Una recente devastante inchiesta interna alle forze armate australiane ha rivelato come i membri dei corpi speciali di questo paese siano stati responsabili dell’assassinio di almeno 39 civili e prigionieri afghani e di numerose altre atrocità nel quadro della guerra di occupazione che dura da quasi due decenni. Nonostante la gravità dei fatti dimostrati, la reazione della classe dirigente dell’Australia, così come dei media ufficiali e dei governi alleati, è stata tuttavia decisamente contenuta. Una ferocissima campagna di denuncia si è invece subito scatenata contro un funzionario del governo cinese, colpevole di avere pubblicato un tweet esplicito per condannare i crimini commessi dai soldati australiani.

La deriva autoritaria del presidente francese Emmanuel Macron e del suo governo ha avuto un’umiliante battuta d’arresto questa settimana dopo il ritiro di una contestatissima nuova legge che minacciava in sostanza di attribuire alle forze di polizia la facoltà di reprimere impunemente qualsiasi manifestazione popolare di protesta. A dare il colpo di grazia al provvedimento, che dovrebbe comunque essere riscritto per poi tornare in Parlamento, sono state le massicce dimostrazioni del fine settimana, seguite agli ultimi episodi di estrema violenza che hanno visto protagoniste le forze dell’ordine transalpine.

Se l’assassinio in stile mafioso del più importante fisico nucleare iraniano venerdì scorso vicino a Teheran doveva servire a boicottare il possibile rilancio del dialogo tra Stati Uniti e Repubblica Islamica, è molto probabile che l’obiettivo sarà alla fine raggiunto. L’operazione, i cui responsabili sono da ricercare con ogni probabilità a Washington e soprattutto a Tel Aviv, ha infatti aggiunto altri ostacoli alla strada della diplomazia che potrebbe intraprendere il presidente entrante Joe Biden. In attesa del passaggio di consegne alla Casa Bianca, l’assassinio ha scosso profondamente la classe dirigente dell’Iran, da dove sono giunti per ora messaggi contrastanti sull’ipotesi di un cambio di rotta nei rapporti con gli USA dopo il 20 gennaio.

Il potere di concedere la grazia a soggetti incriminati o già condannati è tra quelli assegnati costituzionalmente al presidente degli Stati Uniti ed è tutt’altro che insolito vedere esercitare questa facoltà, anche in maniera molto generosa, dagli inquilini della Casa Bianca sul finire dei loro mandati. La decisione presa mercoledì da Donald Trump di “perdonare” il suo primo consigliere per la Sicurezza Nazionale, Michael Flynn, ha tuttavia scatenato accese polemiche a Washington, visto che la vicenda giudiziaria dell’ex generale dell’Esercito riporta al centro del dibattito il cosiddetto “Russiagate” e, soprattutto, il fatto che questa vera e propria caccia alle streghe era basata praticamente sul nulla.

L’Assemblea Nazionale di Parigi questa settimana ha consegnato alle forze di sicurezza francesi un nuovo strumento di repressione che conferma la deriva autoritaria e liberticida da tempo in atto e accelerata durante la presidenza di Emmanuel Macron. A testimonianza di questa evoluzione, poche ore dopo che il nuovo testo di legge sulla “sicurezza globale” veniva approvato in prima lettura, la polizia francese ha portato a termine un brutale sgombero di rifugiati senzatetto nel centro della capitale.


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