di Filippo Matteotti

Ce l'hanno messa tutta e alla fine ci sono riusciti, hanno demolito anche quel poco di buono che rimaneva di una manifestazione come le olimpiadi invernali. Da sempre le sorelle povere delle olimpiadi, un po' per il tipo di discipline coinvolte, praticate solo da una minuscola parte dell'umanità, un po' perché sono sempre state una competizione riservata a quelle popolazioni che hanno la neve, il tempo e i soldi per godersela. Non a caso anche la stampa statunitense le ha definite le "olimpiadi dei ricchi".
Fino a che la competizione ha potuto godere dei pregi e dei difetti del dilettantismo le cose non sono andate troppo male; pur essendo un appuntamento per pochi intimi, le manifestazioni riuscivano a conservare una misura umana e far godere praticanti e fan degli sport invernali. Poi le cose sono cambiate e le olimpiadi invernali sono diventate, come tanti altri eventi sportivi, uno spettacolo televisivo. Da allora le cose hanno virato al peggio, fino a giungere all'ultima edizione attualmente è in corso a Torino. L'olimpiade invernale è così diventata un carrozzone come tanti altri dello show-biz ed è corsa verso la degenerazione commerciale, tradendo non solo il tanto decantato spirito olimpico, ma anche la decenza.

di Marco Dugini

In principio caddero le ideologie, poi pian piano anche le idee, rimaste soffocate dalla personalizzazione della politica, e ciò fu il risultato ovvero il prologo dell'avvento della videocrazia come moderno sistema di potere.
In Italia, negli anni '90, i partiti non ressero al peso del crollo anticipato del "secolo breve" e, sia il muro di Berlino che gli scandali giudiziari di Tangentopoli, concorsero all'anoressia, se non alla scomparsa degli storici partiti di massa organizzati, ponendo così le basi per un modello molto più simile a quello personalistico del notabilato delle prime acerbe liberaldemocrazie fine-ottocentesche, rispetto a quello appena tramontato.
La nuova cornice bipolarista e il progressivo primato dei moderni sistemi mediatici, su tutti la Televisione, confezionarono il nuovo panorama: non più, se non in maniera residuale, comizi in piazza e sedi affollate di militanti, ma tribune televisive e un pubblico plaudente.

di Bianca Cerri

Altro che armi di consumo di massa! Sembra che l'attacco all'Iraq sia opera di stilisti e designers in cerca d'ispirazione che solo la guerra può offrire. L'aveva predetto la pagina economica della CNN: verrà il giorno in cui il pubblico non potrà più fare a meno di articoli collaudati durante le missioni militari.
Alla Business Communications, agenzia di creativi, confermano: c'è sempre stato un forte legame tra produzione militare e civile e i prodotti sperimentati in ambiente bellico, dagli occhiali alle scarpe passando per i computers, quando vengono lanciati sul mercato non falliscono mai.

di Alessandro Iacuelli

"A motivo della situazione di emergenza in cui si trova il sistema nazionale del gas naturale e dell'impegno richiesto per garantire la sicurezza delle forniture, il Ministero delle attività produttive, d'intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha deciso di rinviare a data da definire la prevista Conferenza Nazionale Energia e Ambiente.
La nuova data potrà essere fissata solo dopo le prossime elezioni politiche."
Con questo scarno comunicato il Ministro Claudio Scajola si defila, assieme al resto del governo, dalla Conferenza sull'Energia, cedendo la patata bollente al governo che verrà, qualunque esso sia. Negli scorsi mesi, più volte esponenti dell'attuale governo - in particolare Scajola e Tremonti - avevano rinviato a tale Conferenza le risposte ad ogni pressione da parte di stampa e opinione pubblica su temi energetici ed ambientali.

di Sara Nicoli

Il Polo è all'attacco dell'assetto strategico della Rai. In piena campagna elettorale e intravedendo, di qui a breve, orizzonti meno felici sul fronte dell'asservimento del servizio pubblico tv alle ragioni del centro destra, il consiglio di amministrazione della Rai, a maggioranza polista, ha deciso di sferrare l'attacco decisivo all'autonomia dell'azienda. Prima che sia troppo tardi. Venticinque nomine saranno da oggi sul tavolo del settimo piano di viale Mazzini e, a parte una, non si tratta di incarichi di alta visibilità politica, bensì di poltrone di enorme potere decisionale ed economico, dalle quali dipende la gloria o la polvere dell'azienda sul fronte del mercato e dello sviluppo futuro. Tutto è partito mercoledì scorso quando il direttore generale, Alfredo Meocci, ha portato in consiglio la proposta di un cambio al vertice di Raidue: sostituire Massimo Ferrario, attuale direttore, con Antonio Marano, oggi responsabile degli acquisti dei diritti sportivi. Sul piano politico lo scambio non provoca particolari terremoti. Entrambi sono in quota Lega. Ma allora, perchè questa staffetta?


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