di Carlo Musilli

Il periodo difficile di Twitter continua, sulla rete come a Wall Street. Giovedì scorso il titolo dell'uccellino azzurro è scivolato a 25,92 dollari, scendendo sotto il prezzo dell'Ipo datato novembre 2013 (26 dollari), per poi chiudere la settimana ancora peggio, a quota 25,87 dollari. Quello del social network sul listino americano è un volo con molte turbolenze, visto che nel corso della loro pur giovane storia in Borsa le azioni erano arrivate a toccare un massimo di 69 dollari, quasi tre volte il prezzo attuale.

Da allora, il tonfo è stato di circa 65 punti percentuali. Un'escursione di questa ampiezza significa che il valore della società è schizzato in breve a 41,5 miliardi - raggiunti poco dopo l'Ipo - per poi ridiscendere in picchiata fino ai 17,6 miliardi di oggi. 

A livello tecnico, il -6% di giovedì si spiega anche come reazione all'ondata di acquisti arrivati nei giorni scorsi da parte di alcuni alti dirigenti (in prima fila l'attuale amministratore delegato ad interim e cofondatore dell'azienda, il 38enne Jack Dorsey), che hanno comportato un'impennata della quotazione pari al 10%, cui ha fatto seguito una pioggia di vendite. Da metà giugno, ovvero da quando Dick Costolo ha lasciato le redini dell'azienda a Dorsey, la flessione è stata del 28%.

La precarietà della leadership è un problema urgente per Twitter, che ha bisogno di tornare ad avere una guida solida. Voci di alcuni giorni fa parlavano di una conferma di Dorsey, che dovrebbe essere affiancato da Adam Bain nel ruolo di presidente e direttore operativo e da Even Williams - l’altro cofondatore - in qualità di numero uno del consiglio d'amministrazione.

A questo triumvirato dovrebbe essere affidato il compito di risolvere il problema numero uno in casa Twitter, ovvero lo stallo della crescita degli utenti. Il campanello d'allarme è scattato poche settimane fa con la pubblicazione dei dati del secondo trimestre, chiuso con un rosso di 137 milioni di dollari e soprattutto con 304 milioni di utenti ogni mese (contro gli 1,44 miliardi di Facebook), pressoché lo stesso numero della fine di giugno 2014.

In realtà le difficoltà dell'azienda erano già note da tempo, ma ciò non ha impedito ai suoi manager di destinarsi laute remunerazioni in azioni, che hanno avuto il loro peso sui conti del 2014, chiusi con una perdita netta di 578 milioni di dollari (ma anche con ricavi da 1,4 miliardi).

Per uscire da questa spirale, Twitter ha bisogno di trovare un equilibrio fra due poli opposti: la necessità di riportare il numero degli utenti su una traiettoria di crescita - in modo da aumentare gli introiti pubblicitari - e la volontà di non snaturarsi, conservando quell'aura elitaria che lo distingue dagli altri social network.

Una strada praticabile è stata individuata nel fantomatico Project Lightning. Il nuovo servizio, che dovrebbe essere lanciato entro la fine dell'anno, punta ad aiutare gli utenti a muoversi all'interno delle centinaia di notizie che compaiono ogni giorno sui loro profili. Twitter svolgerà un vero e proprio lavoro di selezione editoriale, con giornalisti che dovranno compilare liste tematiche scegliendo le notizie, le foto e i video giusti per guidare gli utenti nel caos degli eventi globali.

In questo modo si dovrebbe superare anche quello che secondo molti analisti è il principale freno all'ulteriore crescita di Twitter, ovvero la cesura fra gli utenti celebri, che vantano migliaia di followers, e i comuni mortali, incapaci di allestire una rete con molti collegamenti. I primi sono sempre più seguiti e animano le discussioni, mentre i secondi vengono spesso ignorati dalla massa. E cinguettare nel vuoto non fa piacere a nessuno.

di Tania Careddu

Povertà estrema: combinazione di penuria di entrate, sviluppo umano insufficiente ed esclusione sociale. Così il Comitato dei diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite definisce la condizione di individui a basso reddito per i quali è stata debole (quando non insufficiente) la rete di sicurezza sociale. Comunemente (e anacronisticamente) chiamati barboni, sono persone multiproblematiche, con un passato difficile, fatto di alienazione dal proprio contesto e, spesso, finite a dormire nelle stazioni ferroviarie per la natura neutrale di queste, di accoglienza anonima da un lato e di non fissità dall’altro.

