C’è una fissazione ricorrente nella politica italiana che ormai sa di muffa: creare un polo riformista che nasce dal centrosinistra, si colloca al centro e guarda senza ritegno a destra. Ci ha provato Monti dieci anni fa con risultati risibili. Ci riprova oggi Renzi, con più cipiglio e ancora meno possibilità di riuscita. Ma non è un problema: l’aderenza alla realtà non è mai stata una virtù dei riformisti all’italiana. Tantomeno di Renzi, che in questi giorni - celebrando il rituale onanistico della Leopolda - dimostra al Paese come il narcisismo, alimentato all’estremo, sfoci nella più grottesca mitomania.

Più che una trappola, quello che Mario Draghi prepara per i sindacati sembra un dopolavoro ferroviario: un ritrovo dove passare il tempo senza concludere alcunché. L’appuntamento è per martedì a Palazzo Chigi e l’ordine del giorno parla solo di pensioni, lo stesso tema di cui si è discusso senza frutto durante l’ultimo incontro. In quell’occasione, finì con il Presidente del Consiglio che, seccato, lasciò il tavolo per dedicarsi a un non meglio precisato “altro impegno”.

Il toto-Quirinale è cominciato e stavolta sembra ancora più inutile del solito. Per tradizione, due-tre mesi prima dell’elezione del Capo dello Stato inizia a roteare una girandola di nomi il cui unico scopo è nascondere le reali intenzioni dei partiti. Quasi sempre, infatti, far circolare un nome sui giornali equivale a depennarlo dalla lista dei papabili.

Per la prima volta nella sua storia quasi trentennale, Forza Italia sperimenta il correntismo. Da quando fu fondata, nel 1994, la formazione di Silvio Berlusconi è sempre stata più simile a un’azienda privata - con un amministratore delegato e tanti dipendenti stipendiati - che a un partito politico. Per questo è rimasta estranea a dinamiche dialettiche come, appunto, la formazione di correnti.

Dopo mesi di pose elettorali, nel governo inizia la battaglia sul reddito di cittadinanza. La settimana scorsa il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto omnibus che, tra i vari provvedimenti, prevede il rifinanziamento del sussidio. Nel corso della riunione, il ministro leghista dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha protestato contro la misura per via delle coperture: i 200 milioni stanziati (comunque meno dei 260 contenuti nella prima bozza) arrivano dai soldi iscritti a bilancio e poi non spesi per altri interventi sociali, ossia l’Anticipo pensionistico per i lavoratori precoci e le occupazioni gravose, il Reddito d’emergenza e i congedi parentali.


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