La celebrazione a media unificati di Sua Santità Mario Draghi non accenna a indebolirsi, ma la verità è che nemmeno il sommo vate dell’eurocrazia riesce a fare miracoli. E, di fronte alla necessità di rispettare una tabella di marcia, rimarremmo italiani anche se a guidarci fosse il dio Thor. Prendiamo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che contiene tutti gli impegni assunti dall’Italia in cambio di aiuti europei per oltre 190 miliardi. In base a quel documento - citato da tutti e letto da nessuno - entro il 2021 dovremmo approvare 27 riforme e realizzare 24 investimenti. Ebbene, alla fine dell’anno mancano poco più di tre mesi e siamo ancora a caro Mario ti scrivo: fin qui, abbiamo dato il via libera ad appena otto riforme e a cinque investimenti.

Ogni giorno che la Lega passa al governo Matteo Salvini perde un po’ di terreno. L’ultima prova del teorema è arrivata dal decreto sul green pass per tutti i lavoratori, che ha restituito l’immagine di un Carroccio spaccato. Esiste una Lega governativa, guidata da Giancarlo Giorgetti e dai presidenti delle Regioni del Nord, e una Lega di lotta, di animo salviniano. Fra le due, però, la prima ha posizioni coerenti, mentre la seconda passa il tempo a protestare contro l’esecutivo di cui fa parte.

Una schizofrenia che si sta rivelando mortifera sul piano elettorale, perché allontana sia i voti moderati sia quelli dei sovranisti più radicali, che si spostano verso chi è davvero all’opposizione, cioè Fratelli d’Italia.

La settimana scorsa Mario Draghi ha detto che il governo sta valutando la possibilità di rendere obbligatorio il vaccino anti-Covid. Non è sceso nei dettagli, ha solo risposto “sì” a una domanda in conferenza stampa. Strano, no? Se davvero l’esecutivo pensasse di varare un provvedimento senza precedenti in Europa, ci si aspetterebbe che il Premier affrontasse l’argomento in modo un po’ meno laconico.

A ben vedere, però, l’obbligo vaccinale non è molto verosimile, soprattutto per ragioni politiche. L’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Significa che, per rendere obbligatorio il vaccino, il governo non potrebbe usare il solito decreto d’urgenza, ma dovrebbe presentare in Parlamento un disegno di legge. E quasi certamente - a meno di tradimenti in massa - Camera e Senato boccerebbero il provvedimento, visto che i leader dei due partiti con più seggi (Lega e M5S) si sono espressi in modo chiaro contro l’imposizione delle punture.

La scudisciata è di quelle pesanti, che lasciano il segno. Giovedì sera Mario Draghi ha impallinato Matteo Salvini con una reprimenda inattesa, soprattutto per la durezza dei toni. Le parole del presidente del Consiglio sono già incise nella storia di questa legislatura: “L’appello a non vaccinarsi - ha detto in conferenza stampa - è un appello a morire”. Non si tratta di una frase generica, ma di un preciso riferimento alle posizioni del leader leghista, che da qualche tempo si è inventato un compromesso per tenere buoni pro-vax e no-vax. La nuova linea del Carroccio suona più o meno così: “Le iniezioni vanno bene, ma per chi ha meno di 40 anni forse no”. Come sempre, la chiarezza manca dove il pensiero latita. 

Italia Viva vuole affossare il Ddl Zan per arruffianarsi il Vaticano e aprire una sponda alla destra. Il giochino è talmente scoperto che lo ha capito perfino la strana coppia Pd-M5S: i grillini, dopo i dem, respingono al mittente gli emendamenti dei renziani, sostenendo che il provvedimento deve essere approvato così com’è.

I parlamentari pentastellati del gruppo Pari Opportunità precisano in una nota che “pensare di eliminare i termini orientamento sessuale e identità di genere e tornare alla definizione di omofobia e transfobia rischierebbe di far compiere un altro passo indietro, come già accaduto in passato. Negli anni scorsi, infatti, i disegni di legge per il contrasto all'omotransfobia si fermarono proprio perché le espressioni usate per identificare il movente d'odio, quindi omofobia e transfobia, non vennero ritenute abbastanza precise per garantire la determinatezza del precetto penale, come peraltro ha ricordato recentemente anche il professore di diritto pubblico comparato dell'Università La Sapienza Angelo Achillaci”.


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