Ma la reinterpretazione in termini di un nuovo potenziale di questo non luogo, basata sulla correlazione tra la dimensione della mobilità e quella del disagio, operata dagli Help Center, sportelli di orientamento sociale che nelle aree ferroviarie li prendono in carico e li avviano verso percorsi di recupero, ha offerto agli ‘utilizzatori’ più marginali delle stazioni, la possibilità di una seconda opportunità.

Undici mila e settecento metri quadrati in comodato d’uso gratuito da parte di FS Italiane a disposizione per andare incontro a chi chiede di ricominciare in una ‘nuova comunità’. Dal ricovero delle persone anziane malate e con problemi psichiatrici che, come si legge nel Research paper 2014 dell’Osservatorio Nazionale Disagio Sociale (ONDS), “da vent’anni continuava a dormire, mangiare e sopravvivere sotto la pensilina in testa al binario uno di Roma Termini dove parte il Freccia Rossa”, fino all’individuazione degli spazi e degli immobili dove accogliere centinaia di rifugiati politici: è il lavoro dei quindici Help Center da nord a sud dello Stivale.

Una nuova modalità di intervento sociale, essendo luoghi pubblici ad alta frequentazione e principale porta di accesso alla realtà urbana, rappresentano un ‘barometro sociale’ che, oltre a misurarli, anticipa anche il verificarsi di fenomeni che investiranno la nazione: è il caso delle nuove povertà e dei flussi migratori. Nel 2014 hanno accolto trentuno mila e settecentodue utenti, di cui diciassette mila e centottantaquattro al primo ingresso.

Sono soprattutto maschi, di un’età compresa tra i trenta e i trentanove anni, e tra i diciotto e i ventinove, riducendosi il numero di utenti più anziani. Gli italiani sono i più numerosi ma gli stranieri sono in crescita, soprattutto gli extracomunitari. Centodiciannove le nazionalità: rumeni, marocchini, tunisini, afghani, polacchi, nigeriani, peruviani, pakistani e ucraini. Sono in transito, verso un futuro migliore. Con un bagaglio di speranza e volontà, chiedono da mangiare, lavarsi e dormire. Ma solo per poco.

E tra questi e i ‘veri’ senza dimora, italiani o stranieri che siano, si assiste a continui attriti: agli occhi di questi ultimi, i primi occupano uno spazio di cui si sentono in qualche modo proprietari.

Sebbene siano quasi tutti centri diurni a cui chiedono accoglienza e, solo più raramente, fanno richiesta di orientamento al lavoro e di segretariato sociale, per i senza dimora sono il loro punto di riferimento e la loro immagine di progettualità (che quelli in transito rifuggono e frustano).

Ricevono beni e supporto materiale, vestiti e medicinali. Seguono corsi di formazione, di informatica e di inglese. Di italiano per gli stranieri. Un nodo fondamentale, la formazione ma, prima di tutto, si deve costruire la fiducia nel rapporto con le persone che chiedono aiuto.

Da sapere: i clochard classici sono ormai una percentuale esigua e sono, invece, tantissime le persone che conservano un minimo di risorse, personali o familiari. Le loro storie seguono una trama comune: la perdita del lavoro, alla quale segue lo sfratto, la ricerca di una soluzione nel gioco, di sollievo nell’alcol, fino alla separazione e alla rottura dei legami che tengono lontani dalla strada.

di Tania Careddu

Sessantacinque con poco più di milleottocento membri. Nati, benché presenti già negli anni cinquanta, fra il 2000 e il 2009, i think tank sono strutture politiche in cui trovano dimora le principali funzioni (un tempo) appartenenti ai partiti politici. Condividendo idee sulla cosa pubblica, i pensatoi si dividono in due categorie: per l’organizzazione di eventi e seminari e per la promozione di attività editoriali. Con due forme giuridiche: quarantotto fondazioni e diciassette associazioni.

Sebbene svolgano attività di stampo culturale, non si può ignorare la forte componente politica: la presenza di alcune figure ricorrenti e la palese interconnessione fra svariate strutture, il tipo di attività svolta e la composizione del management, oltreché la collocazione geografica (essendo ubicate le sedi principalmente a Roma, città dei palazzi del potere), rendono agevole la ricostruzione di un orientamento politico.

