Più che una trappola, quello che Mario Draghi prepara per i sindacati sembra un dopolavoro ferroviario: un ritrovo dove passare il tempo senza concludere alcunché. L’appuntamento è per martedì a Palazzo Chigi e l’ordine del giorno parla solo di pensioni, lo stesso tema di cui si è discusso senza frutto durante l’ultimo incontro. In quell’occasione, finì con il Presidente del Consiglio che, seccato, lasciò il tavolo per dedicarsi a un non meglio precisato “altro impegno”.

Il toto-Quirinale è cominciato e stavolta sembra ancora più inutile del solito. Per tradizione, due-tre mesi prima dell’elezione del Capo dello Stato inizia a roteare una girandola di nomi il cui unico scopo è nascondere le reali intenzioni dei partiti. Quasi sempre, infatti, far circolare un nome sui giornali equivale a depennarlo dalla lista dei papabili.

Per la prima volta nella sua storia quasi trentennale, Forza Italia sperimenta il correntismo. Da quando fu fondata, nel 1994, la formazione di Silvio Berlusconi è sempre stata più simile a un’azienda privata - con un amministratore delegato e tanti dipendenti stipendiati - che a un partito politico. Per questo è rimasta estranea a dinamiche dialettiche come, appunto, la formazione di correnti.

Dopo mesi di pose elettorali, nel governo inizia la battaglia sul reddito di cittadinanza. La settimana scorsa il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto omnibus che, tra i vari provvedimenti, prevede il rifinanziamento del sussidio. Nel corso della riunione, il ministro leghista dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha protestato contro la misura per via delle coperture: i 200 milioni stanziati (comunque meno dei 260 contenuti nella prima bozza) arrivano dai soldi iscritti a bilancio e poi non spesi per altri interventi sociali, ossia l’Anticipo pensionistico per i lavoratori precoci e le occupazioni gravose, il Reddito d’emergenza e i congedi parentali.

Da quando guida la Lega, Matteo Salvini non è mai stato così debole. Lo scandalo Morisi e il disastro apparecchiato per le amministrative certificano la crisi del fu Capitano, ma sono solo l’ultimo atto di una parabola discendente iniziata più di due anni fa. Dopo l’harakiri del Papeete - quando uscì dal governo Conte1 convinto, a torto, di forzare le elezioni anticipate - Salvini ha continuato a scrivere un manuale di autolesionismo. Prima è riuscito a perdere quasi il 15% nei sondaggi stando all’opposizione - caso unico nella storia repubblicana - poi si è infilato nel governo Draghi per partecipare al banchetto del Recovery, ma così facendo ha perso il controllo del partito.


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