La notizia dell’orribile scoperta fatta sul terreno di un ex istituto educativo per studenti indigeni in Canada ha riportato alla luce il passato oscuro di questo paese, solitamente considerato un esempio di democrazia e pace sociale. Un’indagine condotta grazie all’impegno del popolo Tk’emlúps te Secwépemc nella provincia del British Columbia ha individuato una fossa comune nell’area circostante la “Scuola Residenziale Indiana” di Kamloops dove erano stati sepolti almeno 215 cadaveri di studenti indigeni.

 

Questo ritrovamento è già il più rilevante di questo genere e, dopo ricerche più approfondite, il numero di giovani sepolti senza alcun segno distintivo e la cui morte non è mai stata registrata potrebbe salire ulteriormente. Altre fosse comuni, anche se mai con una quantità simile di resti, erano già state ritrovate negli anni scorsi in svariati siti delle cosiddette “scuole residenziali”, gli istituti che il governo canadese ha tenuto in funzione fino agli anni Novanta del secolo scorso sostanzialmente per sradicare la cultura indigena tra i giovani nativi.

I resti sepolti nella scuola di Kamloops appartengono in alcuni casi a bambini di appena tre anni. Questo istituto è stato il più grande del suo genere in tutto il Canada ed è stato chiuso solo nel 1978, dopo che il governo federale nel 1969 era subentrato alla Chiesa Cattolica nella gestione della struttura. Aperta nel 1890, la Kamloops Indian Residential School faceva parte di una rete “educativa” amministrata appunto, a seconda dei casi, dal governo, dalla chiesa cattolica e da quelle protestanti.

Complessivamente, più di 150 mila ragazzi appartenenti ai vari popoli nativi del territorio canadese sono passati attraverso gli oltre 130 istituti sparsi in tutto il paese nordamericano. I giovani venivano quasi sempre strappati con la forza ai loro genitori per essere rinchiusi in queste scuole, le cui regole brutali erano di fatto modellate su quelle dei riformatori. Le famiglie di origine non avevano spesso nemmeno notizia dei rapimenti, né dell’eventuale decesso dei loro figli. Quest’ultima eventualità era fin troppo frequente nel circuito delle “scuole residenziali”, dove abusi, malattie, malnutrizione e suicidi erano all’ordine del giorno.

La vita in questi istituti era stata descritta, oltre che dalle testimonianze di molti dei circa 70 mila ex studenti che si stima siano sopravvissuti, dal rapporto del 2015 di una speciale commissione di inchiesta istituita dal governo canadese. In un sistema definito “genocidio culturale” sarebbero morti durante la loro permanenza forzata in queste scuole tra i 5.000 e i 7.000 ragazzi. La disciplina veniva inculcata con la forza e le punizioni corporali erano la norma, soprattutto per scoraggiare i giovani dall’uso della loro lingua d’origine.

Agli sforzi per inculcare negli “studenti” i principi cristiani e la fedeltà al sistema politico, economico e sociale canadese si accompagnavano metodi molti simili ai lavori forzati, mentre il cibo era razionato e le cure mediche pressoché inesistenti. Numerose furono ad esempio le epidemie scoppiate in queste scuole, soprattutto di tubercolosi, soprattutto prima degli anni Cinquanta.

Il sistema delle “scuole residenziali” rientrava in definitiva in un disegno più ampio destinato a reprimere le popolazioni indigene e strapparle dalle loro terre, nonché per sradicare modi di vita e costumi sociali che si scontravano con le modalità di espansione del capitalismo canadese. L’indottrinamento forzato e violento dei giovani nativi rappresentava in altre parole un modo per piegare future resistenze e integrare questa parte della popolazione nel sistema “democratico” e “liberale” del Canada.

Dopo la scoperta della fossa comune nella scuola di Kamloops, il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha disposto le bandiere a mezz’asta in tutti gli edifici pubblici in segno di solidarietà con le popolazioni indigene. Inoltre, il governo federale ha annunciato lo sblocco urgente dei fondi che erano stati stanziati nel 2019 proprio per individuare le fosse comuni nelle “scuole residenziali”. Ad oggi, circa 30 milioni di dollari destinati a questo scopo risultano non ancora spesi.

Altri membri del governo di Ottawa hanno parlato di “vergognose politiche coloniali” nel descrivere i fatti come quelli accaduti per decenni a Kamloops. In queste denunce del passato coloniale emerge puntualmente il tentativo di attribuire le responsabilità di simili eventi tragici a un astratto sentimento razzista che avrebbe permeato tutta la popolazione bianca del Nordamerica. Allo stesso tempo, la classe politica odierna propone una sorta di processo di riconciliazione con i popoli indigeni, da attuare presumibilmente con un’altra integrazione più o meno forzata di questi ultimi nella società canadese.

In realtà, quelle stesse condizioni che hanno reso possibile il “genocidio culturale” dei nativi americani si perpetuano ancora oggi, come dimostra la situazione nelle riserve e, in generale, di gran parte degli appartenenti a questi popoli . Le comunità indigene canadesi continuano a essere le più povere e isolate del Canada, con aspettative di vita di molti anni inferiori rispetto al resto della popolazione e un’incidenza di malattie, come ad esempio l’HIV, nettamente superiore.

I livelli di disoccupazione tra i nativi sono i più alti del paese e, secondo le statistiche ufficiali, meno della metà degli studenti che vivono nelle riserve arriva al diploma. Un altro dato che rende l’idea del grado di emarginazione e di disagio sociale è il tasso di incarcerazione tra i nativi, nove volte superiore alla media nazionale. Questa situazione è spesso sfociata in proteste, talvolta massicce, contro il governo federale, come quella clamorosa dei membri della tribù Wet’suwet’en che nei primi mesi del 2020 bloccarono per settimane una linea ferroviaria nel tentativo di fermare la costruzione sulle proprie terre di un gasdotto nella provincia del British Columbia.

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