Premettendo, secondo quanto si legge nel minidossier di Openpolis ‘Cogito ergo sum’, che il 13,85 per cento dei pensatoi è di natura bipartisan che giustifica le buone intenzioni di condividere non tanto un’ideologia ma una comune battaglia su temi specifici, vedi di medicina o di difesa nazionale, per il resto, centrodestra e centrosinistra se li spartiscono. Giustificandoli con l’intento di fare ricerca, non sono, però, gli esponenti del mondo accademico a costituire la fetta più grossa: sono solo cinquecentocinquantaquattro versus cinquecentocinquantassette politici. Fra i restanti, imprenditori e manager, dirigenti pubblici, giornalisti, avvocati e pochi scrittori.

Con un’interconnessione fra le diverse strutture ‘parapolitiche’: il 66 per cento dei think tank ha almeno un membro in un altro pensatoio e venti persone compaiono in almeno tre. Quindi: duecentoquarantadue i collegamenti fra le organizzazioni, trecentosettantaquattro i membri condivisi. A destare attenzione, però, non è solo il dato numerico: esistono collegamenti rilevanti a livello qualitativo. Ossia, chi ha un incarico apicale in una struttura è molto probabile che ne avrà uno simile in altre.

Un vero e proprio network, con radici molto profonde: ogni pensatoio ha, in media, nove membri in altre strutture, collegandosi così, sempre in media, ad altre sei realtà. Tanto per avere un’idea: Italianieuropei è il think tank con più rappresentanti in altri pensatoi e la Fondazione Italia Usa è quella con più collegamenti con altre organizzazioni. Come mai? Perché le persone (con posizioni apicali in numerose realtà) che creano questi legami hanno incarichi di vario tipo: di management, di rappresentanza e di ricerca.

I collegamenti fra incarichi pubblici e think tank e il crescente ruolo politico di queste realtà - è innegabile che la principale forza propulsiva per la nascita della struttura e il più solido punto di riferimento sia, nella stragrande maggioranza dei casi, un politico -, è d’obbligo cercare di capire quale sia il loro peso economico.

Con tutto il rispetto per la non trasparenza, considerato che non sono soggetti pubblici, i pochi elementi di bilancio rintracciabili sui siti internet, rendono complessa l’operazione. Si è comunque potuto scoprire che solo cinque organizzazioni hanno pubblicato una forma più o meno aggiornata del proprio bilancio. I più solerti e precisi, Symbola e Human Foundation, con i dati del 2014 del proprio budget. E Fondazione Open, l’unica ad aver reso noto, seppure con delle limitazioni, l’elenco dei suoi finanziatori con l’importo esatto donato. Urge una riflessione.

di Tania Careddu

Che produca effetti negativi o positivi, la televisione, sui minori, ha un ruolo di ‘rinforzo’: accentua inclinazioni dei piccoli in misura simmetrica e proporzionale. E cioè: i bambini più attivi la utilizzano a scopo informativo, quelli meno reattivi come fonte di intrattenimento. Sebbene veicolata dalla famiglia, dalla scuola e dagli amici, dicono che la tv incida, in qualche modo, sulla costruzione della realtà, alimentando attraverso la rappresentazione, alcuni stereotipi.

Per esempio, di genere. Oppure condiziona l’idea che si possiede di certi sentimenti. O l’immagine della sessualità. Spesso è violenta: una prolungata esposizione dei minori a questi contenuti causa “la diminuzione di stati empatici verso le vittime della violenza con evidenti conseguenze anche a livello comportamentale”.

Seppure non si voglia attribuire la verità a ciò che la letteratura specializzata statunitense chiama ‘effetto spettatore’, è, comunque, pacifico che nella ricerca di catturare l’attenzione del pubblico fruitore e il primato nello share e negli ascolti, si presti poca attenzione alle esigenze dei minori.

Per tutelarli, il Movimento italiano genitori (Moige), per l’ottavo anno, ha stilato una guida critica alla programmazione televisiva italiana, ‘Un anno di zapping’. Trecento i programmi in onda nella fascia protetta, 07.00-22.30, passati in rassegna: ventidue programmi e sei spot si sono distinti per “aver offerto buone potenzialità educative conciliando con gli obiettivi di share, la qualità, la necessità di intrattenimento, i toni e i contenuti adatti”.

