Per la seconda volta in poco più di due mesi, il conflitto di lunga data tra Armenia e Azerbaigian, attorno alla regione contesa del Nagorno-Karabakh, è riesploso con un bilancio provvisorio di vittime che appare già il più grave da molti anni a questa parte. Se i governi di praticamente tutto il mondo hanno subito fatto appello alle due parti per un cessate il fuoco, le ragioni dello scontro si sovrappongono e sono complicate dal rimescolamento in atto degli equilibri strategici euro-asiatici e risentono, in particolare, dell’intreccio di rapporti e rivalità tra Turchia, Russia e Stati Uniti.

Se l’epidemia di Coronavirus ha fatto poco o nulla per ridurre ingiustizie, disuguaglianze e violenze in tutto il mondo, in Palestina la gravissima emergenza sanitaria di questi mesi si è accompagnata a un’ancora più odiosa intensificazione degli abusi e delle operazioni illegali di cui è responsabile lo stato ebraico occupante. Alcuni rapporti di organismi autorevoli hanno infatti rilevato come uno dei crimini più spregevoli di Israele nei territori occupati, cioè la demolizione di abitazioni palestinesi e di edifici adibiti ad altri usi, abbia registrato nella prima metà del 2020 un aumento che non si verificava da svariati anni.

Sull’apertura nella giornata di martedì della 75esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che vede le apparizioni dei leader mondiali eccezionalmente da remoto a causa del Coronavirus, si è subito proiettata la lunga ombra della nuova esplosiva disputa sul nucleare iraniano, con al centro le trame sempre più irrazionali e disperate del governo degli Stati Uniti.

La faccia peggiore e ultra-screditata dell’arroganza americana è in questi giorni quella del segretario di Stato, Mike Pompeo, ridicolmente impegnato a confondere le acque per occultare il crescente isolamento internazionale del suo paese. La mossa ratificata lunedì dalla Casa Bianca, che dovrebbe in teoria reimporre tutte le sanzioni contro la Repubblica Islamica sospese dall’accordo sul nucleare del 2015 (JCPOA), si scontra infatti con la realtà di una comunità internazionale che riconosce come vuoto e illegale il comportamento di Washington.

In un clima politico già abbastanza acceso, la morte della giudice “liberal” della Corte Suprema degli Stati Uniti, Ruth Bader Ginsburg, ha inserito un nuovo infuocato argomento di scontro che potrà avere esiti non del tutto prevedibili a poche settimane dalle elezioni presidenziali. Che Trump e i repubblicani riescano alla fine a ratificare in fretta e furia la nomina di un successore, senza alcun dubbio con inclinazioni ultra-reazionarie, appare estremamente probabile, nonostante i possibili ostacoli, ma la determinazione della Casa Bianca a sfruttare il decesso, assieme alle resistenze dei democratici, potrebbero riflettersi sull’esito del voto e sugli equilibri già precari del sistema “democratico” americano.

Con la puntualità di una bomba a orologeria è giunto il rapporto della missione d’inchiesta sul Venezuela, nominata nove mesi fa dal presidente del Consiglio dei diritti umani. La prima cosa da notare è che, sebbene i media si sforzino di presentare tale rapporto come espressione delle Nazioni Unite tout-court, si tratta in realtà del parto di uno specifico e limitato gruppo di lavoro, composto da tre individui che, a quanto pare, non hanno mai messo piede su territorio venezuelano e si sono limitati a qualche testimonianza de relato, raccolta per giunta in buona parte su di un apposito sito web, studiato apposta per garantire l’anonimato dei testimoni https://www.ohchr.org/SP/HRBodies/HRC/FFMV/Pages/Call.aspx.

I tre non sembrano essere personalità di grande spessore o celebrità, né sembra essi possano vantare grandi meriti in materia di diritti umani. Una, Marta Valiñas, è un’oscura giovane praticante portoghese. Il secondo, Paul Seils, è stato direttore dell’Istituto per la giustizia transizionale e di lui si conosce un recente articolo sulla Colombia, sorprendentemente focalizzato sui “crimini” delle FARC, proprio nel momento in cui la giustizia colombiana ha arrestato l’ex presidente Uribe per il suo ruolo nella promozione dei crimini dei paramilitari e settori della destra militare, paramilitare e civile di quel Paese sono impegnati per neutralizzare ogni possibile ruolo positivo delle Nazioni Unite nella soluzione del conflitto, giungendo fino al punto di assassinare un funzionario onesto come Mario Paciolla.

Forse il più noto è il terzo componente del gruppo, tale Francisco Cox Vial, avvocato cileno, noto per la sua difesa d’ufficio del governo Piñera, in procinto a sua volta di essere denunciato alla Corte penale internazionale per le sanguinose repressioni dei moti sociali e politici dell’autunno scorso.

Cox, inoltre è stato socio d’affari dell’ex Sottosegretario alla Giustizia di Piñera, Juan Ignacio Piña, il quale in una recente intervista ha difeso a spada tratta la repressione delle manifestazioni cilene, sostenendo che “non vi deve essere dicotomia tra difesa dell’ordine pubblico e difesa dei diritti umani”. Come si vede proprio dei campioni dei diritti umani.

Il rapporto di cui si parla, del resto, è, a quanto se ne può giudicare dalla sintesi pubblicata dall’Alto Commissariato dei diritti umani delle Nazioni Unite, proprio ben poca cosa. Esso intende fare riferimento a un periodo di oltre sei anni, dal 2014 ad oggi, mettendo insieme impropriamente operazioni contro la criminalità e il terrorismo e la presunta repressione del dissenso. Sebbene la sintesi del rapporto si concluda con un appello alla Corte penale internazionale affinché intervenga contro il governo di Maduro, la fragilità delle accuse è confermata dal fatto che, ad oggi, tale Corte è impegnata soprattutto a investigare sui crimini contro l’umanità commessi contro il popolo venezolano da quelli autori delle sanzioni disumane che lo stanno affliggendo, primo fra tutti il governo Trump (https://www.icc-cpi.int/RelatedRecords/CR2020_00597.PDF).

L’elemento da sottolineare con grande nettezza è tuttavia che la carta delle Nazioni Unite viene giocata oggi spregiudicatamente dai nemici del Venezuela e della pace, proprio nel momento in cui sta avendo successo la strategia del governo Maduro per giungere a una pacificazione definitiva del Paese che sarà sancita dalla partecipazione dei settori maggioritari dell’opposizione alle prossime elezioni in programma per il 6 dicembre.

C’è tutto uno schieramento di cui fanno parte personaggi come l’oramai totalmente screditato Segretario dell’OSA Almagro che ha puntato tutto sulla sconfitta di Maduro. Di fronte al fallimento del pagliaccio Guaidò, isolato e abbandonato anche dai suoi più stretti sodali, il fronte internazionale contrario al chavismo e al popolo del Venezuela rilancia proprio sul terreno delle Nazioni Unite.

Un esito paradossale, per un’Organizzazione nata per promuovere la pace e i diritti umani, ma il cui logo viene oggi strumentalizzato dai nemici dell’una e degli altri, mentre sinistramente il Segretario di Stato statunitense Pompeo continua a minacciare l’invasione e la guerra aperta, tentando di mobilitare gli stanchi e svogliati alleati brasiliani e colombiani, che di gatte da pelare ne hanno già moltissime. Che Trump voglia servire ai suoi potenziali elettori, oggi per molti versi sconcertati, una bella invasione di quello che fu un tempo il cortile di casa di Washington? Può darsi, ma le Nazioni Unite che c’entrano cogli Stati Uniti?


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