Il due maggio del 1970, all'università di Kent, in Ohio, era stato dichiarato lo stato d' emergenza. Gli studenti avevano occupato l'edificio in segno di protesta contro l'invasione della Cambogia, paese non belligerente, voluta da Richard Nixon. Il 30 aprile il presidente americano aveva fatto un'apparizione improvvisa sugli schermi televisivi con una bacchetta di legno in mano, indicando su una carta geografica i paesi disobbedienti. Una grande smargiassata che aveva inasprito gli animi dei pacifisti. Il giorno successivo nei campus universitari il risentimento contro la guerra era aumentato. La Kent State University, in Ohio, assai meno famosa delle celeberrime Yale o Harvard, aveva comunque aderito alla protesta. La sera del primo maggio gruppi di studenti erano andati in città e manifestato pacificamente. Non si è mai saputo come, ma gli eventi erano precipitati sfociando in scontri con la polizia locale.

Alle 19 e 26 del 20 febbraio scorso è stato giustiziato sulla sedia elettrica del Tennessee Nicholas Sutton, che aveva espressamente scelto l'uso dell'antico strumento al posto dell'iniezione letale. Secondo il protocollo solo i soggetti già condannati a morte prima del primo gennaio del 1999 nello stato del Tennesse possono scegliere il metodo della propria esecuzione. Sutton ha ringraziato la moglie e gli amici che lo avevano sostenuto durante la detenzione mentre era già saldamente legato alla sedia. Al segnale convenuto, il direttore del braccio della morte del carcere di Riverbend ha alzato la leva che ha dato il via a una scarica di 2450 volts seguita da  una seconda e poi da una terza. La sorella della vittima ha assistito impassibile al succedersi degli avvenimenti.

Uno dei processi penali più attesi degli ultimi anni negli Stati Uniti e non solo, quello contro l’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein, è iniziato questa settimana in un tribunale di Manhattan con le arringhe introduttive dell’accusa e degli avvocati della difesa. Il compito che attende i dodici giurati appare estremamente complicato, viste le implicazioni e il clamore mediatico della vicenda che mette alla sbarra colui che era considerato uno degli uomini più potenti di Hollywood.

Al di là delle sue reali responsabilità nei molteplici episodi di molestie e violenze sessuali di cui è accusato – dentro e fuori i tribunali – il procedimento contro Weinstein sta avvenendo in un clima avvelenato e tutt’altro che imparziale. In gioco c’è d’altra parte non solo la sua libertà, ma anche la sorte del cosiddetto movimento “#MeToo”, oggetto degli enormi sforzi negli ultimi anni di una parte consistente dei media americani, ma anche di politici “liberal” e personalità del mondo dell’arte e dello spettacolo.

In un intervento apparso sull'ultimo numero del Nature Journal, Hans Joachim Schellnhuber, climatologo e fisico atmosferico, direttore e fondatore dell'Istituto Potsdam per la ricerca sull'impatto climatico (PIK), nonchè ex presidente del Consiglio consultivo tedesco sui cambiamenti globali (WBGU), azzarda un confronto quanto mai efficace per definire una teoria che sembra mettere d'accordo molti scienziati sull'attuale momento “titanico” del clima terrestre. Egli lo rappresenta come “punta di un iceberg matematico”, espressione per nulla “fantasiosa” riferendosi a “un tempo di reazione più lungo del residuo d'intervento”,  circostanza che provoca in effetti, una perdita di controllo.

L'accostamento al transatlantico che cola a picco centrato da un iceberg sulla propria rotta, non è solo un escamotage figurativo, piuttosto il risultato di una vera e propria sequenza algebrica: se sei il capitano del Titanic e ti stai incautamente avvicinando a un gigantesco iceberg con il potenziale d'affondare la tua nave, il rischio diventa emergenza quando ti rendi conto di non avere più tempo necessario per invertire la rotta ed evitare l'impatto.

