di Mario Braconi

Governo e Procura di Roma si muovono congiuntamente contro blasfemi e sporcaccioni: si conferma l’impressione che l’Italia sia preda di un clima in cui il moralismo più retrivo convive con una demenza scatenata. Un membro dell’esecutivo Berlusconi e i Pm di Roma, per una volta, sono d’accordo: i cittadini immorali inclini al sesso mercenario e alla blasfemia vanno puniti, possibilmente con la galera. Ma andiamo con ordine. La sala conferenze di Palazzo Chigi, con la sua miscela di kitsch, mercantile arroganza e pruderie piccolo borghese, costituisce il palcoscenico più consono possibile per le surreali dichiarazioni che il ministro Carfagna ha reso alla stampa lo scorso 10 settembre. Come noto, infatti, la riproduzione de “La Verità rivelata dal Tempo” del Tiepolo, che in modo involontariamente ironico è stata utilizzata per decorare lo sfondo del palco da cui parlano i ministri, mostra tra le altre figure una procace donna seminuda, cui uno zelante collaboratore di Berlusconi ha fatto coprire seno ed ombelico con un panneggio posticcio; interrogato in merito, l’apparatchick si è detto preoccupato che l’esposizione di un capezzolo “potesse urtare la suscettibilità di qualche telespettatore” (non “cittadino”, si badi, ma “telespettatore” ha detto). Ipocrisia e perbenismo dunque, che sono anche i “principi” informatori del disegno di legge “contro la prostituzione”.

di Giovanni Cecini

Un tempo, quando la televisione in Italia muoveva i primi passi, li chiamavano sceneggiati. Erano basati su racconti letterari, su eroi dei romanzi storici, su investigatori con pesanti pastrani e con il sigaro in bocca. Tutto rigorosamente in bianco nero, in ambientazioni con mobili rococò, drappi e merletti. Dopo solo tre decenni la concorrenza televisiva e l’importazione dall’estero di formati e di costose produzioni ha reso l’offerta dei palinsesti sempre più varia, nell’intento di soddisfare un pubblico apparentemente attento e sofisticato. Ma sarà proprio così? Passati gli anni Ottanta, dove la facevano da padroni telefilm e telenovele dai nomi esotici o accattivanti, siamo sbarcati nei Novanta con la nascita di veri e propri canali “tematici” al fianco dell’ormai foresta pietrificata di quelli “generalisti”.

di Mario Braconi

Fino a poco fa il lancio dell’iPhone in Italia, con le code interminabili davanti ai negozi, ha costituito materiale di studio per psicologi e sociologi. La chiave di lettura economica si rivela infatti inefficace a spiegare il comportamento di migliaia di Italiani, per il resto del tutto normali, che si autoinfliggono attese da socialismo reale al fine di pagare poco meno di seicento euro un prodotto che, a parte il design accattivante, non offre niente di più di un normale telefonino evoluto: foto, video, e-mail, navigazione internet, musica, mappe satellitari e, sì, anche fare e ricevere telefonare (chip difettosi permettendo). E pensare che, secondo Isuppli, il costo industriale di iPhone non arriva a 175 dollari americani (ai cambi attuali, meno di 120 euro). Anche supponendo che Apple venda il dispositivo agli operatori italiani al doppio del suo costo, Telecom Italia e Vodafone lo stanno offrendo ai propri clienti con un ricarico di quasi due volte e mezzo.

di Giovanni Cecini

Le olimpiadi di Pechino sono iniziate da meno di una settimana e l’Italia già ha incassato 10 medaglie (4 d’oro, 4 d’argento e 2 di bronzo). Ce ne sarebbe da gioire, collocandosi in quarta posizione nella classifica per nazioni, dietro ai padroni di casa, gli schiacciasassi Stati Uniti e alla Corea del Sud, dirimpettaia degli ospiti pechinesi. Invece già escono fuori le lagnanze, scoppiano le polemiche. Solo due giorni fa il presidente della Repubblica aveva invitato le “ragazze d’oro” al Quirinale con somma gioia di tutti, che Valentina Vezzali (tripletta sul podio più alto ai Giochi) mostra la sua indignazione, perché una volta tornata in quel di Jesi, l’Agenzia delle entrate le chiederà conto dell’assegno incassato oltre confine, decurtando parte del compenso olimpico come retribuzione lorda e quindi soggetta agli scaglioni fiscali. Un tempo si diceva che bisognava tenersi alla larga dai marchigiani, perché esattori dello Stato pontificio e quindi inclini a mettere le mani nelle tasche del contribuente, ora le cose sembrano un poco cambiate.

di Mariavittoria Orsolato

Un po’ come in quella vecchia pubblicità del pennello – per una parete grande, serve un grande pennello – anche nella nostra disastrata penisola si pensa di poter risolvere i grandi problemi con grandi provvedimenti. E’ così che per combattere l’annoso problema del degrado urbano, con tutti gli annessi e i connessi del caso, il Viminale ha dotato i sindaci italiani di superpoteri in materia di ordinanze pregando di essere il più creativi possibile. Nel decreto legge sulla sicurezza - diventato effettivamente norma il 5 agosto- veniva de facto modificato l’articolo 54 del testo unico sull’ordinamento degli Enti Locali facendolo dilatare nella direzione securitaria. Se prima al sindaco era solamente permesso di “emanare degli atti che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e di sicurezza pubblica”, con le nuove disposizioni il sindaco, in qualità di Ufficiale del Governo, è tenuto “alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone preventivamente il prefetto”.


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