E diciassette prodotti televisivi decisamente trash: “irrispettosi dell’intelligenza, del buon gusto e della sensibilità degli spettatori, soprattutto dei minori”. Propongono modelli e immagini diseducativi: quattro trasmissioni di Italia Uno, tipo 2broke girls, About love, Adam Kadmon-Rivelazioni e XLove, tre di Canale 5, cioè l’Isola dei Famosi, Pomeriggio cinque, Uomini e Donne, e tre di Mtv, ossia Diario di una nerd, Superstar 4, Faking it-più che amiche, Catfish-false identità, due su Real Time, vedi Alta infedeltà e Nudi a prima vista, Announo su La7, Il banco dei pugni su Dmax, Il contadino cerca moglie su FoxLife e Shezow su Freesbe. Bocciato anche lo spot dello sgrassatore KH-7.

Al contrario di alcune pubblicità che si sono contraddistinte per saper coniugare finalità commerciali a rappresentazioni positive dell’ambiente familiare. Senza citare nel dettaglio, la lista è di fiction, soap opera, docufiction, reality dispensatrici di buoni sentimenti è lunga. Ma occorre guardare a quella relativa alla televisione dei ragazzi e dei più piccoli.

Assoluta validità per i prodotti di Rai Gulp, specificamente ne Le straordinarie avventure di Jules Verne, dove coesistono avventura e divertimento in una riproduzione moderna di alcune storie fantascientifiche, in Ricette a colori e in Versus-Generazione di campioni che ha promosso valori formativi dello sport avvalendosi di atleti esperti, i quali hanno svolto il ruolo di maestri ed esempi per i giovani telespettatori. Buona anche Rai YoYo per le Storie di Gipo che hanno accompagnato i bambini nel mondo della fantasia, aiutandoli a riscoprire i giochi di un tempo.

Stimolando i ragazzi a fare le cose servendosi della loro creatività e a riconoscere la forza del gruppo, pollice su anche per XMakers: esperimento interessante per suggerire come trasformare oggetti della vita quotidiana in marchingegni all’avanguardia. Morale: è necessaria una dieta mediale, più ricca di contenuti costruttivi che stimolino il loro apprendimento, che li catturi senza impressionarli.

Non solo divertimento e informazione dunque, ma anche valori positivi. Senza cadute di stile o sensazionalismi, una televisione di qualità è ancora possibile.

di Liliana Adamo

Per la conservazione e la protezione dell'ecosistema e delle biodiversità, un’organizzazione internazionale senza obiettivi di lucro, istituita nel 1977 con il nome di Sea Shepherd Conservation Society, si è posta un mandato: impedire la distruzione dell'habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani del mondo. Le sue tattiche sono l’azione diretta, quindi rintracciare, indagare, documentare e agire (se e quando è necessario), rendere pubblico e impedire le attività illegali in alto mare.

Ma per capire fino in fondo la vera anima di Sea Shepherd, bisogna “raccontarli” e allora introduciamo due passaggi, cronaca diretta di una contesa sui mari, dal sud fino all’Oceano Atlantico, cabotando l’Antartide, cui gli equipaggi (tutti volontari) di Sea Shepherd, si rendono fieri protagonisti.

Diario di bordo, 6 aprile, 2015: mentre si sta inabissando, la Thunder, nave bracconiera battente bandiera nigeriana, lancia un SOS. Le coordinate, 0’ 20’, a nord, 05’ 24’ a est, indicano il punto localizzato nella zona d’esclusione economica (ZEE), di Sao Tome, nel golfo di Guinea, presso l’omonima isola africana, a circa 250 km dalla costa nord – occidentale del Gabon.

Il capitano della Thunder entra in contatto, via radio, con la nave di Sea Shepherd, “Bob Barker” che gli sta alle costole nell’operazione denominata Icefish, la quale risponde immediatamente al segnale d’emergenza. Peter Hammarstedt, capo della nave ambientalista tra le più famose al mondo, coordina le operazioni di soccorso, intanto che quaranta membri d’equipaggio, capitano, ufficiali e personale di coperta, tutti cacciatori di frodo, si predispongono sulle scialuppe di salvataggio. La situazione si fa via via più grave con la Thunder che comincia a imbarcare acqua. Peter Hammaestedt comunica con l’altro natante, Sam Simon, il “coadiutore”, chiedendo d’intervenire per prestare soccorso al personale della nave bracconiera che intanto si è inclinata su un fianco.