L'attuale crisi climatica, secondo Schellnhuber, non è un'astrazione aperta a varie interpretazioni ma un dato oggettivo, con rischi calcolabili, che può essere inserito nella seguente formula: Emergenza =  R × U = p × P × τ / T. Sapere quanto tempo ha a disposizione la società umana per contenere gli effetti climatici e quanto tempo ancora impiegherà la nave a rallentare: in sostanza, è tutta qui la differenza tra un'emergenza e un problema gestibile.

Nell'articolo apparso su Nature, Shellnhuber spiega come, insieme ai colleghi della sua equipe, abbia quantificato l'emergenza climatica stilando una relazione tra rischio (R) e urgenza (U), prendendo in prestito i grafici delle compagnie assicurative. Si definisce il rischio (R),  come l'eventualità che qualcosa accada (p), moltiplicata per il danno (D).

Un esempio: quanto è probabile che gli oceani si innalzeranno di un metro e quanti danni ciò causerà. Urgenza (U) è il tempo necessario per reagire a un problema (τ), diviso per il tempo d'intervento che rimane per scongiurare un esito negativo. Per Hans Joachim Schellnhuber e i ricercatori dell'Istituto Postdam, la formula è solo “la punta di un iceberg matematico” per definire, in pratica, l'emergenza climatica che ci aspetta. “Ho illustrato il disastro del Titanic, ma questa prassi si applica a svariati rischi molto elevati in cui è possibile calcolarne l'impatto e la pericolosità, nelle probabilità di non fare nulla o non intervenire nei tempi necessari per contenerne gli effetti. E tuttavia, gli stessi grafici indicano che ci sono opzioni per evitare un risultato sfavorevole. In altre parole, è un problema di controllo...”.

Il ritardo a decarbonizzare il pianeta e ridurre i gas serra rispetto al tempo di reazione nel sistema climatico, è già di per sé un fatto palesemente irresponsabile. Attraverso la formula  si saprà se ci sarà tempo utile, in quali e quanti punti saremo più o meno in emergenza. Intanto, si procede a elaborare i numeri; il tempo dovuto per la piena decarbonizzazione globale sarà almeno di vent'anni e se, purtroppo, il tempo d'intervento che rimane risulterà più lungo, allora abbiamo perso il controllo. L'analisi del “rischio standard” del Postdam parla chiaro, Schellnhuber afferma: “Oltre quel punto critico, ci resta solo un'opzione di adattamento, come spostare i passeggeri del Titanic in barche di salvataggio (se disponibili)".

In toto, se ci vogliono vent'anni per la completa decarbonizzazione, se ne calcolano trenta per stabilizzare la pressione sul clima. Gli scienziati evidenziano nove “punti di non ritorno”, che se fossero attraversati, renderebbero impossibile tornare indietro e cinque di questi sono già “attivi”. Lo scioglimento del permafrost, il degrado e gli incendi delle foreste, aggiungono più gas serra nell'atmosfera, rendendo ancora più difficile mantenere basse le temperature globali. Si tracciano le priorità con diversi tempi d'intervento: per esempio, abbiamo dai venti ai venticinque anni per salvare la calotta glaciale della Groelandia, quindi bisogna impegnarsi fin da ora senza perdere un minuto di più. Ancora, il tempo che ci resta per intervenire sullo sbiancamento e la morte delle barriere coralline è parecchio al di sotto dei trent'anni e se la decarbonizzazione dovrà avvenire entro il 2050, dobbiamo muoverci ora. Questo è il punto nodale della matematica di Schellnhuber: “Prendere altro tempo e divagare incontro al pericolo è l'atteggiamento più stupido che possiamo assumere”.

 

Il 58 per cento della popolazione italiana si dichiara d’accordo con alcuni stereotipi sul ruolo della donna nella sfera lavorativa ed economica, nelle decisioni famigliari e nella gestione della casa. Il più diffuso, quello dell’importanza del successo professionale per l’uomo e che quest’ultimo sia meno adatto a occuparsi delle faccende domestiche e più adeguato a provvedere alle necessità economiche della famiglia. Nel ventesimo anniversario della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ancora, i dati Istat su “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”, appena diffusi, parlano di un radicamento di modelli stereotipati.


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