di Sara Nicoli

Stefano Ricucci La parabola di Ricucci, aspirante finanziere del salotto buono tramite distribuzione di patacche, è finita come si presumeva finisse: una cella d'isolamento a Regina Coeli. L'arresto ordinato dal Gip è stato motivato con la possibilità di inquinamento delle prove e proprio per questo non ci saranno arresti domiciliari. Stando alle accuse Ricucci utilizzava due telefoni con contratti in Lussemburgo (difficili da intercettare per le rogatorie) e le email. Arrestate anche le talpe che lo avvisavano dell'arrivo di medici e infermieri, cioè i finanzieri. In manette, a tenergli compagnia, anche il brigadiere della Gdf Luigi Leccese, l'ex ufficiale dell'Esercito Vincenzo Tavano e l'imprenditore edile Tommaso Di Lernia. I tre, secondo il Gip, sarebbero le talpe che l'immobiliarista utilizzava per essere informato delle perquisizioni. Leccese dal suo ufficio della Finanza avvisava Di Lernia il quale a sua volta passava l'informazione a Tavano. Quest'ultimo era il terminale della notizia che arrivava alle orecchie di Ricucci. "Arrivano i medici", "arrivano gli infermieri": così i tre si comunicavano l'imminente arrivo dei finanzieri. E più di una volta aveva funzionato visto che i militari che arrivavano negli uffici di Ricucci trovavano borse e cassetti vuoti. Le attività di Ricucci si erano orientate verso l'ultimo disperato tentativo di rimanere a galla. Tentava, attraverso alcune società di comodo, di fare lievitare i suoi titoli, così da farli risalire nelle quotazioni. Adesso però, i titoli di cui Ricucci si dovrà preoccupare, saranno quelli dei giornali.

di Giovanna Pavani

Mario Spezi Il primo delitto fu nel 1968, l'ultimo nel 1989. Le vittime sono state venti e anche chi le ha materialmente uccise adesso è morto. Ma c'è un uomo, un giornalista, che passerà questa Pasqua in carcere perché accusato, dopo 38 anni, di essere uno dei mandati di quei delitti, i delitti del "mostro di Firenze". Mario Spezi, 60 anni, ex cronista giudiziario di punta de La Nazione è rinchiuso nel carcere di Perugia perché il gip del capoluogo umbro, Marina De Robertis, è convinta che sappia più di quello che dice; che addirittura abbia contribuito in modo robusto a depistare le indagini e che dunque sia degno della galera perché pericoloso e in grado, ancora oggi, di inquinare le prove. Su questa base sono stati negati a Spezi anche gli arresti domiciliari. Per quanto paradossale possa sembrare, il giornalista e scrittore che ha dedicato una buona fetta della sua storia professionale a questa vicenda oggi è l'unico "colpevole" dietro le sbarre per l'intera inchiesta sul "mostro".

di Giovanna Pavani

Quando è cominciata la sua dorata latitanza, molti di noi non erano ancora nati e nell'immaginario collettivo il "boss dei boss" era destinato a non essere mai catturato. Ma è successo. E chi, come noi, ha fatto ormai un'abitudine del guardare oltre la semplice apparenza, l'arresto di Bernardo Provenzano il giorno dopo la più lunga giornata elettorale che questo Paese abbia mai conosciuto nella sua storia (anche le elezioni del '48, in fondo, furono altro), fa nascere il sospetto che questo prestigioso arresto in realtà sia arrivato con almeno tre giorni di ritardo. Ma ci va bene così.
Adesso "il padrino" ha un volto anche per noi che di lui abbiamo sempre e solo visto l'identikit e ne abbiamo sentito parlare solo per voce dei pentiti, quelli che negli anni hanno descritto agli inquirenti ogni sua mossa e ogni sua decisione, senza tuttavia consentire, per ben quarantatre anni, la cattura. Lui non si è mai mosso, è sempre stato a Corleone. Ha ereditato le insegne del comando da Toto' Riina, che le aveva ricevute da Luciano Liggio, una catena senza soluzione di continuità che adesso si è spezzata. Ma la domanda, che forse non avrà risposta per molto tempo ancora, è perchè tutto questo è avvenuto solo ora.

di Marta Di Cioccio

Targhe alterne, blocco totale del traffico. In molte città italiane ogni anno, di questi tempi, i comuni ricorrono a misure di sicurezza per abbassare il livello di inquinamento atmosferico. L'allarme è motivato: si calcola infatti che l'impatto delle polveri sottili sui cittadini degli otto maggiori centri urbani italiani provoca almeno 10 morti al giorno. Ma esiste un'alternativa allo stop delle auto? La risposta è si, e si chiama Biocarburante. I biocarburanti sono prodotti agricoli in grado di sostituire la benzina e il diesel. La loro origine naturale è più facilmente riassorbibile dalla natura e consente di ridurre del 70% le emissioni di gas serra dal trasporto privato. Questo tipo di combustibile offre molti vantaggi, tra cui la possibilità di diminuire l'importazione di petrolio dall'estero. Tra l'altro sappiamo che le fonti di energia fossile basata su carbone, petrolio e gas si stanno rapidamente esaurendo; si calcola addirittura che il petrolio raggiungerà il punto di saturazione entro il 2010 e il gas entro il 2020. Il biocarburante sembra essere la migliore alternativa per le nostre auto. Esistono principalmente due tipi di biocarburante: il biodiesel e il bioetanolo.

di Agnese Licata

Se si prova a cercare su una cartina la città uzbeka di Muynak, un po' più a est del Mar Caspio, la si scopre affacciata su un ampio mare salato: il Mare d'Aral. Si tratta del quarto mare chiuso più esteso del mondo. Quella mappa però, come la maggior parte delle mappe geografiche, riproduce una realtà ormai radicalmente diversa, in cui le risorse idriche mondiali sono in costante diminuzione. Oggi Muynak si trova a circa settanta chilometri da un bacino ridotto a un quarto della sua estensione originaria. La portata dei due fiumi che lo alimentano è diminuita vertiginosamente a partire dagli anni 60, quando Stalin ne fece drenare l'acqua per irrigare gli immensi campi di cotone. I risultati non sorprendono: la popolazione rischia di morire di sete; il deserto avanza; la forte salinità dell'aria provoca cancro e altre malattie alle vie respiratorie.


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