La Thunder è stata intenzionalmente “affondata” e i segnali sono apparsi subito chiari. Per quattro mesi difilati (un vero record per queste operazioni), la Bob Barker ha inseguito e contrastato la sua attività illegale e ora si procede al recupero di settantadue chilometri fra reti e altro materiale per la pesca di frodo che saranno consegnati, personale compreso, alle autorità portuali competenti di Port Luis, a Mauritius.

Diario di bordo, 13 febbraio 2015: mentre Interpol, guardia costiera di Nuova Zelanda e Australia sembrano prendersela comoda, la nave conservazionista Sam Simon ha intercettato a sud delle acque australiane, i due battelli Yongding e Kunlun, dediti alle attività di frodo, ambedue nel mirino dell’operazione Icefish, per la campagna di Sea Shepherd in Difesa dell’Oceano del Sud.

E’ la prima volta che ci si pone l’obiettivo d’entrare direttamente “in campo”, contrastando chi, con attività fuorilegge, saccheggia gli oceani, depaupera i fondali, cattura quintali di pesci causando danni incalcolabili all’ecosistema marino e al mondo intero. La pesca intensiva (e illegale) ai danni del merluzzo dell’Antartide (Dissosthicus Eleginoides Norman), per esempio, è fra gli obiettivi.

Durante un inseguimento serrato, la Sam Simon è costretta a difendersi dalle azioni aggressive della bracconiera Kunlun, che tenta una possibile fuga attraverso banchi di ghiaccio alla deriva, approcciando azzardate condotte intimidatorie da breve distanza (10 metri). Nonostante ciò, la nave di Sea Shepherd riesce ad allontanare i contrabbandieri dai “territori di caccia”, vale a dire la Zona Economica Esclusiva dell’Australia, pressappoco a 2500 miglia nautiche a sud ovest, in pieno Oceano Antartico; ma gli attacchi intenzionali della Kunlun creano una situazione al limite della collisione. Le due navi sembrano destreggiarsi in piena guerra di nervi, con gli ufficiali della bracconiera nascosti dietro spessi tendoni. Perché, come dice Sid Chakravarty, capitano della Sam Simon, sono spesso i prepotenti i più grandi codardi, e anche la Kunlun non fa eccezione a questa regola.

In questo parapiglia, la seconda nave bracconiera Yongding, è riuscita a defilarsi ed è stata avvistata dalla Sam Simon, l’ultima volta, virare a est. La bandiera nera di Sea Shepherd che riporta l’antica suggestione piratesca, il Jolly Roger e lo stemma di Nettuno, quando appare all’orizzonte, fa certo più paura dell’inerzia del governo australiano, che resta nel suo imbarazzante silenzio, mentre navi bracconiere segnalate sulla black list della Commissione della Conservazione per le risorse biologiche dell’Antartico (CCAMLR), scorrazzano liberamente in acque territoriali.

“Non sono quello che viene definito un uomo civile, professore. Ho rotto con la società per ragioni che mi sembravano buone” - Capitan Nemo (di Jules Verne).

Scrive il Capitano Paul Watson, leader di Sea Shepherd: “Dannazione, miei cari, siamo pirati! Ci vuole un pirata per fermare un altro pirata, ed è per questo motivo che la bandiera di Sea Shepherd Conservation Society ha il Jolly Roger…E’ per il fatto di essere stati chiamati pirati che ho utilizzato il Jolly Roger come simbolo, adattandolo per riflettere su ciò che rappresentiamo, con il bastone del pastore incrociato al tridente del Nettuno che simboleggia la protezione degli esseri viventi negli oceani e la nostra determinazione a lottare per il loro diritto di sopravvivere, di essere liberi e restare in mare.

Il teschio riflette la morte che l’umanità porta all’oceano, mentre la balena e il delfino che formano lo yin e lo yang, il desiderio di ristabilire un equilibrio nei nostri mari, ripristinare la grazia del delfino e la saggezza della balena…”.

Doveroso, a questo punto, presentare la flotta di Nettuno: la Steve Irwin si distinse in difesa dei cetacei nell’operazione Migaloo (2007/2008), osteggiando efficacemente l’annosa caccia alle balene nel Santuario dell’Antartico. Il suo nome è in onore al naturalista australiano prematuramente scomparso nel 2006, Stephen Robert Irwin, un personaggio televisivo, divulgatore scientifico e documentarista (chi non ricorda The Crocodile Hunter?). La Steve Irwin può contare su un elicottero, altre piccole imbarcazioni e su un equipaggio di oltre sessanta volontari, provenienti da ogni parte del mondo.

