L’amministrazione americana del presidente Biden sta cercando di uscire dal vicolo cieco della guerra in Afghanistan con una nuova iniziativa di pace che il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha presentato nei giorni scorsi a tutte le parti coinvolte nel conflitto. Le proposte sono però in larga misura il riflesso delle illusioni che gli Stati Uniti continuano a nutrire e a proiettare sul paese asiatico e, come tali, hanno poche possibilità di essere accettate o tantomeno implementate, così dai Talebani come dal governo-fantoccio di Kabul.

Il giudice Edson Fachin, del Supremo Tribunale Federale del Brasile, ha dichiarato nulli gli atti che hanno portato alla persecuzione giudiziaria, alla carcerazione ed alla sospensione dei diritti civili e politici di Ignacio Lula Da Silva. Potrebbe finire così l’agonia della giustizia brasiliana e quella personale di Lula, vittima di un complotto politico-giudiziario deciso a Washington e organizzato a Brasilia. Pur con altri procedimenti in corso, Lula è tornato soggetto di diritto, candidabile ed eleggibile, essendo venute meno le inibizioni ai diritti politici che le sentenze avevano prodotto.

Il partito di estrema destra, Alternativa per la Germania (AfD), potrebbe essere a breve oggetto di un’intensa attività di sorveglianza da parte del servizio segreto federale tedesco, dopo che quest’ultimo ha dichiarato quella che è di fatto la principale forza di opposizione nel parlamento di Berlino come una “sospetta minaccia” al sistema democratico del paese. Prima che la situazione si sblocchi, si dovranno però attendere gli sviluppi di un procedimento legale avanzato dalla stessa AfD, che ha contestato duramente l’iniziativa in un anno ricco di importanti appuntamenti elettorali, compreso quello per il rinnovo del “Bundestag”, in programma alla fine di settembre.

Le udienze in corso al Congresso di Washington per fare luce sull’attacco dei sostenitori di Trump stanno delineando un quadro preoccupante dei fatti straordinari accaduti il 6 gennaio scorso. Gli interventi più interessanti sono stati finora quelli degli ultimi giorni che hanno visto testimoniare davanti ad alcune commissioni del Senato esponenti di primo piano delle Forze Armate, del dipartimento per la Sicurezza Interna e dell’FBI. Lo scenario ricostruito ha evidenziato falle ed errori clamorosi, ma soprattutto l’atteggiamento sospetto di molti ai vertici delle agenzie responsabili della sicurezza nella capitale americana.

Il governo conservatore australiano del primo ministro, Scott Morrison, è da qualche settimana nel vortice di una crisi crescente, esplosa in seguito alle accuse di molestie sessuali e di stupro contro un funzionario e un importante membro dello stesso gabinetto federale. L’identità di uno dei presunti colpevoli è stata resa pubblica solo mercoledì, quando egli stesso, cioè il ministro della Giustizia Christian Porter, è stato protagonista di una sofferta conferenza stampa nella quale ha respinto tutte le accuse a suo carico. Il caso ha molti aspetti discutibili e poco chiari, ma, come spesso accade, anche questo scandalo sessuale è stato sfruttato, se non addirittura orchestrato ad arte, per ragioni tutte politiche dietro a un’improbabile crociata in difesa dei diritti delle donne.


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