L’era Netanyahu potrebbe finalmente essere arrivata al capolinea. Dopo l’ultima guerra contro i palestinesi nella striscia di Gaza, le fortune politiche del primo ministro israeliano sembravano poter essere rilanciate, grazie a un possibile ricompattamento della destra, ma le ultime ore hanno invece registrato un passo avanti forse decisivo nella formazione di un nuovo gabinetto senza il Likud e il più longevo capo di governo nella storia dello stato ebraico.

Il coalizzarsi di forze estremamente eterogenee con l’obiettivo di rimpiazzare Netanyahu è stato stimolato dal persistere di uno stallo politico che minaccia di portare Israele al quinto voto anticipato in due anni e mezzo.

I governi dell’Unione Europea, dopo avere probabilmente perso la causa del “dissidente” russo Alexey Navalny, sembrano avere trovato un nuovo martire della democrazia perseguitato da un regime filo-putiniano. Dopo l’arresto del giornalista e blogger bielorusso Roman Protasevich, in seguito all’atterraggio forzato a Minsk del volo Ryanair su cui stava viaggiando nel fine settimana, si è scatenata infatti una colossale campagna mediatica contro il presidente bielorusso Lukashenko che ha già portato all’imposizione di pesanti sanzioni al paese dell’ex Unione Sovietica.

La crisi del paese sub-sahariano del Mali è talmente profonda che questa settimana è andato in scena il secondo colpo di stato in appena nove mesi, condotto oltretutto dagli stessi ambienti militari protagonisti del primo nell’estate del 2020. L’intervento della giunta che controlla le sorti del paese è da collegare formalmente a una diatriba dovuta a un recente rimpasto del governo di transizione. Le ragioni più profonde vanno però ricercate nel recente inasprimento delle tensioni sociali e nella pericolosa destabilizzazione interna dovuta, oltre che a fattori economici e sanitari, alla continua presenza sul territorio maliano di un contingente militare francese.

A giudicare dagli sviluppi più recenti, un accordo tra l’Iran e gli Stati Uniti per il ripristino dell’accordo sul nucleare di Teheran (JCPOA) potrebbe essere finalmente a portata di mano. I segnali che le due parti continuano a inviare lasciano intendere che le distanze rimanenti saranno colmate forse già nei prossimi giorni. Gli ostacoli ancora da superare hanno a che fare con la quantità e la natura delle sanzioni americane che dovranno essere revocate, ma il recente prolungamento di un’intesa provvisoria tra la Repubblica Islamica e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) sembra suggerire un moderato ottimismo.

L’atterraggio forzato in Bielorussia del volo Ryanair che doveva portare in Lituania il giornalista “dissidente” Roman Protasevich ha prevedibilmente scatenato un’ondata di condanne e di reazioni indignate in Occidente, assieme a rinnovati appelli per imporre altre sanzioni contro il regime di Alexandr Lukashenko. La decisione, presa in prima persona dal presidente bielorusso, conferma in effetti la mano pesante del governo di Minsk nella repressione dei suoi oppositori. Le grida isteriche sollevatesi da Washington ai paesi baltici sono tuttavia ancora una volta ipocrite e l’indignazione altamente selettiva, avendo a che fare, come tutta la campagna messa in atto dopo le discusse elezione dell’agosto 2020, con ragioni di natura politica e strategica piuttosto che con un qualche scrupolo genuinamente democratico.


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