Grazie a un cospicuo lascito dell’icona televisiva statunitense, Bob Barker, un’ex baleniera è acquistata, rimessa a nuovo con un sofisticato sistema antighiaccio e, quasi in sordina, il 18 dicembre 2009, parte alla volta dell’arcipelago Mauritius per unirsi alla Steve Irwin, all’Ady Gil ed entrare nella flotta Sea Shepherd che staziona in Oceano Indiano. Questa ex baleniera è la Bob Barker, il terrore dei cacciatori di frodo, una nave eccezionale come gli equipaggi che si sono susseguiti. Nelle sue irruzioni, la Bob Barker è spesso assistita dalla Sam Simon, altra storica “griffe”, che, in origine, era una nave meteorologica di proprietà del governo giapponese.

Le imprese dell’intercettore Brigitte Bardot, ex Gojira (Godzilla), sono legate a uno spassoso aneddoto: tra gennaio e febbraio, questa inesorabile imbarcazione di supporto è riuscita, da sola, “a far fuori” l’intera flotta di baleniere giapponesi, distogliendole dal Santuario nel Pacifico. Sentire i media nipponici asserire che un’intera flotta è stata battuta da Godzilla, è stato a dir poco esilarante…tant’è che una schiera di avvocati ha intimato Sea Shepherd di cambiargli nome. Presto fatto, il capitano Paul Watson, allora, decide d’intitolare lo spietato intercettatore a un’indimenticabile sex symbol, l’attrice francese Brigitte Bardot, lei che da anni, sostiene Sea Shepherd Conservatory Society, nella campagna che si oppone al massacro dei globicefali, nelle Isole Danesi delle Fær Øer.

Nella flotta di Nettuno, la Steve Irwin, la Bob Barker, la Sim Simon e la Brigitte Bardot, fanno la parte del leone, pronte in qualsiasi momento, anche in condizioni meteorologiche avverse, a far rotta verso gli oceani e intervenire per ogni crimine che si perpetua contro di esso. In questa speciale “armata”, alla salvezza delle creature marine, molte gloriose navi hanno partecipato e altre ne faranno parte.
Coordinate fra loro, equipaggiate di tutto punto, guidate da personale di bordo che non ha soltanto professionalità da vendere ma coraggio e passione nell’assolvere un compito che sente profondamente, i volontari, provenienti da esperienze e contesti spesso diversissimi, si elevano a veri eroi contemporanei, pur non abusando impropriamente di questa retorica.

In linea con una visione di geostrategia globale, le ultime azioni Sea Shepherd sono attive nei luoghi più disparati del pianeta. Si va dalle nuove reclute donate alla locale gendarmeria ambientale dell’Ecuador (designate come unità K9), ovvero i cani – fauna dell’operazione Galapagos, che riconoscono ogni traccia d’animale selvatico (pinne di quali, per quell’agghiacciante pratica di shark finning, oppure iguane, tartarughe, le preziose oloturie o “cetrioli di mare”) e tutto ciò che concerne il traffico illegale fuori dalle isole più eco protette delle Americhe, ma non esenti da criminalità ambientale. Tale criminalità sembra non voler escludere nessuna area terrestre, soprattutto le più povere e vulnerabili; un problema, quest’ultimo, di gravità crescente.

L’operazione Milagro prevede, invece, uno staff di consulenti che lavora insieme alla comunità australiana per porre fine allo scriteriato abbattimento dei grandi squali oceanici, tentativo maldestro che non servirà a tutelare i bagnanti sulle spiagge (esistono misure non letali atte a proteggerli), ma solo a impoverire la biodiversità e l’eco-sistema marino.

E ancora, l’operazione Pacuare, per recuperare la nidificazione delle tartarughe verdi, embricate e liuto, in via d’estinzione. Pacuare è un’isola al largo del Costa Rica e conta circa duecento residenti. Una fonte alternativa di reddito è rappresentata dall’eco-turismo. Tuttavia, la disperazione economica spinge la gente del luogo a distruggere invece che proteggere, esportando illegalmente le uova di tartaruga verso i mercati esteri. Anche in questo caso, si agisce a livello culturale, far capire che una tartaruga  marina rappresenta l’emblema della bellezza naturale e della fauna, come pure una grande opportunità di reddito, un bene - rifugio per le specie umana, che queste creature gentili valgono molto più da vive che da morte.

Sulla spiaggia di Moìn, epicentro nel traffico di stupefacenti, sosta perentoriamente una nave Sea Shepherd, la Jairo Mora Sandoval, nome dell’ambientalista assassinato nel maggio scorso dai bracconieri, qui, in Costa Rica. Il modo migliore per onorare la sua memoria è, appunto, portare avanti ad ogni costo, il suo mandato. Se nella salvaguardia dell’ambiente non esiste una priorità, poiché tutto è prioritario, le operazioni Grindstop, Relentless e Infinite Patience sono fra le più ostiche e clamorose degli ultimi anni.

L’operazione Grindstop si muove in difesa dei globicefali insensatamente massacrati nelle isole Fær Øer, baluardo artico della Danimarca, immerse nell'Oceano Atlantico, note come le “Taiji del Nord”. Dal lontano 1980 Sea Shepherd Conservation Society si oppone con ogni mezzo, alla ferocia di questa pleonastica mattanza perpetrata nell’evoluta, emancipata Europa. E quest’anno, centinaia di volontari sono sbarcati sulle isole feroci, con un pattugliamento che si allarga ad ampio raggio, in terra, mare e aria; arrivano perfino a un corpo a corpo, entrano in acqua disponendosi direttamente tra branchi di cetacei e i loro massacratori. E finiscono malmenati e ammanettati…mentre si levano urla strazianti e l’oceano si tinge di sangue.

L’operazione Relentless, cinclusa il 5 gennaio scorso, impone un trattato di pace per le balene, finalmente libere dalla caccia e di sopravvivere nei loro Santuari. Grazie a Sea Shepherd, la nave bracconiera giapponese Nisshin Maru torna indietro a mani vuote, degno finale di una stagione disastrosa. I cetacei dell’Antartide (circa 4.500), sono salvi! Prima d’iniziare questa campagna, “abbiamo fatto una promessa ai nostri clienti, le balene e a tutti i nostri sostenitori nel mondo, sputare fuori questi bracconieri dalle acque protette. Abbiamo mantenuto la promessa. Noi siamo implacabili.”

Per l’incredibile numero di sei mesi, ogni anno, dal primo settembre fino a marzo, in una baia nascosta e poco profonda, un luogo divenuto tristemente famoso, un gruppo di cacciatori assedia e cattura intere famiglie di delfini selvatici, fra cui anche il raro delfino albino (come non ricordare la sorte del piccolo Angel?).

Il fine è soddisfare la richiesta internazionale di delfini, destinati in cattività ai delfinari e acquari dislocati in varie parti del mondo. Alcuni sono presi prigionieri, il restante è massacrato con una tecnica di caccia nota come “enervazione”, che lascia i delfini agonizzanti e ancora coscienti, praticamente paralizzati, annegare nel sangue dei propri familiari.

“Segui il ritmo della natura: il suo segreto è la pazienza…” (Ralph Waldo Emerson) e l’operazione Infinite Patience richiede tempo.

Nella baia di Taiji, “The Cove” (come titola l’eco film diretto da Louie Psihoyos, che ha mostrato al mondo intero l’orrore delle stragi, la sofferenza di questi meravigliosi animali e nondimeno, la stupidità umana), nessuno si fermerà finché non si fermerà il massacro. Eppure l’infinita pazienza comincia a dare i suoi frutti: è notizia di poche settimane fa, che l’Associazione Giapponese di zoo e acquari - JAZA - non acquisterà più i delfini sopravvissuti alle stragi di Taiji, seguendo la scelta dell’Associazione Mondiale – WAZA - che già aveva deciso una delibera in questo senso.

Grazie a Sea Shepherd che spinge verso un’imponente sensibilizzazione, JAZA si ritira e prende una decisione “storica”. Non sappiamo ancora se le intenzioni sono tali da porre fine al massacro, è certo che il mercato dei delfini subirà un duro colpo e le catture esistono perché muovono soldi. Se s’interrompe questo circolo vizioso (la domanda), cessa anche l’offerta (la cattura).
Taiji resterà sotto i riflettori internazionali finché non sarà risparmiato anche l’ultimo delfino.




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