini e le regole di vita di un compagno di scuola musulmano. Le sue preghiere, il cibo, la descrizione della sua casa e della sua vita familiare. Succede che torni a casa con un vocabolo di lingua straniera imparato per gioco al mattino in classe. Succede ormai che andare a scuola offra la possibilità di conoscere pezzetti nuovi di mondo, un nuovo modo di pensare il gruppo, dove la differenza anche quando si trasforma in difficoltà ha un valore educativo irrinunciabile. Se solo qualcuno ci insegna a riconoscerlo. Nel mondo civile é così, in quello leghista invece non é previsto.

di Valentina Laviola

Circa una settimana fa è apparso sul Corriere della Sera un articolo dal titolo trionfale “Vivisezione, l’Europa salva le scimmie”, nel quale si elogiava l’intenzione della Direzione ambiente della Commissione Europea di rivedere la legge del 1986 in materia di sperimentazione animale, ritenuta ormai obsoleta ed inadeguata. È probabile, infatti, che ci saranno alcune interessanti novità che guidino verso un uso sempre minore, o quantomeno più mirato ed attento, delle cavie nei laboratori. Dal 2009 saranno vietati in tutta Europa esperimenti su animali per la produzione di cosmetici; il Belgio, addirittura, li impedirà per qualsiasi genere di prodotto, sigarette comprese. Per quanto riguarda gli animali randagi e da compagnia (cani e gatti) si dice che saranno esclusi, ma in Italia è già così. L’attuale legge 116/92 pone regole precise: vieta l’utilizzo di animali randagi o tanto meno prelevati dal loro ambiente naturale. I laboratori usano esclusivamente animali provenienti da appositi allevamenti, che ne garantiscono oltretutto le condizioni di salute.


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