di Rosa Ana De Santis

Davanti a Dio come bambini davanti alla madre. Cosi Ratzinger cita Giovanni Paolo I nel ricordarne la vita, le opere e la morte. Nel ricordare il breve pontificato di Luciani, Ratzinger sfoggia la perla teologica. Lui che di tutte le correnti all’interno della Chiesa ne è stato il più rigido oppositore sin dai tempi in cui era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Una frase di rara bellezza e di tagliente avanguardia, se solo si abbandona la poesia e si entra negli spazi del pensiero che la sostiene. Quello che al nostro papa non interessa fare fino in fondo. L’importante è che rimanga la tenerezza di un verso dolce e poetico e che alcuno provi a indagarne le ragioni concettuali. E’ il 10 settembre del 1978 quando Papa Luciani dice “Dio è papà, più ancora è madre”. Riprendendo un passo delle Sacre Scritture - sia dell’Antico Testamento che del Vangelo - lancia questa luce di novità sul torpore teologico della vecchia curia. La reazione è di gelo e di imbarazzo.

di Mariavittoria Orsolato

Troviamo un nuovo indice puntato nella folta schiera di chi indica il Governo delle libertà come uno dei maggiori problemi (se non il maggiore dei problemi) della nostra italietta d’avanspettacolo. Non è quello dei soliti comunisti bastian-contrari, né quello degli europeisti che si domandano ancora a quale titolo lo stivale sia parte dell’Unione Europea. La voce dissidente stavolta proviene dall’Oltretevere romano e con sé porta tutta la solennità all’incenso e la gravità da pulpito tipica del monito della Santa Sede. Ma non è la solita predica sulla sacralità della famiglia. Lo scorso mercoledì il segretario del Pontificio Consiglio dei migranti, l’arcivescovo Agostino Marchetto, ha esposto ai microfoni di Radio Vaticana le sue perplessità sull’operato del Governo Berlusconi in merito ad immigrazione e diritti civili.

di Rosa Ana De Santis

Roma si è svegliata sugli striscioni della vergogna, apparsi poco distanti dal Verano, nel cuore della città. Parole di disprezzo e razzismo sulle vittime di Castelvolturno, sulla morte del giovane Abdul. Teste rasate e giubbotti di pelle, una ventina di ragazzi così conciati è quello che riferisce un testimone. Dobbiamo pensare ai soliti violenti di estrema destra, agli irriducibili skinheads, al solito gruppo di cani sciolti giovanissimi e figli della noia sociale. In ogni categoria, sul filo di ogni disquisizione nominalistica sono comunque tutti figli dell’Italia, miseria della patria. Parole pesanti anche su Schifani, per l’occasione ebreo, ma bastano le parole di Verdini a nome di tutta Forza Italia a esprimere fraterna solidarietà per il Presidente del Senato. Non serve una parola di più. Perché tutta la rabbia è contro quest’orda di barbari, tutta l’emozione e ogni pensiero va per queste vittime. Un ragazzo morto sotto i bastoni impietosi di due mercanti milanesi, e a Castelvolturno sei giovani uccisi sotto i colpi della gomorra campana.

di Valentina Laviola

“La gente dice che dovremmo integrarci, ma io sono nato a Wexford, sono irlandese e musulmano, questo non è un problema d’immigrati”. È Liam Egan a parlare, nativo della Repubblica d’Irlanda, appunto, e convertitosi all’Islam all’età di 28 anni. Nell’ultimo anno la sua famiglia è stata protagonista dei media locali, da quando Shekinah, 14 anni, la maggiore delle sue figlie, ha chiesto di indossare l’hijab a scuola. Permesso accordato, purchè fosse in tinta con l’uniforme; il preside, però, ha riportato la questione al dipartimento dell’Istruzione, affinché si provvedesse ad una politica ufficiale in merito, valida per tutte le scuole del Paese. Così, la faccenda si è allargata fino a divenire una controversia nazionale. Il signor Egan lamenta che l’atteggiamento verso la questione dell’hijab testimoni il modo in cui le minoranze sono trattate in Irlanda. In particolare, sostiene che diverse scuole si siano mosse per impedire il velo: un istituto di Dublino ha sostenuto che altrimenti sarebbe stata violata l’etica cattolica del Paese. Quest’ultima spiegazione, secondo Egan, non è altro che un pretesto, dal momento che le donne cattoliche si sono coperte il capo per entrare in chiesa fino a 20 anni fa.

di Elena Ferrara


Questa volta scendono in piazza per chiedere solidarietà e per affermare il loro diritto all’esistenza. Stanchi ed esasperati per le ripetute aggressioni contro le loro famiglie e forti dell’appoggio ricevuto dal recente congresso mondiale svoltosi a Frisinga, in Germania, giocano la carta della manifestazione di massa. Sanno di essere 36 milioni sparsi in Europa, nelle Americhe e nell’Asia. E sanno, appunto, che nel vecchio continente arrivano già a 12 milioni. Ora presentano il conto. Sono gli zingari che tra pochi giorni - e precisamente il 20 settembre - si ritroveranno a Budapest dove il presidente del “Consiglio nazionale tzigano” - l’ungherese Orban Kolompar - ha invitato i rom magiari a protestare contro la Guardia ungherese che è l’organizzazione paramilitare estremista e razzista che si sta sempre più distinguendo con aggressioni contro gli zingari.


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