Nella sua prima intervista televisiva da 46esimo presidente degli Stati Uniti, questa settimana Joe Biden ha tenuto a informare i telespettatori americani e di tutto il mondo che, secondo la sua opinione, il presidente russo Vladimir Putin è senza dubbio un “assassino”. Su questo giudizio e su colui che l’ha espresso ci sarebbe da discutere a lungo. Ciò che forse conta realmente è tuttavia il contesto di un’accusa che si accompagna a un’accelerazione coordinata della propaganda anti-russa in America, modello inequivocabile della sempre più pericolosa attitudine che l’amministrazione democratica adotterà nei confronti di Mosca.

Un nuovo documento strategico sulla “sicurezza e la difesa” del governo britannico ha fissato tra gli obiettivi dei prossimi anni quello di aumentare sensibilmente il numero di testate nucleari a disposizione delle proprie forze armate. La decisione minaccia ovviamente di incoraggiare una possibile corsa alle armi atomiche in tutto il mondo e rappresenta inoltre un’indiscutibile violazione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) di cui è parte il Regno Unito. Da un lato, insomma, Londra continua a predicare la necessità di difendere gli equilibri globali basati sul rispetto di un insieme di regole consolidate, mentre dall’altro si pone, e non per la prima volta, in totale violazione del diritto internazionale.

Gli scontri esplosi dopo il golpe militare del primo febbraio scorso in Myanmar stanno assumendo caratteri sempre più violenti in parallelo all’intensificarsi della mobilitazione dei lavoratori di molti settori industriali del paese asiatico. Lo scorso fine settimana si è registrato il dato singolo più pesante in termini di vittime provocate dalle forze di sicurezza, mentre tra la comunità internazionale stanno aumentando le pressioni sulla giunta che ha rimosso il governo semi-civile della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi.

A dieci anni dall’inizio della guerra orchestrata dalla NATO contro il regime di Gheddafi, la Libia ha visto nascere questa settimana un nuovo governo provvisorio che dovrebbe unificare il paese e condurlo alle elezioni che i recenti colloqui di pace mediati dall’ONU hanno fissato per il 24 dicembre prossimo. Gli ostacoli che l’esecutivo di “unità” si trova di fronte sono però enormi e le divisioni e i conflitti che attraversano il territorio libico da est a ovest non svaniranno dall’oggi al domani. Lo strapotere delle milizie armate, l’ingerenza dei paesi stranieri, così come povertà e corruzione, continueranno a segnare a lungo gli eventi di un paese letteralmente devastato da un intervento militare “umanitario” scatenato, nel marzo del 2011, dalla menzogna di una rivoluzione democratica sul punto di essere soffocata nel sangue.

Secondo la stampa “liberal” americana, quella che la Camera dei Rappresentanti di Washington ha approvato martedì (“PRO Act”) sarebbe una riforma in grado di rafforzare i diritti dei lavoratori USA in una maniera mai vista dai tempi del New Deal rooseveltiano. Il tono quasi trionfale riservato all’iniziativa è tuttavia a dir poco esagerato, ma, se anche fosse giustificato, la celebrazione della presunta nuova era che si prospetta per la “working-class” americana omette o, per lo meno, minimizza un dettaglio fondamentale, che la riforma stessa non ha una sola possibilità di diventare legge degli Stati Uniti.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy